Donne allo specchio: una sola volta e’ sempre una di troppo
L’attualità più stringente ci pone sempre più spesso a confronto con l’aumento della violenza contro le donne. Certo, assurgono agli onori della cronaca i casi più gravi e/o con risvolti particolarmente intriganti per l’opinione pubblica. Un dato preoccupante riguarda proprio questi ultimi: è in aumento il numero di donne che vengono uccise da uomini con cui avevano legami di tipo affettivo, siano essi padri, mariti, fidanzati o amanti, poco importa. I giornali ed i media in generale usano (ed abusano) con molta disinvoltura il termine “raptus”, spesso condendolo con il complemento di specificazione “di gelosia”. In realtà il cosiddetto “acting out”, ovvero il termine tecnico del profano “raptus”, che poi designa un repentino passaggio dall’azione ideica a quella concreta, è piuttosto raro. Senza voler entrare nello specifico di casi ormai noti, questo scritto si propone di entrare, il più possibile in punta di piedi pur senza celare scomode verità dietro pietosi e marci veli, nella realtà quotidiana di migliaia di donne che subiscono abusi fisici e/o psicologici. Le radici di una cultura misogina e fortemente limitante il ruolo sociale della donna sono in larga parte responsabili del clima omertoso e di scarsa condanna morale nei confronti della violenza domestica nel nostro Paese. Sono moltissime le donne che, ancor oggi, subiscono e sopportano botte, umiliazioni, coercizioni, abusi sessuali, convinte che in qualche misura siano eventi ineluttabili. Non è così, non è mai così. Il meccanismo psicodinamico che si innesta è drammatico. La nostra cultura, viziata da secoli di stereotipi alimentati ad ogni livello socio-culturale, vorrebbe ancor oggi la donna come una sorta di “angelo del focolare” destinata al ruolo di moglie e madre, spesso in condizione di sudditanza psicologica ed economica. Può sembrare paradossale, in un’epoca in cui termini come “stalking” sono ormai noti e configurano reati perseguiti (finalmente) anche in Italia, eppure moltissime donne non sanno ancor oggi riconoscere i segnali che qualificano gli abusi come tali. Ci sono donne convinte di meritarsi le botte, i ricatti economici, i controlli ossessivi ed ossessionanti posti in essere dal partner, le violenze psicologiche. Sono donne cresciute in famiglie in cui l’abuso era presente, donne che hanno introiettato un ideale di figura femminile distorto dalla famosa cultura misogina, sono soprattutto donne la cui autostima non si è mai sviluppata o che è stata fortemente compromessa. Si parla tanto di prevenzione in svariati ambiti, ma di prevenzione in contesto di violenza domestica mai. Allora parliamone, partendo da questo riflesso di “Donne allo specchio”. La prima considerazione che è opportuno porre in essere riguarda il concetto di amore. Cosa sia l’amore è impossibile quantificarlo e definirlo in un solo scritto, ma sicuramente possiamo riflettere su cosa non sia amore. Non è amore il desiderio di prevaricazione, il sentimento di gelosia tipico di un soggetto insicuro e, in alcuni casi anche patologico, non è amore inibire la libertà personale, certamente non è amore picchiare o violentare la propria compagna. Come ci si può difendere? La regola aurea è tanto semplice da enunciare quanto difficile da applicare: non lavare i panni sporchi in famiglia ma denunciare sempre alle forze dell’ordine. Nelle famiglie in cui è presente un uomo violento spesso si riscontrano altri elementi di disagio, non necessariamente di tipo economico e/o sociale. E’ un falso mito credere che le violenze e gli abusi avvengano con più frequenza nelle famiglie povere o socialmente emarginate. Una donna vittima di violenza domestica si sente senza speranze: il maschio violento tende a “fare terra bruciata” attorno alla propria vittima, isolandola dagli affetti, rendendola dipendente economicamente e psicologicamente facendola sentire inutile ed incapace. Come riconoscere un potenziale violento? I segnali ci sono sin dagli inizi di un rapporto affettivo, ma sovente si è troppo coinvolte emotivamente per poterli valutare con oggettività. In generale è opportuno non sottovalutare i comportamenti coercizzanti del partner: fare attenzione se pretende di imporre un certo tipo di abbigliamento, di look personale, se critica spesso e volentieri le amicizie o il modo di rapportarsi con gli altri. Altro importante campanello d’allarme, e grave sintomo di mancanza di rispetto, il controllo degli oggetti personali, dal telefonino al pc, alla posta, ai documenti. Fondamentale è poi ricordarsi che se un uomo alza le mani una volta, lo ha fatto una volta di troppo. Mai, mai credere che non succederà più. Utile ma utopistico, se proprio non è possibile troncare immediatamente un rapporto ormai malato, proporre un intervento psicologico o psicoterapeutico al partner. L’essenziale per una donna è arrivare ad introiettare non solo razionalmente, ma soprattutto emozionalmente, che un uomo non ha mai il diritto di alzare le mani, e tantomeno giustificazioni se alza le mani.
