Per una comune identità europea, prima di tutto “il lavoro”
Chi potrà salvare questa “sgangherata” Europa? Purtroppo, nonostante i tentativi sempre più inutili, si corre velocemente ed in modo inarrestabile, verso il suicidio. L’Europa è in crisi: in una crisi profonda, purtroppo, dalle difficili soluzioni; il possibile, diventa sempre più impossibile. La crisi europea non è solo strutturale; non è solo economica; non è solo da debito pubblico. È, oltre a tutto questo insieme, e prima di tutto questo, una profonda crisi umana, sociale e culturale; si tratta, tra l’altro, di una profonda crisi di appartenenza e di identità. In modo assolutamente ingenuo, ingannevole e fuorviante, si è pensato che, fatta l’Europa dei banchieri, fatta una ballerina moneta unica (l’euro), tutto magicamente sarebbe stato unito nel nome di un’Europa dei popoli; un sogno, purtroppo, incompiuto ed ancora tutto di là da venire. Non è così; non è stato così; non poteva essere così. L’Europa aveva ed ha un grande bisogno di unità umana; trattasi di un’unità seria che deve partire, prima di tutto, dal bisogno della sua gente di sentirsi, nella differenza, un popolo solo, un popolo umanamente e culturalmente coeso e solidale; un popolo che sa fare delle differenze e delle diversità, un importante valore d’insieme. Un popolo attento alla democrazia ed allo sviluppo della sua gente diversa per lingua, tradizioni, abitudini di vita, facendo in modo responsabilmente serio che nessuno ne resti fuori o resti irrimediabilmente indietro. Questi sono alcuni dei tanti presupposti per fare dell’Europa un insieme di stati coesi e solidali, nel reciproco rispetto degli uni verso gli altri e delle differenze, viste come importanti risorse d’insieme, utili a poter stare tutti meglio. Questa è l’Europa unita; questo è il sogno del federalismo europeo a cui hanno per lungo tempo pensato i tanti padri di una vera e grande Europa, unita nella diversità della sua gente; quel progetto che viene da lontano è ancora un progetto incompiuto e va intelligentemente ripreso, sempre che se ne è capaci, evitando quel naufragio possibile che è purtroppo dietro l’angolo e potrebbe rappresentare la fine di un grande sogno della vera unità dei popoli d’Europa. Perché il male oscuro di insofferenza umana degli uni verso gli altri non permette che si realizzi quel lontano progetto di unità d’Europa che servirebbe non solo a poter vivere bene nel vecchio continente, ma anche nel resto del mondo che ha bisogno dei riferimenti forti legati all’antica civiltà europea, senza la quale il futuro del mondo avrebbe molto da soffrire? L’Europa, è inutile nasconderselo, vive in una condizione di grave crisi; è in crisi perché non ha di fatto mai avviato un progetto d’insieme umano e di vera solidarietà tra le sue tante diversità, una ricchezza per tutti. In questi anni di Europa unita più virtuale che reale, è mancata quell’anima europea, senza la quale è difficile stare insieme, in quanto gli egoismi e la diffidenza, prevalgono sui valori d’insieme e sul cammino solidale di un unico popolo d’Europa. Tutto questo è mancato, perché è mancato un vero progetto di Europa Unita. È mancata la cultura dell’unità nella differenza; è mancato il senso della fiducia e del reciproco rispetto. È mancato, tra l’altro, il contributo culturale delle menti pensanti, responsabilmente impegnate ad unire tutto ciò che purtroppo era ed è profondamente diviso. È mancato quel pensiero unico nella diversità, capace di produrre i saperi di un insieme europeo, necessari per dare agli europei quella forte anima di popolo d’Europa, impegnata a camminare insieme per costruire quell’insieme di saperi, per un unicuum della storia umana e sociale dell’Europa verso un nuovo cammino di civiltà. È mancata una scuola dai forti linguaggi europei; è mancata una comunicazione autentica capace di promuovere responsabilmente la disunita anima europea, indirizzandola ad obiettivi comuni di civiltà in un mondo in cammino verso orizzonti sempre più globali, con l’uomo in accelerato movimento verso realtà sconosciute, per diventare “protagonista” di vita circondato da una catarsi di libertà (prima di tutto di libertà dal bisogno, mai avvertita prima). L’uomo d’Europa, in questo breve e tormentato percorso di insieme europeo, ha parlato il linguaggio unico dell’economia; anche, anzi soprattutto la politica, nonostante il Parlamento europeo, non ha saputo rappresentare con forza un progetto di unità dei popoli d’Europa, forti della loro diversità. Ha sempre prevalso e con forza lo spirito della divisione sulla condivisione; ha sempre prevalso politicamente la volontà dei più forti e delle scelte dei più forti sui più deboli; ha prevalso sempre e comunque il pensiero unico dell’economia sui sogni