Il prezzo dell’affetto
Mi trovo con un grande disagio interiore a scrivere: credo che sia difficile per chiunque confrontarsi con ciò che ha ferito la democrazia a Brindisi stamane. Una precisazione a prologo del tema di questo scritto, pensato prima di questi luttuosi accadimenti che, sia da semplice cittadina che vuol credere nell’esistenza della legalità, ma soprattutto da mamma di uno studente coetaneo della giovane uccisa e dei tanti feriti nell’attentato di stamane, credo essere doverosa. Il malcontento verso le tante disuguaglianze sociali cresce e si manifesta in modo diverso, dalla più civile protesta fatta a viso scoperto, con lealtà e pulizia morale, sino ai più vigliacchi assassinii, se possibile ancora più vigliacchi proprio perché colpiscono i più deboli. Ma torniamo al mio scritto, che vuole trattare il tema del prezzo dell’affetto. Già, perché questo io desumo con il polverone che si sta alzando sulla ventilata, e poi smentita, tassa sul possesso degli animali domestici. Da sempre ho creduto nel rispetto delle regole e delle leggi, scritte e non scritte. Chiamiamolo senso del dovere, imperativo morale, poco importa, nel mio piccolo ho cercato di rispettare tutto e tutti, fedele a quell’insegnamento che recita di non fare ad altri ciò che non si vorrebbe ricevere. La mia morale si regge su quest’assunto, e su poco altro forse. Mai copiato a scuola, mai assenze strategiche, zero bugie ai genitori. La scema di turno, si direbbe. Da adulta non sono cambiata: l’unica multa per divieto di sosta che ho preso era perché non ho visto il divieto, mi fermo al semaforo giallo, mi incavolo persino moderatamente al volante. Da scema qual sono ho già pagato persino l’acconto dell’IMU, e sto già accantonando il necessario per il saldo di dicembre. Tanto mi ritengo osservante delle leggi, tanto però mi indigno qualora vedo calpestati i diritti, miei e non. E protesto, civilmente sino a che posso, ma zitta non sto, mai piegato la testa una volta sola. Per questo quando ieri ho letto della famosa tassa sul possesso degli animali domestici mi sono indignata all’ennesima potenza. Che mi tassino pure le case, è giusto, sono una privilegiata che ne possiede tre mentre c’è chi non ne ha una. Che mi tassino le entrate, le rendite, è il minimo verso chi non ha nulla. Ma che mi si tassi il “possesso” del mio gatto, questo no, davvero non lo accetto. E’ un lusso amare un animale? Oh, no. Casomai è un privilegio essere amati da un animale, ma questo è un altro discorso. Nella mia vita ho sempre avuto due vizi: leggere (e scrivere) e prendermi cura degli animali. Mai bevuto, fumato e mai fatto uso di droghe. Non peso sullo stato per patologie causate da questi vizi, nulla. Ora mi devo sentir dire che devo denunciare il “possesso” del mio gatto diciannovenne? E va bene, passi. Giulio dorma il suoi ultimi sonni tranquilli: non sarà certo lui il primo gatto evasore fiscale di Casarza Ligure. Non sono i soldi il dunque: è il principio. Mi devo vedere tassare l’amore che do e che, soprattutto ricevo dal mio gatto. Pazienza, mi vedrò appioppare la tassa per i tre randagi (Petros-Bettino, Agata e Greta)che nutro quotidianamente. Sino al primo novembre erano quattro: Jean-Christophe è stato ucciso da un Suv davanti a casa mia. Già, quei Suv che nessuno pensa certo a tassare, come a nessun genio dell’economia viene in mente di tassare l’acquisto di gioielli o pellicce, i “veri” beni per qualcuno. O le vacanze. Figuriamoci. Tassiamo il cane o il gatto, quelli sono i veri “beni di lusso”. No, cari signori, questi sono i veri beni, e non certo un lusso. Da cittadina sono indignata, ma razionalmente, per la prima volta con viva preoccupazione, mi viene spontaneo chiedere dove si andrà a parare in un Paese dove si è arrivati a tassare l’affetto. Anche se poi il tutto si rivelerà l’ennesima boutade di un politicante dal quoziente intellettivo di poco superiore a cinquanta (forse), resta l’evidenza che a qualcuno questa genialata è passata per l’anticamera del cervello…