Chi ha paura delle parole?

Fulvio Sguerso

Strano: un programma televisivo in cui si sceglievano  e si commentavano alcune parole comuni come interloquire,  sempre, poesia, primavera, quaderno, Resistenza, tempo, basta, polvere, paghetta, zio (nel senso di padrino), lusso, pane, impossibile, vita, ecc. ha scatenato la furia (peccato che questa non figurasse tra le parole scelte) iconoclastica di illustri firme del giornalismo italico come Giuliano Ferrara, Marcello Veneziani e – chi l’avrebbe mai più detto? – il severo critico catodico del Corriere della Sera Aldo Grasso, i quali, come tori davanti a un drappo rosso, si sono esibiti in assalti a testa bassa contro “Quello che (non) ho”, lo show condotto per tre sere di seguito da Fabio Fazio e Roberto Saviano su La7. Ora io non stravedo né per il mio concittadino Fazio né per lo stile letterario di Saviano (pur ammirando senza riserve il suo impegno civile),  tantomeno per quello coprolalico della Littizzetto, ma di qui a vomitar loro addosso orribili dispregi, motivati soprattutto da antipatia e avversione ideologico-politica, ce ne corre. Prendiamo la stroncatura senza appello che ne fa Aldo Grasso: che cosa lo ha tanto disgustato? “Il clima è sempre quello del rito, della celebrazione: una sorta di consacrazione laica della parola, una necessaria penitenza perché lo sproloquio si offra a noi come eloquio”. Consacrazione? Penitenza? Sproloquio? Eloquio? Che parole usa il critico per demolire il tentativo “pedagogico” (sprezzantemente definito “alla maestro Manzi”!) di sottrarre le parole scelte dagli ospiti – non proprio di bassa lega: si va da Raffaele La Capria a Ermanno Rea a Claudio Magris a Erri De luca a Enzo Bianchi a Ermanno Olmi, ecc. -all’insignificanza e all’usura  della chiacchiera mediatica quotidiana? Non ha apprezzato forse la breve ma chiara lezione di Valerio Magrelli sulla poesia o quella di Erri De Luca sulla parola “ponte” o quella, poeticissima, di Ermanno Olmi sul “tempo”? In che senso i monologhi di Saviano sarebbero sproloqui? Come si fa a dire che “sotto non cìè niente”? Le sue sono forse parole in libertà? Chiacchiere da bar? Non mi pare proprio. Ah, forse Aldo Grasso  vuol dire che Saviano non dice niente di nuovo? Può darsi, ma non si può affermare che non ci sia niente sotto le sue parole, a meno di considerare “niente”, per esempio,  le polveri velenose di Casale, la fabbrica che non usa protezioni, l’asbestosi, il mesotelioma, la morte da amianto…Che brutte parole, è vero, meglio parlare d’altro! E poi, che supponenza, che saccenteria nel ripetere la solita solfa della politica, o meglio, dei politici che “interloquiscono” con la malavita! Che noia! Che barba! “La debolezza di questo reading è che tutti ti fanno venire il senso di colpa”. Qui Grasso usa le parole in modo non tanto calibrato: se quegli sproloqui hanno il potere di ingenerare sensi di colpa tanto deboli non sono! E, soprattutto, chi si credono di essere Fazio e Saviano per pretendere di farci la morale, o, addirittura, di “redimerci”? Ma davvero era questa la loro pretesa? Possibile che uno showman “imbonitore” – così viene definito Fabio Fazio da Il Giornale berlusconiano (da che pulpito viene la predica1) –  e uno scrittore noioso e sopravvalutato con l’aureola del santo laico come Roberto Saviano ci vogliano insegnare a vivere con le loro omelie televisive? Si ribella a questa pretesa anche Marcello Veneziani, che scrive, appunto,  su Il Giornale: “Certo è stucchevole la retorica che aleggiava in studio, insopportabili certi vaniloqui con l’aria di omelie, troppo fazioso il falso ecumenismo e pesante lo sfondo di torineseria”. Ritornano parole come vaniloquio e omelia (plagio o trasmissione del pensiero?), con in più l’insopportabile “torineseria”. Perché insopportabile? Che cos’ha Veneziani contro l’ambientazione torinese dello show? Gli ricorda troppo il gramsciano “Ordine nuovo” o la gobettiana “Rivoluzione liberale”? Preferiva un’ambientazione meno evocativa di lotte operaie e di Giustizia e Libertà? Non è chiaro: “La Televirtù di Fazio segue la linea di De Amicis, il catechismo in versione laico-bigotta, i precetti a metà tra Kipling, le giovani marmotte, i littoriali fascisti in chiave antifascista, più contorno di trivialità alla Littizzetto”. E infatti così come il fascio littorio e come la littorina, anche la Littizzetto  ricorda i fasti del Regime! Geniale, non vi pare? Il fatto è che, così conclude Veneziani la sua stroncatura sconsolata: “Però la tv – piaccia o meno – educa, e se educa ammaestra, e se non ammaestra diseduca: incita, eccita, rincoglionisce”. Quasi come “Amici” o “Radio-Londra”.Gli fa eco Giuliano Ferrara sul Foglio (o è Veneziani che fa eco a Ferrara, ma il risultato non cambia): “Qualche volta dirla tutta è utile. E, comunque, quello che non ho e non abbiamo è un ministro di stato cinico come William Hague, capace di dire che bisogna lavorare di più, se necessario darsi da fare all’estero, invece di rompere i coglioni dalla mattina a sera tarda”. E così Fazio e Saviano sono serviti! E che imparino a usare bene, o a lasciar stare, certe parole pericolose come  Lavoro, Primavera, Quaderno, Impossibile, Poesia, Resistenza o Eternit!

2 pensieri su “Chi ha paura delle parole?

  1. la rete fornisce la vera libertà di comunicazione. Per il resto la televisione può andare bene per dei film che valgono la pena di essere visti. In alternativa, la buona lettura o una buona musica da un CD regolarmente acquistato. Di Giuliano Ferrara e simili personaggi se ne può fare a meno. Opinione non è giudizio.

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