umani e sociali messi da parte, perché considerati scioccamente secondari rispetto ai bisogni di gloria dell’economia e della finanza, impegnati ad assaltare, per i loro affari e per far crescere le loro ricchezze, la gente d’Europa che è così diventata vittima di un sistema di potere sempre più infame, per essersi sistematicamente allontanato dal progetto originario dei popoli d’Europa, uniti e protagonisti attivi nell’affrontare le grandi sfide del Terzo Millennio. Il progetto della civiltà d’Europa, forte dell’anima della sua gente, è stato un progetto secondario e quasi del tutto in ombra. Poca l’attenzione suscitata; poche le cose scritte e dette; anche il mediatico, volgarmente invasivo e sempre pronto ad invadere l’intimità della gente, ha trattato con superficiale indifferenza il progetto della civiltà d’Europa, con protagonisti di primo piano i suoi popoli, portatori di quelle diversità, un dono ed una grande ricchezza per tutti. Mentre sul titanic d’Europa, purtroppo prossimo ad affondare, nonostante la forte personalità germanica di Angela Merkel, condottiero austero egoisticamente attenta al prevalente bene del suo paese, c’è l’ombra di un suicidio difficile da evitare, il giornale La Repubblica (mercoledì 25 gennaio 2012), con il titolo “La nostra scommessa davanti alle tre A”, anche se in notevole ritardo, apre un interessante dibattito, chiamando a confronto sul futuro europeo i Direttori delle più prestigiose testate internazionali. Anche se l’Italia e non solo l’Italia, è sempre più distratta nell’importante ruolo della lettura per la formazione del cittadino, plaudendo all’iniziativa, dico che non mancherà di dare i suoi buoni frutti. Un suggerimento ed un augurio è che gli autorevoli contributi pubblicati, parlino in senso pieno dell’Europa dei popoli e non solo del pensiero unico dell’economia e della crisi dell’euro. Se si fa questo e solo questo, sono assolutamente convinto che le cose dette non servano a niente ed a nessuno. In alternativa è importante riflettere sull’unità d’Europa, sull’appartenenza e l’importanza delle diversità, sulla cultura d’Europa, sull’educazione finalizzata ad unire, sulla formazione permanente e ricorrente, sulle nuove conoscenze e sui saperi d’insieme, sulla comunicazione autentica, sugli stili di vita, sulla qualità della vita e su quella crescita economica e sullo sviluppo che devono contribuire, prima di tutto, alla crescita dell’uomo del nostro tempo. Questo serve ai cittadini d’Europa. Questi contenuti devono animare il dibattito aperto dal giornale “La Repubblica”, che ha ospitato come primo timido intervento il Direttore di Le Monde Erik Izraelewicz. Un intervento allarmato quello del Direttore di Le Monde. Alla base delle cose dette, la crisi economica europea e la zona euro sempre più minacciata dal rischio di esplosione. Alla base delle cose dette dal Direttore di Le Monde c’è la crisi economica ed il difficile viatico per salvare l’euro; in primo piano la Grecia, prossima al fallimento e l’Italia che, pur avendo imposto tanti sacrifici, rischia di fare comunque la stessa fine della Grecia. Il tentativo italiano di mettere in ordine le finanze pubbliche, non ha prodotto gli effetti sperati. L’atteso miracolo scrive il Direttore di Le Monde, può forse venire da quel nuovo trattato intergovernativo, con una nuova governance economica in seno alla zona euro. Sarà possibile? Quale la risposta dei popoli d’Europa? Dice Erik Izraelewicz, “i governi si accapigliano come se niente fosse”. Mentre succede tutto questo, la gente d’Europa è assolutamente indifferente. La crisi non favorisce la solidarietà, ma come afferma il Direttore di Le Monde, alimenta gli egoismi, i nazionalismi e la tentazione di un ripiegamento su se stessi. La crisi si può vincere se c’è condivisione; se cresce la solidarietà. Avremo all’orizzonte questi scenari? L’Europa di fronte ai grandi cambiamenti in atto nel mondo, si può salvare solo se saprà unirsi in modo convinto e solidale. Le tre “A” del mondo, Asia, America e mondo arabo, sono destinate a dominare il mondo. Per difendersi al loro potere schiacciante, richiedono un’Europa seriamente unita ed integrata. Conclude il Direttore di Le Monde dicendo che, il 2011 è stato l’anno della primavera araba; c’è da augurarsi che il 2012 non sia l’anno dell’autunno europeo. È questo l’allarme e la preoccupazione di tutti quelli che vorrebbero un diverso possibile futuro per l’Europa e per il mondo. Che succederà? Il tempo gentiluomo ci dirà la verità, una verità prevedibilmente amara e senza appello per ciascuno di NOI. Fin che siamo in tempo, difendiamo il difendibile, facendo così il nostro dovere di uomini liberi attenti al futuro dei figli, di cui assolutamente non possiamo pensare di esserne i ladri.