Giovanni Gerson e l’orazione agli angeli
Jean le Charleir (1363-1429), nacque in un villaggio dello Champagne, Gerson-lez-Barby, diocesi di Reims da cui poi prese il suo nome. Fin da ragazzo poté studiare come allievo di Pierre d’Ailly a Parigi dove ben presto fu investito della prestigiosissima carica di cancelliere dell’Università, che lo portò ad essere uno dei personaggi di maggior spicco della cristianità, travagliata in quegli anni dal Grande Scisma di Occidente, nella soluzione del quale Gerson ebbe un ruolo di primo piano al concilio di Costanza nel 1415 proponendo le sue teorie conciliatoriste. Per tutta la sua esistenza, tuttavia, egli unì agli impegni politici ed ecclesiastici, talora vissuti come un peso troppo gravoso, una grande passione per la vita dello spirito e per la cura pastorale, soprattutto della gente semplice e dei bambini. Così, la sua abbondantissima opera – più di cinquecento titoli – raccoglie scritti di natura molto diversa (dai trattati teologici ai versi dedicati a san Giuseppe, dalle opere polemiche a quelle dedicate a temi spirituali e all’educazione dei bambini), oltre a una vasta raccolta di sermoni pronunciati sia in latino che in francese. Gerson fu critico della speculazione puramente formale e degli eccessi logico-sofistici della scienza teologica ed esorta allo studio dei misteri della salvezza e dell’unione con Dio Tra le sue opere più significativa, anche per la risonanza che ebbe nei secoli successivi, segnaliamo la Teologia Mystica, opera davvero magistrale sull’argomento e fino ad ora l’unica dell’autore leggibile in italiano. Gerson nel 1425 sperimenta una sorta di conversione spirituale ed aderisce sempre più alla teologia mistica dello pseudo-Dionigi. Gerson è autore di oltre 540 opere tra cui “ La mendicità spirituale”. Qui, nel suo dialogo con l’anima , l’uomo le spiega quale sia la sua condizione dopo il peccato originale: essa è “povera”, “malata”, “prigioniera”, “miserabile”, “esiliata” dalla sua patria, ormai incapace, perché troppo debole e stolta, di svolgere il proprio mestiere, cioè conoscere Dio, amarlo e onorarlo; per questo, l’anima deve imparare a chiedere tutti i doni spirituali di cui ha bisogno a Dio e ai santi. Questa condizione così misera, che può apparire disperata, è in realtà portatrice di salvezza: Dio ha preposto, infatti, i suoi santi, e soprattutto la Vergine e Cristo, a distribuire elemosine di grazia, senza negarle a nessuno. Bisogna però che l’anima impari a salire alla chiesa celeste degli angeli e dei santi e a chiedere le elemosine. Il dialogo può esser letto come una guida per superare soprattutto il primo gradino della vita spirituale, secondo l’itinerario disegnato nella Montagna, quello in cui occorre imparare il distacco e rendere l’anima una e semplice, quindi capace di ascoltare Dio, di diventare sempre più intima con lui fino al raggiungimento delle vette del monte. All’anima che vuol essere amica di Dio, qui Gerson insegna a muovere i primi passi: innanzitutto come liberarsi dalle zavorre che la appesantiscono tenendola a terra e delle mille passioni che la disperdono impedendole di dirigersi con tutta se stessa verso Dio; poi come imparare l’annichilimento di sé e il totale fiducioso abbandono in Dio. Tutto questo l’anima può apprenderlo se si mette nelle stesse condizioni psicologiche di una mendicante, che dipende per intero dagli antri e non può contare su se stessa. L’anima deve prendere esempio dagli sciagurati, dai carcerati da tutti quelli che si trovano in qualche bisogno: con lo stesso zelo, con lo stesso impegno deve chiedere, cioè pregare. Così Gerson descrive in modo piuttosto efficace e realistico le varie categorie di poveri e ne tratteggia il comportamento, perché chi legge possa entrare nella loro psicologia e farsi uguale a loro. Con la stessa finezza psicologica sono descritti anche gli ostacoli che impediscono al santo desiderio di salire lassù dove stanno gli elemosinieri: le distrazioni che vengono dal mondo esterno e i bisogni, veri o fittizi, del corpo. Molto belle, infine, le similitudini con cui descrive la condizione dell’anima che è lontana da Dio: è come un povero che ha perso il gregge, ed era tutto ciò che aveva, o come un uomo a cui è bruciata la casa o a cui sta morendo il figlio, o come quei bambini che piangono e strillano perché non trovano più la mamma; e ancora come il figlio che si uccide per aver perso il padre, o la sposa che non vuol più vivere perché le è morto il marito, o l’amico che sacrifica la sua vita per salvare l’amico. Dio è presentato, con strumenti così efficaci, come l’unica ricchezza dell’anima, sua casa, suo unico rifugio, suo amico e sposo, coll’intento di far nascer nel lettore un senso di vuoto, di mancanza, che lo spinga verso l’Unico che potrà saziarlo. Segue quindi un’orazione al suo angelo e a tutti gli altri per mezzo suo; e contiene più parti. Ecco la meravigliosa preghiera che l’anima rivolge agli spiriti celesti: “Angelo glorioso, uno fra i nobili principi della città del paradiso, al quale per la divina bontà e per pietoso ordine sono affidata in custodia perché mi insegni, mi guidi, mi difenda e mi aiuti a giungere alla città del paradiso, per vivere bene e obbedire a Dio e servirlo; in questo giorno e in quest’ora, uno stato di grande necessità e povertà mi costringono a ricorrere a te. Tu lo vedi bene e ben lo sai, io sono