Paestum: un grido di dolore!
È quello che Paestum lancia a tutti gli ospiti della XIV edizione della Borsa del Turismo Archeologico, in particolare ai politici e agli amministratori a tutti i livelli e di tutti gli Enti! Un Museo che tiene nascosti nei sotterranei reperti dall’inestimabile valore e che vede sempre più decrescere i suoi visitatori, già pochi in assoluto, nonostante che per la quasi totalità l’ingresso sia gratuito; un’area archeologica nella maggior parte coperta da erbacce e lasciata al degrado dell’incuria; una cinta muraria avvolta dal buio, assalita da rovi e sepolta da una folta vegetazione da far concorrenza a quella secolare che incontrarono i Borbone quando la squarciarono con una strada a lunga percorrenza, che con ironica decisione è stata in seguito denominata Magna Grecia; una teoria di orrendi punti vendita di altrettanto orrendi souvenir e alle spalle campi di mais e bufale in allevamento che impediscono ogni tentativo di riportare alla luce l’antica città di Poseidonia; lo stato di abbandono in cui versa l’area circostante le mura, lo scempio della parte interna, le superfetazioni di costruzioni brutte e degradate, l’utilizzo improprio del suolo con costosi parcheggi improvvisati, l’esposizione a ogni tipo di vandalismo, l’oltraggio degli inutili raduni e spettacoli musicali estivi che niente hanno a vedere con i Siti Unesco, sicuramente non sono un buon sostegno alla conservazione del riconoscimento di Patrimonio dell’Umanità come non lo sono per attrarre visitatori, dare identità a una destinazione turistica e promuovere sviluppo. Questo è ciò che decenni di insana e inetta amministrazione, di Enti locali e di Enti statali, hanno consegnato alla visione di turisti sempre più radi. Fra le tante presenze oltraggiose, forse la meno invasiva è proprio quella delle bufale, che possono almeno ricordare l’antica offerta propiziatrice del loro latte alla dea Luna! È da ingenui prospettare un’utopia per sottrarre Paestum all’abbandono e all’incuria e ridare al territorio un futuro di sviluppo economico promovendo finalmente un turismo durevole? È da ingenui cominciare a dare una positiva risposta all’indignato centenario Gillo Dorfles o al sogno del prof. Emanuele Greco? Sono esattamente 182 anni da quando Francesco I mise alla vista dei viaggiatori i tre Templi sventrando l’antica città e spezzando in due quel piccolo gioiello di anfiteatro. I visitatori del Museo archeologico decrescono sempre più, fino a raggiungere l’esiguo numero di diciannove il giorno nonostante “custodisca” (è il caso di dirlo!) reperti unici al mondo. A fronte di circa 300 lastre dipinte soltanto 25 sono esposte al godimento dei visitatori, senza contare le stupende tombe, una delle quali, forse la più bella, ritrovata lo scorso anno grazie all’azione della Guardia di Finanza e giacente nei sotterranei! Qual è in genere la risposta? Secondo un’indagine dell’ISTAT del 2007, è vero che solamente il 29% degli italiani visita un museo e che la spesa per consumi culturali colloca l’Italia al quint’ultimo posto nell’Unione Europea; ma sono altrettanto veri lo stato di arretratezza con cui sono gestiti i Musei e il difficile o inesistente dialogo tra museo e territorio. In molti casi, infatti, non si è instaurata, e Capaccio ne è un esempio, una produttiva e virtuosa relazione tra Museo e Comunità residente, in modo da promuovere l’identità territoriale e caratterizzare una diffusa e condivisa identificazione di accoglienza e