Grazie, Giovanna, per questo bellissimo articolo. Condivido ogni parola sulla donna,suddita di nessuno….partner di se stessa, innanzitutto! Auguri e grazie per il tuo esempio!
Grazie per il tuo commento, sconosciuta amica. La violenza contro le donne ha radici antiche, estirparla un dovere di ogni Paese civile. Purtroppo in Italia il problema si sta aggravando, credo che affrontare il tema possa solo essere utile. Spero tanto che qualcuna abbia il desiderio di raccontare come si ritrova, o non si ritrova, nei riflessi di ” Donne allo specchio” che, lungi dal voler essere uno spazio femminista, si ripropone di affrontare temi anche difficili, duri, con occhi femminili. Per ora i miei, spero presto di tante altre. Mi farebbe piacere, anonima Amica, che raccontassi le tue emozioni di fronte al mio articolo: altre donne si rispecchieranno in te, in noi.
Grazie.
Giovanna
Mi complimento con l’autrice di questo articolo, documentato, lucido e privo di “colorazioni” più o meno partitiche.Concordo con la commentatrice anche se dovrebbe spiegare cosa significa “partner di se stesse”. Questo è un concetto ostico alla logica, ma non si sa mai …
Signor Gianluigi, grazie per il commento. In verità questo scritto vuole essere semplicemente divulgativo, di documentato ha ben poco. E’ certamente possibile comporre un articolo professionale sull’argomento, ed e’ nelle mie intenzioni, tuttavia in termini tecnici sono spesso aridi. Una donna vittima di violenza ha bisogno di aiuto e di sostegno, prima di tutto, poi la si puó aiutare a comprendere il perché dei contesti. Mi comprenderà che non si puó spiegare ad una donna vittima di un uomo violento che la colpa non e’ sua, perché magari non ha stirato bene la camicia o non ha indossato una gonna al polpaccio, ma solo ed esclusivamente di chi e’ violento, vuoi per insicurezza interiore, per frustrazione personale, per indole o per cultura personale. L’essenziale e’ non cercare giustificazioni alla violenza. Nessuno e’ nato per essere schiavo di qualcun altro, chi afferma il contrario a qualsiasi titolo e’ semplicemente da commiserare per la propria cieca ottusità . Purtroppo ancor oggi la cecità ottusa e colpevole e’ diffusa. Questa frase di Alessandro Morandotti offre un buon spunto di riflessione per chi crede che l’uomo abbia il diritto di sentirsi superiore alla donna: ” Nessuno e’ infallibile. La creazione dell’uomo ne e’ la prova”. La teoria dell’evoluzione insegna che tuttavia esiste la speranza di migliorare la specie. Personalmente credo che uomo e donna siano certamente diversi a livello fisico, ovvio, e psichico, ma che la dignità sia e debba essere identicamente rispettata.
