La resistenza di Formigoni
In un Paese come il nostro, tecnicamente fallito dal punto di vista politico ed economico, esiste un’isola felice che si chiama Regione Lombardia. E’ il cuore pulsante del sistema produttivo italiano, tanto da trascinare, da sola, buona parte del pil nazionale. Negli ultimi anni, la Lombardia di primati ne ha conseguiti più d’uno : eccelle nella sanità, grazie alla competenza e alla funzionalità dei suoi poli ospedalieri ( pubblici e privati); è dotata di un apparato amministrativo efficiente come ce ne sono pochi in Europa, e che svolge i propri compiti con inconsueta oculatezza, badando cioè a non sperperare il denaro dei contribuenti; ha sviluppato una rete di servizi sociali di primo livello rispetto agli standard delle altre Regioni, e il tenore di vita dei suoi abitanti è di gran lunga sopra la media nazionale. Da vent’anni la Regione Lombardia è governata da Roberto Formigoni, detto anche “il celeste”. Formigoni è un ex democristiano convertito al berlusconismo più incallito fin dagli albori di Forza Italia, nonchè uno dei massimi esponenti di Comunione e Liberazione, vale a dire quella vasta organizzazione a sfondo religioso ideata da don Giussani, e che ha visto in don Verzè e nel San Raffaele due simboli maestosi del proprio radicamento nella provincia milanese. La contiguità politica, elettorale e personale tra Silvio Berlusconi e Roberto Formigoni è uno dei cardini dell’intera organizzazione del centro destra, un connubio riconducibile per la sua indissolubilità solo a quello con Marcello Dell’Utri : Formigoni non e’ “un uomo” di Berlusconi, è “l’uomo” di Berlusconi ( senza nessun’altra allusione ovviamente). Non è difficile immaginare allora che la caduta del Cavaliere e del suo governo possa aver innescato ( come spesso accade in casi simili) un sorta di effetto domino, destinato a contagiare tutto ciò che di più importante ruota e si muove intorno alla figura carismatica dell’ex premier : aziende, partito, affetti e collaboratori più stretti. Mediaset, Emilio Fede, Lele Mora, Nicole Minetti, Marcello Dell’Utri, il Pdl, e dunque Formigoni : ecco la sequenza del repulisti che ha sconvolto il berlusconismo decadente. Da qualche mese, Formigoni e la sua giunta sono finiti nell’occhio del ciclone per una serie di scandali legati a presunti scambi di favori. Ben cinque assessori sono stati iscritti nel registro degli indagati, ed uno di questi ( Domenico Zambetti) è accusato di aver comprato i propri voti addirittura dalla n’drangheta. Lo stesso Formigoni risulta indagato. Ma prima ancora di essere attenzionato dalla procura della Repubblica milanese, il governatore era già finito sulle prime pagine dei giornali per aver trascorso qualche fine settimana sulla barca di un suo amico d’infanzia, nonchè assessore alla sanità della giunta lombarda. Antonio Simone, questo il nome del politico imprenditore, pochi giorni fa è stato rimesso in libertà dopo aver scontato sei mesi di carcerazione preventiva per la nota vicenda del crac del San Raffaele. Non è la prima volta che Simone è coinvolto in inchieste giudiziarie : negli anni di tangentopoli, finì in ben sei processi, ma fu sempre assolto per non aver commesso il fatto. Anche Formigoni non è nuovo ad indagini della magistratura risoltesi in un nulla di fatto.Oggi però la pressione esercitata su di lui perchè si dimetta è diventata quasi asfissiante. Anche da parte della Lega, la quale ha minacciato di far uscire i propri membri dalla giunta in assenza di un forte segnale di discontinuità. Il governatore non se ne cura più di tanto, ha annunciato di azzerare la giunta e deciso di tirare dritto fino al termine della consiliatura, convinto anche stavolta di non essere nel torto. Morale della favola : le dimissioni non si chiedono, si danno. E Formigoni, esattamente come Nichi Vendola, Vasco Errani e Nicole Minetti, non intende darle.