L’ultimo appello pubblico del cardinale Martini: la brace ritorni sopra la cenere

Maddalena Robustelli

Ascoltando una delle tante testimonianze, offerte ai cronisti confusi tra le 200.000 persone che hanno sfilato per due giorni sotto la pioggia per dare l’estremo saluto al cardinale Martini, colpisce quella di una giovane donna. Pur professandosi atea, ha ben ribadito all’intervistatore che aveva voluto onorare l’alto prelato, perché capace di parlare indistintamente a tutti. A lei di certo il cardinale non appariva nella veste di importante rappresentante ecclesiastico, ma in quella di uomo tra gli uomini, le donne ed i bambini della propria comunità, ossia una persona con cui dialogare e relazionarsi senza alcuna preconcetta discriminante ideale o ideologica. La frase di quella ragazza, pronunciata con sincerità mista a stupore mi ha spinto ad individuare testimonianze dirette del cardinale Martini  per tributargli una personale commemorazione, che vada anche nella direzione di diffonderne il pensiero. Ho scelto l’ultima intervista, rilasciata l’8 agosto scorso e pubblicata sul Corriere della Sera perché, a detta di padre G. Sporschill, rappresenta “una sorta di testamento spirituale” dell’alto rappresentante della Chiesa cattolica in Italia. E’ proprio l’istituzione che rappresenta a costituire per il cardinale Martini motivo di viva preoccupazione: “la nostra cultura è invecchiata, le nostre chiese sono grandi, le nostre case religiose vuote e l’apparato burocratico della Chiesa, la vita, i nostri riti e i nostri abiti pomposi…….io vedo nella Chiesa di oggi così tanta cenere sopra la brace che spesso mi assale un senso di impotenza”. L’intensità sofferta di queste parole inducono, però, il prelato alla individuazione di quegli strumenti che, a suo dire, potrebbero aiutare la sua istituzione di appartenenza: il riconoscimento da parte della Chiesa dei suoi errori per avviare “un cammino radicale di cambiamento”; la giusta risposta alle domande personale dei fedeli attinte ai dogmi del Concilio Vaticano II, che “ha restituito la parola di Dio ai cattolici”, la rivalutazione dei sacramenti, non più strumento per la disciplina ed il rispetto dei dogmi ecclesiastici, ma “aiuto per gli uomini nei momenti del cammino e delle debolezze della vita”. Anche nell’avvicinarsi dell’ultimo momento di vita il cardinale Martini ci ha offerto una pregnante lezione di impegno a che si superi quel senso di sfiducia, che egli stesso percepiva nei riguardi della propria comunità di riferimento. All’interlocutore, che gli chiedeva un rimedio contro quel senso di stanchezza che pur affligge i cattolici di fronte alla loro Chiesa “vecchia di 200 anni”, consiglia il coraggio di amare, perché è “solo l’amore che vince la stanchezza, Dio è amore”.Il colloquio si conclude con una domanda sì all’intervistatore, ma dal cardinale rivolta idealmente a tutti i fedeli: “che cosa puoi fare tu per la Chiesa?”, quasi a voler richiamare i cattolici ad un impegno vissuto e concreto per la rivitalizzazione di un’istituzione bisognosa d’aiuto. A mio parere, l’estrema lucidità di quest’uomo di chiesa lo eleva la rango di chi abbia cercato fino alla fine dei suoi giorni di scuotere le coscienze individuali e collettive di quanti hanno a cuore le sorti di tale istituzione. Fermamente consapevole, pur nella malattia, che essa abbia bisogno di quel particolare soccorso che viene offerto solo da chi non ha paura di cambiare, perchè mosso invece dal coraggio di sperimentare nuove vie da percorrere per riavvicinare a tale istituzione chi è stanco e demotivato. La metafora offerta dal cardinale Martini in ultima analisi  è ben degna di questa sua invocazione ad un impegno nuovo e comune: “io vedo nella Chiesa di oggi tanta cenere sopra la brace e mi chiedo come si possa liberarla dalla cenere in modo da rinvigorire la forza dell’amore”. Quella particolare brace scalda, e come scalda, un’istituzione che sempre più assurge ai disonori della cronaca offuscata dalla cenere degli scandali, interessi, affari, collusioni, omertà e silenzi colpevoli, restituendo nel contempo un po’ di speranza a quanti oramai vivono la fede nella propria dimensione interiore  privandosi di un confronto ideale comune e partecipato all’interno della collettività ecclesiale d’appartenenza. Non sono di certo quest’ultimi “la brace” bramata dal cardinale Martini  nell’intervista, perché egli si riferisce bensì ad uomini e donne che”ardono in modo che lo spirito possa diffondersi ovunque”. Diffondersi e raggiungere il cuore pulsante della Chiesa, rinnovandola, rimotivandola e riavvicinandola ai sofferenti, ai bisognosi d’aiuto e a quanti ancora oggi le affidano il rilevante compito di guida spirituale di un’umanità in cerca di un nuovo calore spirituale. Quello offerto da una brace alimentata da chi “sia vicino ai più poveri, circondato da giovani e capace di sperimentare cose nuove”, consapevole che, osando mettersi in gioco per un fine alto ed altro, il proprio impegno personale sarà a beneficio e vantaggio di tutta la comunità cattolica di riferimento.