Cordialmente.
Giovanna Rezzoagli Ganci
@Gianluigi
Con l’espressione “partner di se stessa” intendo dire proprio “compagna, amica di se stessa””, una persona che si vuole bene,lei innanzitutto.Quindi farsi aiutare eventualmente sul piano dell’autostima, della sua immagine di donna, di mamma, di professionista.Non consentire mai “quella volta di troppo”, perchè sarebbe già troppo tardi. In conclusiione,Io penso che in un rapporto d’amore non debba mai venir meno la stima reciproca, che ne deve essere la base .
Spero di aver chiarito il mio pensiero.
Giovanna,
direi che l’argomento è stato presentato bene in tutti i suoi risvolti, per cui non resta molto da aggiungere.Forse resta da spendere qualche parola anche sul rovescio della medaglia e cioè chiedersi se a volte non è anche la donna a portare all’esasperazione l’uomo,il quale,purtroppo può arrivare a manifestare la sua debolezza con la forza e con la
violenza.Io potrei portare due esempi che sono l’uno il risvolto dell’altro.Ho un’amica, la quale pur essendo una persona colta e professionalmente preparata,non ha saputo ribellarsi ad un uomo che praticamente l’ha schiavizzata per una vita.Un rapporto che è durato da quando lei era una ragazzina di 13 anni e lui 18,fidanzamento durato 13 anni, matrimonio circa 20 .C’erano tutti gli ingredienti che tu, Giovanna,hai così bene analizzato: gelosia ossessiva, senso di inferiorità, concetto di scegliersi una donna ancora ragazzina per crescerla a sua “immagine e somiglianza”, ricatto sociale e culturale ecc..Lei isolata quando, prossima alle nozze, ha detto a suo papà che voleva ripensarci..Suo padre le ha risposto che ha avuto 13 anni per pensarci e “doveva solo cospargersi il capo di cenere”, perchè in paese la loro reputazione di buona famiglia borghese sarebbe stata rovinata. Siamo negli anni ’80 non nel medioevo.Matrimonio infelice, vendette trasversali per i dubbi prematrimoniali, tre figlie una dietro l’altra, umiliazioni più o meno nascoste agli occhi delle bambine ,finchè queste non sono diventate grandi e finchè un altro uomo non le ha dato la consapevolezza e la forza di affrontare “il mondo”. Ce l’ha fatta ad affrontare il mondo con la risvegliata autostima da anni distrutta, ma l’ha pagata cara sul piano giudiziario e personale.Da mamma preoccupata delle figlie, che non volevano affrontare un tribunale ed esseere sulla bocca di tutti,ha evitato loro questo sacrificio e anche sotto la minaccia del marito,si è addossata praticamente le colpe per non mettere tutto in piazza e il marito (infedele)ne è uscito illibato,ha avuto diritto a vivere a casa (della moglie)con le figlie. Queste hanno accettato di abitare con lui, perchè sapevano che la loro mammma c’era sempre ,mentre il papà l’avrebbero perduto,come lui continuava a dire, se avessero scelto di stare con la madre.Questa donna, vittima di tutti,avvocati compresi (quali maschilisti emeriti, nonchè amici del marito) penso che sia l’unica in Italia ad essere stata condannata a lasciare la sua casa ( ereditata dalla sua famiglia) e a pagare la retta al marito per le figlie, anch’ esse poco comprensive nei suoi confronti,perchè “se lo aveva sopportato fino ad allora, poteva continuare a farlo, senza che si creasse il pandemonio”. Il massimo per una donna che ha dato tutta se stessa per la famiglia, è pagare l’amaro prezzo del silenzio carico d’amore,con l’isolamento e l’incomprensione di tutti, anche delle figlie.Non potrò mai dimenticare le sue lacrime quando mi ha raccontato della sua vita, fiduciosa nella mia comprensione…allibita!
