Tradizioni natalizie nella Valle dell’Irno
Paese che vai, Natale che trovi: tantissime e variegate le tradizioni di questo dicembre natalizio e in qualche modo “spirituale” (?), anche se nel bel mezzo della tanto “decantata” e “deprecata” crisi…Usanze nate dall’intelligenza e dall’animo dei nostri antenati, ricche di sentimento e che riscaldano (ancora oggi?) il nostro cuore, rendendoci più lieti. Testimonianze di un passato antropologicamente mai perduto, mai realmente “passato”…Un carnet, un parterre de roi zeppo di cultura contadina e non solo; un pot pourrè di magia urbana dalle antichissime origini e vestigia, con misteriche (e mistiche) radici affondanti nell’orfismo e nel feticismo e poi – anche – nell’esoterismo dei nostri tempi, sia pure relativistico e consumistico (usa e getta?)In Italia come altrove, e nella fattispecie della Valle dell’Irno, così ricca di sapienti credenze e cultualità recondite ed appassionanti per l’etnologo, per il musicologo nonché per l’archeologo, si vivono diverse modalità di festeggiare il Natale pagano e soprattutto il Dio fatto uomo e nato povero… forse anche lui era vittima della politica (della sua epoca, e lo era, si ricordi la minaccia costituita dal Divin Bambino per Erode, potente di turno…) ed altresì della sfavorevole situazione e congiuntura internazionale? Ebbene, il Cristo, il Messia tanto sospirato ed agognato da secoli, prima di morire come un criminale qualunque sulla croce dello scandalo, è nato misero in una capanna come un rifiuto, come un relitto umano mortificato e nell’umiltà del grembo della Vergine… che delusione, per i tanti di ogni periodo storico abituati, come chi governa l’Italia ma anche gli altri Paesi europei (e non soltanto) oggigiorno, a comandare e a usare il potere, magari sperando di essere “giustificati” da un Dio terribile e forte, potente contro gli avversari!Una vera delusione, questo inerme “fagottino” adorato da pastori olezzanti e ignoranti, che ha rivelato il suo cuore ai “piccoli” della Terra e non ai sapienti e ai dotti, ai “professoroni”! Eppure Gesù, venuto a portare la Luce al mondo – che infatti non lo ha riconosciuto – e la Lieta Novella ai derelitti e ai reietti del mondo, non calpesta riti ancestrali e culti paganeggianti, anzi! Lo ha detto anche il sommo Dante Alighieri, in molte sue opere tra cui la Divina Commedia: il mondo classico – nella specificità della temperie greca e romana – “apre” al mondo cristiano. Perciò numerosissimi miti sono stati mutuati dal Cristianesimo e dalla Chiesa prelevandoli da tradizioni e culture precedenti la venuta di Cristo: un esempio viene dato, a Mercato S. Severino, dal Ciuccio di Fuoco ad Acigliano, in occasione della solennità e delle celebrazioni dell’Assunta, e dalle Fontanelle autunnali nell’altra frazione Lombardi. Poi possiamo annoverare, tra le ritualità pagane assimilate o metabolizzate dal Cristianesimo, le manifestazioni del Fistone (grande festa) della frazione Spiano per quanto riguarda le festività pasquali, e anche i “Misteri” che si vivono, sempre a Pasqua e sempre nelle nostre spesso vituperate zone – pregne invece di fascino e di antiche consuetudini – in particolare a Sarno e a Bracigliano. Tornando per un excursus a Dante, egli pone a condottiero (duca) della sua anima nel viaggio all’Inferno e in Purgatorio il pagano Virgilio, in quanto “profeta” in qualche modo della venuta di un “fanciullo”, un “puer” che avrebbe rivalutato le sorti di Roma: in realtà il giovanetto decantato nelle opere di Virgilio era l’imperatore Augusto, ma poi la Chiesa medievale assunse il “puer” latino a Cristo avveniente. Infatti la data del Natale, 25 dicembre, è rappresentativa e non coincide con l’esatta nascita di nostro Signore, è indicativa dell’adorazione antropomorfica da parte dei Romani nei riguardi del Sole Invitto (o invincibile): il “Sol invictus”.Il dio Sole veniva festeggiato appunto il 21 durante il Solstizio di Inverno, il giorno più breve dell’anno, in contrapposizione a quello di Estate; il termine stesso “solstizio” deriva dal latino “Sol statio”, “il sole sta più a lungo in un emisfero invece che nell’altro”. Il termine “equinozio”, in primavera e in autunno, deriva sempre dal latino e vuol significare che c’è uguaglianza tra le ore del giorno e quelle della notte. Secondo il calendario giuliano, sostituito da quello gregoriano subentratogli successivamente, il giorno più corto dell’anno non era il 21 dicembre ma il 13, festività di S. Lucia. Per questo si dice: “A S. Lucia (il giorno) è a un passo di agnello; a S. Aniello (il giorno dopo, il 14 dicembre) è a passo di vitello.”Si dice, erroneamente poiché appartengono a due epoche diverse, che S. Lucia e S. Agnello (o Aniello) siano fratelli, e che il patrono di Sorrento (appunto questo santo) sia “vendicativo” se si va a Messa per il 13 di questo mese e non durante la sua ricorrenza. Ciò corrisponde agli antichi retaggi contadini che vedevano in S. Aniello una “divinità” che infliggeva loro dolori e scoliosi, o gobba (“u’ scartiello”), poiché essi erano chini a raccogliere ortaggi nei campi. Allo stesso modo i patres della Valle dell’Irno ritenevano “pericoloso” non recarsi in chiesa il giorno di S. Aniello per le puerpere e per