I media tornano sempre sulla scena del delitto
Compariva stamattina sull’home page del sito del Corriere della Sera una interessante intervista a Giuseppe Novelli, esperto di genetica chiamato in causa nel caso Yara Gambirasio, in cui si faceva il punto sulla situazione delle indagini. Un’intervista poi raccolta dai mezzi d’informazione, ma incredibilmente sparita dalla prima pagina nel giro di poche ore e dirottata nelle pagine locali del sito. Pochi mesi fa sarebbero bastate le sole indiscrezioni delle parole del professor Novelli per incendiare l’ennesima polemica sulle indagini, sui metodi di lavoro degli investigatori, l’occasione per i contenitori pomeridiani di riproporre servizi strappalacrime confezionati ad arte e tanto, tanto altro. Oggi la stessa notizia vale meno, vale meno perché l’interesse della nazione è concentrato altrove, in primis sulla politica resasi spettacolo intrigante e incerto carico di elementi di facile presa, in secondo luogo le pagine di cronaca nera sono occupate dalla più recente tragedia del Giglio, grottesca farsa con tanto di protagonista fuoriuscito da una commedia grossolana quanto reale. Così funziona, e sempre così ha funzionato fin dai tempi dell’omicidio Montesi, l’attenzione dei media si fionda sulla scena del delitto alla ricerca di ogni elemento utile a sfamare la curiosità dei lettori. Sebbene per molti risieda qui l’atteggiamento da avvoltoi dei media, sarebbe sciocco ignorare che vi è una tangibile richiesta dal basso di informazioni, di dettagli, di verità a cui far fronte, e la differenza la fa banalmente il soddisfare tale richiesta con la sensibilità necessaria o viceversa specularvi sopra. Terminato il periodo di massima esposizione, la fase immediatamente successiva al fatto, la popolarità della notizia va scemando fino a rimanere una voce nell’archivio dei tanti casi celebri di cronaca nera verificatisi in Italia. Proprio qui si innesta una problematica quasi mai affrontata: cosa resta quando la luce si sposta su una nuova tragedia? Cosa accade dopo che i media lasciano la scena del crimine? Va detto che i media tornano sempre su quella scena, tornano per riferire di tanto in tanto cosa è accaduto, a che punto sono le indagini, lì si realizza la semplice informazione, per paradosso quando più servirebbe che l’attenzione rimanga alta. Si sa che la persuasione dei media è tale da mobilitare, incentivare, velocizzare quello che accade, così non di rado si sente di vittime e parenti invocare nuova luce affinché la giustizia e chi di dovere faccia il suo corso evitando di cadere nel vuoto in cui solitamente cadono indagini di tale complessità. Nel caso Orlandi la presenza dei media è stata decisiva, fino alla degenerazione, affinché a trent’anni di distanza si cerchi ancora di scoprire cosa accadde alla cittadina vaticana Emanuela, come pure il caso Claps ha giovato dell’interessamento dei mezzi d’informazione (avanti a tutti la trasmissione “Chi l’ha visto?” alle volte caduta nel giochino morboso, alle volte sinceramente abile) per arrivare a una sua conclusione. Non si chiede ai media di risolvere casi o intromettersi nelle indagini, si invita a un compromesso accettabile, una colonna di giornale in cambio di visibilità laddove questa serva, anche quando la tragedia “alla moda” sia un’altra.