Avellino: tradizioni popolari a convegno a Rotondi
Una proficua occasione per riscoprire le antiche tradizioni e le peculiarità degli ancestrali retaggi sparsi per il territorio, ritraendone un unico denominatore, delle radici comuni: è quanto è accaduto in occasione di un riuscito convegno in quel di Rotondi, ridente paesino di tremila anime in provincia di Avellino ai confini con il Beneventano, dove il 26 dicembre di ogni anno si rinnova l’antica usanza del Ciuccio di Fuoco, tipica della località ma anche del comprensorio sanseverinese. E appunto una sorta di “gemellaggio” ideale, in nome dell’antropologia, è avvenuto tra Mercato S. Severino e la cittadina irpina durante il dibattito organizzato dalla pro loco “La lanterna” di Rotondi, nella gentile e fattiva persona di Raffaele Laudato, il responsabile, nella serata del 28 dicembre scorso presso l’aula consiliare del Comune. Un incontro – seguitissimo dagli abitanti della zona – certamente importante, soprattutto per il calibro dei relatori, come l’antropologo Claudio Corvino, lo storico delle religioni Erberto Petoia e Vincenzo Capuano, di un’associazione demologia ed etnografica proveniente da Macerata Campania, dove vi sono dei suonatori di botti, tini e falci: un’altra realtà antropologica costituita da musica e tradizioni…Oltre ai già citati intervenuti, anche l’esperta di tradizioni popolari sanseverinese Anna Maria Noia e il presidente dell’associazione “San Magno”, sita ed operante nella frazione di S. Severino Acigliano, Gerardo De Dominicis. A coordinare il tutto il presidente della pro loco Raffaele Laudato; saluti da parte delle autorità di Rotondi, luogo ospitale, accogliente e aggraziato: abitato da persone simpatiche e cordiali. Il tema che ha accomunato le due cittadine, una in provincia di Salerno e l’altra, come detto, dell’Avellinese, è stato proprio il Ciuccio di Fuoco. Gli esimi relatori hanno trovato punti di confronto e di analisi cogliendo analogie e differenze tra il manifestarsi delle due tradizioni, una appunto a dicembre e l’altra (a S. Severino) il 15 agosto, solennità dell’Assunta, momento di culto cui gli aciglianesi tengono molto. Di comune accordo gli intervenuti al dibattito hanno proclamato che tali iniziative studiate dalla demologia – cioè le due celebrazioni del Ciuccio – concatenate anche con il carnevale e il capodanno, si verificano durante i momenti di transizione, i passaggi da un periodo all’altro. In particolare ogni relatore ha spiegato una diversa sottotraccia e una diversa angolazione di questa antica e sentita kermesse: ad esempio Anna Maria Noia ha sottolineato l’apotropaicità e contemporaneamente la lustralità purificatoria del fuoco, un elemento fondamentale, cruciale per gli studiosi di antropologia e di simbologia, argomento cardine per poter parlare poi del Ciuccio. Invece l’antropozoologo Corvino, illustre e famoso, come del resto Petoia, ha seguito il fil rouge della figura dell’asino, come “sovvertitore” dell’ordine cosmico (Kosmos e Caos), come “paramelodico”, “sgraziato”, con un suono orribile ma al contempo non figura umile, come tutti pensano, bensì simboleggiante la regalità – vedi l’episodio biblico dell’asina di Balaam e nel Nuovo Testamento l’incedere di Gesù nell’ingresso trionfale a Gerusalemme proprio sul dorso di un’asina. Ancora, il ciuco a stigmatizzare il carnevale, grazie alla cosiddetta “Messa dell’episcopello”, in cui – sovvertendo appunto la “normalità” quotidiana con le sue “caste” e le regole prestabilite nella costruzione della società – i cardinali servivano gli schiavi e non, come usualmente, al contrario: anche l’asino aveva il suo ruolo, in questo discorso…Tutta la letteratura, inoltre, è piena della figura di questo animale apparentemente mite e invece – come abbiamo visto – dotato di una grande dignità e regalità. Dissertando e discettando, sviscerando tale tematica, sicuramente interessante e ricca di riferimenti storico-culturali-antropologici, ci si è addentrati anche in una piccola “provocazione” tra il giovane (anche se tutti i protagonisti della serata non erano certo anziani…) Vincenzo Capuano, e Claudio Corvino, a proposito della conservazione dell’immenso patrimonio immateriale costituito dall’antropologia e nello specifico dalle tradizioni “di nicchia” entusiasticamente esposte da Capuano: la Pastellessa, un genere musicale poco conosciuto ma affine alla pizzica e alla taranta, molto più note. La discussione riguardo la necessità di preservare tramite una pubblicizzazione “a tappeto” le particolarità etnologiche locali, soprattutto riguardanti territori poco esplorati, piccoli, realtà dimenticate e/o paesi con pochi fondi è proseguita a cena presso un lindo albergo e ristorante vicino a Rotondi (per la cronaca: “La vigna”), ma a proposito di questo lo studioso Claudio Corvino si è espresso in maniera negativa, critica, rispetto alla standardizzazione di una festa locale, asserendo che ognuno deve vivere il proprio sentimento popolare nel piccolo e nel privato, senza tanti trionfalismi o pomposità. Al termine del convegno sul Ciuccio di Fuoco come “risorsa per il presente” (“la memoria diventa cultura”) vi è stato un opportuno intervento da parte di uno spettatore tra il pubblico che ha parlato di una “versione” sulla nascita della tradizione del Ciuccio di Fuoco a Rotondi: una volta il luogo era infestato dai briganti e l’unico modo per i frati che vivevano nei dintorni di approvvigionarsi di cibo era l’introdurre un asino con delle vettovaglie in un cunicolo-passaggio segreto all’interno della chiesa. Di notte il ciuchino era preceduto da un fuoco posto dinanzi alla testa, per poterlo avvistare e così si dice sia nata la leggenda. Il far invece “scoppiare” la testa alla sagoma/simulacro nasceva – secondo l’intervenuto – dall’usanza da pare dei frati di dire: “Ora taglio la testa al ciuccio!” – naturalmente in vernacolo. Altre tradizioni di Rotondi, infine, sono gli spari di archibugi a Pasqua e la distribuzione del pane a S. Antonio abate.