La scelta universitaria: il primo passo verso il futuro

Caterina Scarpetta

Una delle scelte più complicate che si presenta al giovane adulto, subito dopo aver conseguito la maturità, è quella universitaria. Oggi sono molte le facoltà e i corsi di laurea più specifici a cui è possibile iscriversi, così come sono aumentate anche le università presenti in Italia che offrono molti servizi ad ogni studente, a seconda delle sue esigenze. La scelta della facoltà continua peròa causare non pochi problemi. Lo studente, infatti, è combattuto tra scegliere il percorso più coerente alle sue capacitàe la strada che al giorno d’oggi offre più possibilità di lavoro e quindi futuro. La maggior parte delle volte, proprio a causa di ciò, i giovani rischiano di intraprendere una carriera universitaria distante dalle loro vocazioni e  predisposizioni. L’opinione comune diffusa, data dal contesto sociale, vede alcuni settori ormai saturi in cui è impossibile accedere e, di conseguenza, riuscire a realizzarsi dal punto di vista lavorativo. Questo messaggio che, continuamente e insistentemente, arriva alle orecchie dei giovani studenti non fa che confonderli ed indirizzarli verso una scelta dettata dalla testa più che dalla passione. In questo modo i giovani, carichi di desideri e sogni, vengono impauriti ed immediatamente condannati senza neanche aver dato loro la possibilità di combattere per raggiungere i loro obiettivi.

4 pensieri su “La scelta universitaria: il primo passo verso il futuro

  1. centrato in pieno il dilemma delle nuove generazioni ed anche delle relative famiglie.ci si prodiga affinchè i figli coltivino le loro passioni,per poi ritrovarsi dei maturandi disillusi e rinunciatari.come comportarsi?assecondare una scelta piu’ realistica o spronare un figlio a combattere per ciò che ama,assumendosi i rischi di eventuali fallimenti,tra l’altro non imputabili alle capacità?

  2. Ma oltre alla “scelta” di diventare “Dottore”, appendere magari al muro il bel diploma e dopo qualche anno di disoccupazione ri-arrotolarlo, perché non pensare subito a delle buone idee concrete? E’ concreta l’idea presa dal modello dei Kibbutz israeliani? O è solo “sconveniente”? Per giovani non demotivati da un sistema giuridico non credibile, da una società di modello parassita, dalle alte percentuali di disoccupati nei corsi di laurea psico-pedagogici, perché non scrivere un bell’articolo sulle “idee concrete”? La diffusione di “Università libere” particolarmente ricche nelle offerte formative senza sbocchi abbondano. Evidentemente a richiesta corrisponde l’offerta. Il “titolo” innazi tutto.

  3. mi rivolgo a salvatore e lo faccio da persona adulta che nella vita ha intrapreso scelte “sconvenienti”,per usare un tuo termine.con questo intendo che non trascorro il mio tempo lavorativo riscaldando una pubblica poltrona…non so invece in che veste scriva il mio interlocutore.difatti,portando come esempio i kibbutz israeliani,sembrerebbe non avere la minima idea di quale sia la realtà socio politica del nostro paese.se è vero che i giovano vanno spronati ad uscire dal torpore in cui sono caduti,è pur vero che parlare in questi termini non ha senso.in italia,chi ha provato ad essere produttivo,oggi è colui che paga di piu’lo scotto di una società che continua a premiare burocrati e parassiti.quale futuro potrebbe intravedere un giovane in questa realtà?ed è proprio qui che si deve lavorare.inutile andare a prendere ad esempio una società così diversa,come quella israeliana che è sempre stata unica in termini di associazionismo.siamo italiani,tutto il resto è utopia

  4. Rispondo in ritardo al suo commento, gentile Signora, ma spero di chiarire meglio il mio commento precedente. Quando in un Ospedale, alla reception, si trova una impiegata intenta al telefonino con l’amica, una sua collega al piano di sopra che cinguetta con il collega al computer di spiaggia e telefonino spento, di un vigilante che di fronte a file interminabili scruta lo schermo del suo “portatile” tutto immerso in Internet, trovo che questa sia la peggiore Italia (ASL 4 Chiavarese). Oggi tutti i giovani hanno un pezzo di carta in mano. E’ questo il problema? Fino agli anni ’60 qualche imprenditore faceva la posta ai diplomati dell’Istituto d’Arte di Chiavari proponendo un lavoro di disegnatore a coloro che non proseguivano. Oggi non è più possibile una “congruità” titolo / lavoro. I giovani stazionano perché con una laurea “psicopedagogica” pensano di fare una professione inesistente. Stentano anche gli Ingegneri a trovare lavoro. Nel contempo gli uliveti sono invasi dai rovi e nessuno li cura. Se una cooperativa di giovani (più o meno “dottorati”) avesse titolo per chiederne l’esproprio e farli rifiorire, non sarebbe una bella concreta idea? Magari non ci si vive in indipendenza ma si graverebbe meno sulle spalle dei genitori.
    Il guaio della cultura italiana viene dall’aspettarsi qualcosa e nel protestare diritti senza assolvere ai propri doveri. Quei personaggi della ASL4 sono reali e vanno licenziati per lasciare posto a chi il lavoro lo apprezza e s’accontenta.
    Un cordiale saluto
    Salvatore Ganci

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