partecipazione degli abitanti con un contesto culturale (City culturale) nel quale sono custoditi beni e testimonianze di grande valore. Meno che mai si è istaurato un rapporto tra Museo e tessuto produttivo locale che potesse prospettare, com’è avvenuto negli Stati Uniti e in altri Paesi, dei modelli alternativi di gestione o di compartecipazione con apporti di risorse finanziarie rivolte a rivitalizzarne la funzione. Per Paestum è necessaria la definizione di un diverso modello di partecipazione, attraverso un rapporto allargato tra Museo, area archeologica, pubblico e territorio. Si è sempre pensato che la comunicazione culturale legata al Museo andasse rivolta a un pubblico “esterno”, dimenticandosi che per farlo “vivere” prioritario è il coinvolgimento degli abitanti il territorio affinché diventi il luogo del dialogo continuo, dell’interazione, della costruzione condivisa di un progetto di allargamento della conoscenza e d’inclusione sociale. Non si tratta di “comunicare” i tre Templi, ma di “costruire” una City Culturale per offrire un’esperienza intellettuale integrata e vissuta. È una “costruzione” che deve avvenire prioritariamente nel costume e nella condivisione della Comunità locale. Aggiungerei, della Comunità allargata all’intera Kora pestana: Giungano, Trentinara, Roccadaspide, ecc., con il loro apporto di idee, di risorse e di testimonianze. È utopia di un ingenuo sognatore? Di certo lo sarà, se nessuno comincerà mai a porvi mano! Togliere le macchine dall’area archeologica e dal circuito del Mugello che circonda le mura; eliminare erbacce, rovi e vegetazione spontanea all’esterno e all’interno delle mura; restituire alla sua interezza e dimensione la struttura della Città antica con il ripristino della “penetrazione” umana dalle quattro Porte, ridandole l’antico e originario assetto urbanistico; decongestionare il Museo con un’esposizione dedicata (Museo della pittura) con tutte le lastre dipinte e un allestimento di spazi per rappresentazioni teatrali, concerti, conferenze e mostre di richiamo nazionale e internazionale nell’adiacente ex fabbrica Cirio opportunamente restaurata e liberata dall’oltraggio dei rovi e dei parcheggi abusivi o tristemente cementificati; ripristinare ed evidenziare le sedimentazioni della necropoli e del Santuario di Santa Venere finalizzandole a un percorso religioso pagano-cristiano che includa Basilica Paleocristiana, Tempio di Hera Argiva e il derivato Santuario della Madonna del Granato; vincolare l’ex Tabacchificio del vicino Borgo di Cafasso finalizzandolo a Sede museale, culturale, di grandi eventi e di strutture di diversificata accoglienza compatibile; ripristinare con un percorso ecologico l’antica via fluviale che univa la Città antica con la collina attraverso il fiume Le Trabe. Certo tutto ciò è ambizioso, ma dopo decenni di incuria e sonnolenza anche un piccolo intervento può apparire utopia; ma altra scelta non c’è se si vuole salvaguardare un Patrimonio dell’Umanità e dare un futuro al territorio.
Ho letto con attenzione il suo articolo, poi, ad un certo punto ho sentito un bridio correre dietro la schiena: “il fiume Le Trabe”.
L’antica sorgente Capo di Fiume, “stuprata” attraverso anche opere di “correzione” del suo corso, diventa “il fiume Le Trabe”, cioè il nome di un ristorante che è stato costruito “inside”.
Terribile il lapsus apparente.
Ancor più terribile ciò che potrebbe essere meno apparente, un vento che soffia da Salerno sino alla sorgente Capo di Fiume ….