POi c’è anche l’altro aspetto. Proprio ierisera, commentando l’ultimo uxoricidio, un ns amico di famiglia ha risposto:”l’ho capisco!” Luiinfatti,reduce da un matrimonio infelice fatto all’età di soli 20 anni, molto tempo fa,si è deciso a lasciare la moglie dopo che questa gli ha fatto pervenire ufficialmente la sua intenzione di divorziare. Ma da allora non gli ha dato più pace: “stalking” continuo, telefonate notturne, diffamazione ecc…
Lui è una persona equilibrata ma ormai anche molto insofferente e stanco.
Ecco,secodo me dovremmo cominciare ad essere più maturi ed affermare che due persone stanno insieme per amore,nel migliore dei casi,ma sono due individualità diverse, due PERSONE diverse,pur nelle loro reciproche “affinità elettive”.LA grandezza d’animo e quindi la vera forza, in questi casi consiste in una presa di coscienza duna”rivalità rispettosa”. Più facile a dirlo che a farlo? Certo, ma bisogna provarci.
Cara Amica, anche a te rispondo quanto già scritto a Gianluigi: l’argomento e’ vasto e mi ripropongo di affrontarlo da un punto di vista piú tecnico. Le tue testimonianze sono preziose, rispecchiano in toto la casistica. I casi in cui la vittima di violenza domestica sia un uomo rappresentano circa il 5% del totale, anche se esigua e’ comunque una percentuale che non si deve sottovalutare. Il tuo amico di famiglia ha tutti i diritti di denunciare quello che si profila come un caso da manuale di stalking. Il caso della tua conoscente incarna in pieno tutto il dramma di una vita rovinata dalla violenza . A cominciare dal padre piú interessato al maledetto giudizio degli altri piuttosto che alla felicita’ ed al benessere della figlia. Per continuare col marito padrone che rappresenta il perfetto esempio del maschio frustrato e frustrante, che necessita di sentirsi qualcuno prevaricando la compagna. La conquista piú grande per un essere umano e’ la consapevolezza di valere per ció che si e’, non per ció che gli altri ti dicono di essere. Addolora osservare che ancor oggi tante donne e tanti uomini si lasciano strumentalizzare da ideologie e stereotipi che servono solo a schiavizzare la mente e ad offuscare la libertà di pensiero. A chi giova un essere umano schiavo? Di certo non alle vittime, di se stessi e degli altri. Grazie Amica per la tua testimonianza. Spero che altri trovino il coraggio di non sentirsi troppo soli leggendo le tante miserie che coinvolgono tutti, prima o poi.
Cordialmente.
Giovanna Rezzoagli Ganci
Buongiorno Giovanna, il tuo articolo rispecchia esattamente la situazione in cui mi sono trovata io. I segnali non li vedi o se li vedi sorvoli…fino a quando ti ritrovi in un vicolo cieco, da cui è difficilissimo uscire. Nel mio caso ne sono uscita in parte, nel senso che ho dovuto denunciare sia civilmente che penalmente il mio ex compagno. Provengo da una famiglia tranquilla, dove non ci sono mai stati particolari screzi, di buona estrazione sociale. Lui no, ha vissuto situazioni molto brutte, il tutto condito da una assoluta mancanza di razionalità in tutti i loro rapporti. Da poco c’è stato il processo per la causa penale, ed è riuscito con una contro causa ad inventarsi cose assurde, per esempio che l’ho picchiato io con un anello ecc…. Morale l’hanno assolto, senza nemmeno convocarmi per testimoniare, per cui io oltre ad aver perso un incisivo ho perso pure la causa. Vedrò se andare in appello, non so ancora, vorrei veramente chiudere con queste pagine della mia vita. A parte questa mia vicenda personale, quello di cui mi sono resa conto, è l’assurdo atteggiamento delle persone. Gli uomini davanti a tutto questo non si stupiscono e si difendono tra di loro (in primis le forze dell’ordine), sino ad arrivare quasi a colpevolizzare le donne. Le donne, di contro, quelle che dovrebbero essere più sensibilizzate al problema, tendono a coalizzarsi spesso con gli uomini, con il risultato che chi purtroppo finisce in queste trappole, oltre a doversi districare dai fili di ragnatela del partner, deve anche combattere all’esasperazione per essere creduta.