la tua povera cieca, reclusa nelle orribili e profonde tenebre di questa prigione, quaggiù dove non c’è per niente luce spirituale per conoscere i beni della gloria. E quella poca luce che può esserci è in me come avviluppata e circondata di fiumi e nere caligini che si levano da quella sporca melma e da quelle fogne che sono i puteolenti desideri della mia carnalità e i pensieri terreni; perciò, non riesco ad andare per le strade del paradiso, dove devo chiedere di che vivere ed elemosinare, a meno che non vi sia condotta da altri o a altri illuminata. Così ti prego, guida fidata, prendi per la mano questa tua cieca; guidala per le grandi strade del paradiso, di porta in porta, dove possa gridare, chiamare, implorare, urlare e chiedere aiuto: “alla povera elemosina in nome di Dio”. E’ ben povero chi non ci vede per niente o chi non è in grado di guadagnarsi il pane. Portami in modo particolare verso i tuoi compagni, gli altri angeli, tuoi amici, tanto ricchi e pieni di grazia; presenta loro questa tua povera miserabile perché riceva elemosina. Con gioia dovranno ricevere questa peccatrice che si vuol convertire come dice Gesù Cristo; non abbiano a perdere, dunque, questa gioia nel caso Dio volesse farmi abbandonare la mia conversione per mancanza di che vivere, cosa che non posso aver senza il frutto della questua. E non vogliatemi abbandonare e rifiutarmi quel che chiedo, mio leale custode, sebbene tante volte e in tanti modi io vi abbia disprezzato operando male, facendo davanti ai vostri occhi, voi presente, cose che non dovrei aver fatto nemmeno davanti a un servo o a uno sguattero di cucina. Perdonatemi; e perdonate di nuovo le mie follie e i miei oltraggi. Sono pazza, stupida e tracotante, voi lo sapete bene, e perciò sono come cieca alla sua guida, come pazza furiosa al suo governante. Così c’è bisogno che voi diate un sostegno alle mie mancanze perché altrimenti perirò inevitabilmente, altrimenti non saprò mendicare e cercare di che vivere senza smarrirmi. Così parla l’anima come se fosse condotta in paradiso. Che vedo? Dove sono stata condotta? Vedo, seppure assai oscuramente, la nobile città del paradiso della quale sono state dette tante cose gloriose. Posso osservarvi, come nell’ombra, i nove ordini degli angeli, i patriarchi, i profeti, gli apostoli, i martiri, i confessori e le vergini. E sopra tutti, Gesù Cristo e la Madre benedetta. Sonno arrivata nel posto giusto per ricevere elemosine grandi. Così ti supplico, mia buona guida che mi hai condotta qui, fa che, tenendo conto delle mie necessità, io chieda a ciascuno secondo i doni e le grazie nei quali più abbonda; fa che io entri, confortami e insegnami a chiedere. M vergogno e ho timore di comparire; ma in nome di Dio, la necessità non ha legge, e quindi ho l’ordine di fare così, di bussare, di chiedere,di non andarmene, anche se fossi più volte cacciata, fintantoché non avrò ottenuto qualcosa; così farò. Voi, o Serafini, che siete tanto infiammati dall’amabile fuoco dell’amore di Dio, inviate una piccola scintilla di questo fuoco dentro il mio cuore che è tanto gelato, per accenderlo all’amore di Dio: non ne rimarrà certo meno in voi; oppure fate che mi possa avvicinare abbastanza da riscaldarmi. Ho materiale a profusione per avere un buon fuoco, perché tutti i doni di Dio, se non addirittura anche i miei peccati, dovrebbero in me alimentare un gran braciere; ma la freddezza della negligenza è in me tanto grande che niente riesce a prendere fuoco. Così non siate tanto duri con me da non prestarmi un po’ del vostro fuoco per accendere il mio e purificarmi, come fu a suo tempo purificato Isaia. Voi, Cherubini, pieni di scienza e di sapienza, fate scuola a questa stolta ignorante, che spesso giudica il bene male e il male bene, che si trova sempre in mezzo alle trappole e alle scorribande dei nemici; donatemi conoscenza chiara per sfuggirli, per andare diritta senza cadere, per conoscere Dio senza errore e me stessa senza troppa benevolenza, e anche per vedere con chiarezza la grande ricompensa che mi è promesse d’altra parte l’orribile forca e il fuoco eterno che mi minacciano ; infatti, se avessi queste due cose ben presenti e chiare davanti agli occhi insieme alla brevità del mio soggiorno nel corpo mortale, non peccherei giammai. Voi, troni, sui quali Dio, per l’umiltà e il rispetto profondissimi che avete verso di Lui, riposa e siede ed emette i suoi giudizi come un giudice dal suo scranno, donatemi umiltà e rispetto tali che Dio si degni di prender dimora e riposare in me, perché per questo sono creata. E questo otterrò, secondo la promessa, se sarò come vi prego di farmi essere. Voi, Angeli, rendetemi manifesto ogni giorno ciò che devo fare o sapere per me e per gli altri, con la preghiera, l’esortazione o in altro modo; mettete sulla mia bocca parole buone , sante e che servano a edificazione mia e degli altri, e tali che nessuna falsità possa contraddirle. Nella malinconia consolatemi, nell’afflizione confortatemi, nell’errore raddrizzatemi, nella durezza di cuore rendetemi duttile, nell’aridità di devozione bagnatemi di lacrime, nelle tenebre illuminatevi, nella sonnolenta pigrizia svegliatemi, nella lode a Dio siatemi compagni, nell’offesa a lui biasimatemi, nell’avversità innalzatemi, nella povertà sostentatemi, nella malattia guaritemi, nell’ora della morte visitatemi, custoditemi, liberatemi, salvatemi”.