Scuola: sempre la stessa!

Aurelio Di Matteo

È da qualche decennio che la scuola italiana ha cominciato la discesa della classifica OCSE, fino a veleggiare attualmente tra il terzultimo e l’ultimo posto. Anche i risultati delle domestiche rilevazioni Invalsi non depongono a favore dei risultati che conseguono i nostri studenti, in particolare del grado secondario. È dagli anni sessanta che risentiamo sempre l’altisonante ritornello del Ministro di turno con reboanti annunci di rinnovamento e di storiche svolte nell’istruzione e formazione dei giovani. È dai tempi del Ministro Gui che per la Secondaria si propongono riforme e alcuni Ministri, sia di destra sia di sinistra, con una buona dose di presunzione hanno attivato interventi giuridici contrabbandati per riforme risolutive. Eppure la scuola italiana continua a contendere agli altri Paesi dell’area OCSE gli ultimi posti. Ciò che rileva con molta evidenza, ad eccezione di qualche caso isolato, è che dietro a un’imamgine fasulla di novità, la sostanza è sempre la stessa: burocrazia, formalismo, vecchiume, ripetività, demotivazione. Anche quando qualche buona legge è entrata in vigore, nell’operare quotidiano è stata, di fatto, sempre disattesa, edulcorata e vanificata. Cominciò Sullo e poi tutti gli altri, fino a Berlinguer, alla Moratti, alla Gelmini e per ultimo all’estemporaneo Profumo che dice una balla e ne pensa dieci. E c’è sempre il solito acritico ritornello che in Italia si spende poco per la scuola, che ci sono tagli al personale, che le classi sono superaffollate, che i docenti sono sottopagati. Nulla di più falso. Lo rilevava già un rapporto OCSE del 2008. Un dato del rapporto OCSE era già emblematico dei mali della scuola italiana e della fallimentare politica di dilatazione del numero di occupati, sulla quale ancora s’insiste: in Italia erano addetti agli Istituti scolastici 156 unità lavorative per ogni 1000 alunni; la media OCSE era di 116 e l’europea di 123. Di contro la scuola italiana, sempre nella periodica rilevazione della stessa organizzazione, risultava la penultima. Un altro dato significativo riguardava le somme investite. In Italia la spesa globale per studente in rapporto al PIL ammontava al 22% per la Materna, al 25% per la Primaria e al 28% per la Secondaria di contro ad una media OCSE rispettivamente del 18%, del 21% e del 26%. A distanza di quattro anni, a confermare la persistenza di questi dati, giungono la Fondazione Rocca e l’Associazione Treelle con una ricerca riassunta in 160 pagine. Così conclude con decisione e chiarezza il Presidente dell’associazione: “Da anni si racconta che la scuola non ha soldi. Una bugia…. Si è data maggiore attenzione all’occupazione che non alla qualità della scuola … La scuola italiana non ha bisogno di più soldi ma di diverse regole…” Ed ecco i dati. In Italia c’è un insegnante ogni 11,3 alunni contro i 21,5 della Francia e i 12,6 della Germania, insomma un numero che oscilla tra i 120 e i 130 mila insegnanti in più. L’Italia, in conclusione, è il Paese nel quale gli alunni passano più ore a scuola, hanno a disposizione il maggior numero di docenti e costano alla collettività molto più degli altri Paesi industrializzati. Senza contare i costi eccessivi a carico delle famiglie per inutili libri di testo non dissimili da quelli che usavamo anche noi nei lontani anni cinquanta del secolo scorso. E già Socrate, che di certo ignorava la tecnologia digitale, per bocca di Platone ammoniva che “i libri tacciono maestosamente”! Figuriamoci cosa direbbe oggi che i flussi informativi, la velocità di trasmissione, elaborazione e archiviazione riducono quasi allo zero costi e tempo. Anche in questo settore non sono mancati gli investimenti con risorse non da poco fin dai primi anni 2000: 200 mila docenti coinvolti nella formazione informatica, l’80% delle scuole dotate di una connessione a larga banda, un pc ogni 13 studenti collegato a Internet, uno stanziamento di fondi per l’informatica nel 2003 del 30% in più rispetto al 2001, ottomila aule multimediali ammodernate alla fine del 2003. Soldi sprecati per una tecnologia poco utilizzata e destinata ben presto a essere obsoleta, come quella per la quale ancora insiste il Ministro Profumo che propone, anche con una buona dose di razzismo, di fornire i docenti “emarginati” del Sud di un tablet e le aule di portatili e lavagne interattive. Una marea di soldi per tecnologie che saranno presto obsolete. Non si risparmierebbe affidando le strutture tecnologiche all’esterno con obbligo di continuo adeguamento? E poi quella marea di “euro europei” per ogni fantasiosa tipologia di progetti, sui quali è meglio tacere. Se le risorse, sia economiche sia umane, non sono mancate, allora che cosa non funziona? Se la qualità della scuola non è legata alla quantità delle ore di lezione, alla quantità di risorse investite e al numero di personale impegnato, di conseguenza non sono più rinviabili alcune vere e salutari riforme: valutare, in ingresso e annualmente in itinere, la professionalità di docenti e dirigenti ignorando l’impiegatizia ed egualitaria anzianità di servizio; introdurre meccanismi e istituzioni esterne che valutino il lavoro degli insegnanti e dei dirigenti, per legare al merito avanzamenti di carriera e qualità delle prestazioni; abolire il valore legale del titolo di studio a tutti i livelli; mandare al macero la Collegialità “coatta”, fardello lasciato in eredità da una concezione assembleare della partecipazione; eliminare l’Esame di Stato, che ha accentuato la separazione tra cultura scolastica e cultura sociale, tra quella finalizzata all’Esame e quella per il mondo del lavoro. Soltanto introducendo queste semplici riforme al posto delle chilometriche Linee guida didattiche e pedagogiche, forse risolleveremmo la scuola italiana ai livelli che la società e il modo del lavoro richiedono.