Gent.mo Smarigli,
non è mio costume intervenire sui commenti alle mie “noterelle”, perchè ritengo non solo legittime ma utili per chi scrive tutte le osservazioni. Faccio un’eccezione solo per due motivi: uno per ringraziare dell’attenzione a ciò che di tanto in tanto scrivo,l’altro per un doveroso chiarimento. Nessun lapsus! Non è il ristorante che ha dato il nome al fiume, ma è l’antico nome del fiume ad averlo dato al ristorante.Il ripristino della via fluviale è ipotizzata come via “ecologica”. Ecco quanto ho scritto nel mio volume “Turismo, agricoltura e formazione”, pubblicato in aprile:”L’idea progettuale è quella di realizzare una “passeggiata”, pedonale e ciclabile, per collegare la zona di Santa Venere, adiacente le antiche mura, attraverso il ripristinato e reso utilizzabile canale di derivazione a scarico dell’ex Impianto Idroelettrico di Paestum fino al fiume Le Trabe: una linea fatta di terra e di acqua che opportunamente sistemata con arredo ambientale vivibile genererebbe un habitat ricco di flora e fauna. Il tutto diventerebbe lo spazio ideale per una “narrazione” sensoriale e multi esperienziale che ripercorrerebbe l’antico percorso che congiungeva la città di Paestum con l’entroterra da dove ricavano, per trasportarlo, il legname e quant’altro necessario alla vita della comunità. Analogamente si potrebbe pensare a ripristinare la navigabilità del fiume per ricreare anche l’antica “via del fiume”. Il nome Le Trabe, infatti, fu dato al fiume proprio per le “travi” che venivano trasportate dai monti alla piana di Paestum servendosi della sua corrente. Insomma si tratta di ricreare un percorso ritmato da piccole soste, tra filari di siepi, lavanda, cespugli, erbe aromatiche, alberi e specchi d’acque creati dai manufatti ripristinati delle chiuse. Questa linea d’acqua e di terra potrebbe rappresentare anche l’occasione per uno studio di fattibilità che abbia una ricaduta più ampia su tutto il territorio di Paestum, tale da mettere a sistema aree di interesse ambientale, storico e culturale. Potrebbe costituire un vero e proprio esempio di corridoio ecologico seminaturalistico quale attrattore e strumento di conoscenza e vivibilità. Grazie per l’attenzione e le osservazioni delel quali terrò sempre conto. Aurelio Di Matteo
Egregio Di Matteo,
sono lusingato della Sua attenzione, così come ritengo tecnicamente fondata la sua ricostruzione. Il punto, però, ora è un altro: un custode della magia e della storia di una alveo naturale, non può non affrontare la questione dell’utlizzo commerciale della natura medesima, che magari a mio avviso è anche valorizzante, in assenza del quale la natura stessa, il più delle volte, resta solo materia per storici.
Il caso di specie è emblematico: ho letto alcuni articoli sui giornali negli ultimi mesi ed ho persino artigianalmente sovrapposto stati attuali con cartografie di stati originari: l’antico oggi è nuovo e diverso dall’antico …. e per certi versi è meglio fermarsi quì. Il nuovo non è fatto di storia e valorizzazione, ma di cronaca penale e di commercializzazione.
Che ne pensa?
I luoghi devono essere magia, o emozione per per la carne?
Il prezzo per l’emozione della carne, quanto può essere alto?
E’ possibile, domani, per assurdo, trasformare il Quirinale in una sala per convention?
A Lei!
Gent.mo Smarigli,
impegnato per una relazione alla BMTA di Paestum, ho letto in ritardo quanto ha voluto rappresentarmi.
Gli interventi che propongo non sono finalizzati alla commercializzazione ma a produrre “turismo durevole” o, come usualmente e impropriamente viene chiamato, “sostenibile”. Il turismo durevole comporta interventi non rivolti ai “turisti” ma ai “residenti”, al ben-essere della Comunità locale. Ciò si traduce di per sè in costruzione di un’identità territoriale e quindi in “destinazione” turistica. Ciò evita anche la creazione del Sistema Turistico Locale o del Distretto Turistico sui quali ancora si attardano le politiche per il turismo. In verità la Campania ha impiegato dieci anni per giungere a questo che altri hanno già superato: è di ieri l’approvazione della Legge quadro regionale del turismo. La Campania era l’unica Regione dal 2001 a non averla! é una brutta Legge. Il nuovo Turismo si avvia ad escludere il “consumo” come suo obiettivo e ad evidenziare, invece l’esperienza intellettuale della persona che è cosa diversa anche dal tradizionale turismo culturale. Il tema della mia relazione nell’ambito delal III Riunione scientifica della Società Italiana di Scienze del Turismo era proprio questo.
Grazie per l’attenzione
Aurelio Di Matteo