Anche perchè non dimentichiamo che questi personaggi sono molto furbi, e cercano di non lasciare tracce o ti costringono con una calcolata dolcezza a cancellare quelle che lasciano per errore (il mio dente si è casualmente rotto perchè sono inciampata in corridoio). Vorrei che le semplici regole descritte nel tuo articolo fossero insegnate alle bambine già da piccole, magari a scuola, insieme a quelle di non accettare caramelle dagli sconosciuti, forse sarebbe un passo avanti per tutti, maschi e femmine.
Spero di non essere andata fuori tema.
Delia, il tuo commento e’ per me un motivo di non sentirmi inutile. Io non sono una giornalista, scrivo per desiderio di condivisione e con la speranza che a qualcuno possa servire ció che scrivo. Lo dico con umiltà, pronta ad accettare critiche e/o dissenso. Non nascondo di essere profondamente scossa dalla tua testimonianza, pur sapendo che la tua storia e’ comune a tante donne. Hai messo in luce due punti salienti: l’astuzia che contraddistingue il violento e l’appartenenza ad una famiglia problematica. Questo non lo giustifica minimamente, sia chiaro, costituisce comunque un elemento utile a comprendere l’origine dell’amore malato di cui tu sei stata la vittima. Trovo davvero eccezionale il coraggio che hai dimostrato nel raccontare la tua esperienza, anche nel doloroso buio dato dal clima di omertà che e’ alimentato anche dalle donne. Quante madri fanno finta di non vedere e consigliano alle loro stesse figle di portar pazienza? Quante madri giustificano i figli violenti? Non oso ipotizzare una risposta. Come ho scritto nel mio articolo, in Italia non si attua alcun tipo di prevenzione della violenza domestica, anzi, si trovano persino degli apologeti della sottomissione femminile nei confronti dell’uomo. Inutile dire che di lavoro da fare, sia a livello sociale che culturale, ma anche di tipo socio sanitario e soprattutto di corretta informazione mediatica ce n’è tantissimo. Io in diversi scritti ho sottolineato come sarebbe utile un corso scolastico di educazione all’affettività , che oltre ad informare permetterebbe ( se tenuto da personale esperto) di individuare tempestivamente situazioni di rischio. Inutile dire che sono parole al vento. Ma sai, cara Delia, io credo nell’ effetto Butterfly, e non ho nessun timore a increspare il vento con i miei scritti. Se poi servono a squarciare i veli marci che coprono tanto dolore, vuol dire che non ho sprecato il mio tempo.
Ti ringrazio per avermi ritenuto degna di raccogliere la tua testimonianza, spero che altre seguano il tuo esempio. E’ un coraggio terapeutico che segna l’inizio della guarigione. Perché guarire si puó , anche se forse non lo si crede possibile dopo avere subito tanto.
Ti auguro di ritrovare un poco di serenità. Sarei onorata se quando accadrà mi mettessi a parte di ció .
Ti abbraccio
Giovanna
C’è scritto quello che è capitato a me. Si capisce dopo. Mi ci sono rivista nel racconto. Signora Giovanna Rezzoagli penso che il suo articolo può aiutare tante donne giovani a non fare i miei sbagli. Grazie per aver descritto benissimo la realtà per quello che è.
Gentile commentatrice, la realtà sembra essere questa per molte donne. Che fare? Il primo passo potrebbe essere quello di volersi bene, onde evitare di cadere tra le braccia del primo venuto. Il secondo quello di non concedere a nessuno il diritto di dirci come vivere. Sono le basi semplici da cui partire. Poi ci vuole tanto tanto coraggio per affrontare la vita. Auguri.
Giovanna