le donne incinte. Il 13 dicembre i bambini siciliani – S. Lucia era di Siracusa – ricevono i regali senza aspettare il Natale. La festa è molto sentita in tutta la Sicilia, dove la santa è venerata in maniera particolare. La notte tra il 12 e il 13 del mese, sempre in Sicilia, i più piccoli ripongono sul davanzale della finestra un bicchiere d’acqua e un po’ di farina, per far bere la santa martire protettrice della vista (come tortura le furono cavati gli occhi, così dice la leggenda) e per far mangiare la farina al suo asinello. A Natale la tradizione del presepe è nota, in quanto fu S. Francesco ad inventarlo, “vivente”, in quel di Greccio, nel 1223. Tutti sanno – inoltre – che fu S. Gaetano da Thiene a portare la tradizione dell’unico e inimitabile presepio napoletano proprio nelle nostre zone: anche a S. Severino non molti anni fa si organizzava il presepe vivente, specificamente nella frazione Pandola. Anche il compianto Gino Noia, intellettuale sanseverinese da poco scomparso, aveva la fantasia di dirigere i “lavori” sia per quanto concerne il presepe vivente che per altri artistici manufatti che sotto la sua sapiente guida tanti giovani, opportunamente coinvolti assieme alle loro famiglie, a padri e madri, a parenti, giungevano a esprimere valori morali ed etici esplicitati da una tematica valida ogni anno in cui – dopo il 4 ottobre, S. Francesco – si cominciava ad allestire il tutto, ad esempio un anno il tema verteva sulla luce, in un’altra edizione si focalizzava l’umiltà e così via…Ultimamente Gino Noia stava allestendo un manufatto originale e creativo per la chiesa di S. Antonio a Mercato S. Severino, dopo aver “diretto” la costruzione del complesso presepiale in varie chiese del territorio sin da quando era giovane. Caratteristica del presepe partenopeo, una cui grande visibilità è data dall’esposizione nella via di S. Gregorio Armeno a Napoli di personaggi attuali quali politici, calciatori, star, attori e altri protagonisti della vita pubblica nazionale e non, è senz’altro la presenza di vari pastorelli, tra cui Benino o Beniamino, ovvero il pastore dormiente. Egli starebbe a simboleggiare o la speranza di un mondo migliore o le tenebre del sonno, che diviene così anche sonno spirituale. Molte zone della Campania e quindi anche dell’hinterland nostrano hanno una buona tradizione per quanto riguarda sia il presepe vivente (ad esempio la già citata frazione Pandola e la cittadina di Pietrelcina) che quello “fai da te”, con tanto di premi per quello più semplice, genuino, originale e artigianale. Tra tali premiazioni ricordiamo il concorso che si attua ogni anno a Penta di Fisciano, incentrato sul presepe “al centro del focolare domestico”.L’albero di Natale, invece, è residuo demologico del capodanno celtico: il semain, cioè praticamente halloween (31 ottobre-1 novembre). In questo giorno, i Celti, gli antichi Galli, coi loro druidi oltre ad abbandonarsi a libagioni, andavano a piantare un albero nella foresta, come facevano anche quando nasceva un bambino. Dalle loro usanze di augurarsi un buon principio nasce la leggenda del baciarsi sotto il vischio, pianta per loro sacra. Quest’ultima tradizione ricalca l’adorazione per la dea sabina della forza Strènua, da cui deriva il combattere “strenuamente”. Da Strenua deriva anche il vocabolo “strenna”, che capita a fagiolo proprio a Natale: chi non conosce le strenne di Natale? La strenna indica però anche un ramoscello, di alloro con molta probabilità, regalato al re dei Sabini in segno augurale, oppure regalato dai clientes ai propri mecenati e dai cives (cittadini) all’imperatore. A S. Severino e nella Valle in genere ma anche nell’Agro Nocerino e nell’alta Valle del Sarno, a Natale si mangia il brodo di pollo, con gallina paesana imbottita (‘mbuttunata) con fegatelli, uvetta, pinoli e anche pezzi di mela. Il pollo è un ideale secondo, mentre come contorno non possono mancare sulla tavola dei commensali di tali luoghi sopra citati i broccoli di Natale, tipici appunto di questo periodo dell’anno, con insalata di rinforzo e tra i dolci – dopo le noccioline tostate, le arachidi, la frutta secca e i frutti di stagione (arance, clementine e mandarini, non disdegnando l’ananas) – i tradizionali struffoli, gli scaldatelli (o “scauratielli”), consistenti in zeppole fritte al miele e infine rococò, mostaccioli (il dolce preferito da S. Francesco, che volle assaggiare in punto di morte), divini amori, pasta di mandorle a forma di frutti e il classico torrone (ossa dei morti da regalare a novembre, in latino “cupeta”). La vigilia è tradizione mangiare in ora tarda (le 18, col cenone) e di magro, ossia senza la carne: sulla tavola sanseverinese il posto di onore in questo giorno va agli spaghetti ai lupini di mare o agli spaghetti con acciughe e noci; per secondo baccalà, opportunamente “sponsato” in tutte le salse: fritto, all’insalata con pupacchielle e sotto forma di polpette. Anche il capitone e l’anguilla fanno parte integrante della gastronomia culinaria di tutta la Valle dell’Irno e del Sarno. Il panettone e il pandoro invece, pur essendo prodotti italianissimi, sono più consumati al Nord. Natale si dice in Inglese Christmas, in Francese Noel, in Spagnolo Natividad.