Napoli: alla Cappella del Vasari storicità e tradizione
Napoli, con la sua storicità ed i suoi capolavori: il sacro e la tradizione. La Cappella del Vasari, perla lucente posta all’interno di uno scrigno, fra i più preziosi che cela fra le testimonianze di passata grandezza. Gherardo Mengoni, scrittore, n’è entusiasta e non fa a meno di mostrarla a chi curiosamente entra a guardare la Natività allestita in questi giorni o a scorciare gli affreschi, in altri periodi dell’anno. “L’intero Complesso Monumentale di S. Maria di Monteoliveto- commenta Mengoni- da appena duecento anni, per singolari circostanze storiche, denominato S.Anna dei Lombardi.Tutto originato da monaci Olivetani, toscani, e da una piccola chiesa ed un convento realizzati, ancora in epoca Angioina, per donazione di un privato, poco tempo prima dell’ingresso vittorioso in Napoli di Alfonso d’Aragona nel 1442. La successiva progressiva espansione del Convento e soprattutto della Chiesa, frutto della capacità dei monaci Olivetani di attrarre ricche famiglie patrizie. Queste a proprie spese realizzarono cappelle private, con l’ausilio di maestri scultori, di architetti e di pittori fra i migliori che nell’intero ‘500 e in lunga parte del ‘600, si ritrovarono a lavorare a Napoli. Ecco perché l’intero Complesso è uno scrigno che racchiude opere mirabili, alcune delle quali assolutamente singolari come “Il compianto per il Cristo Morto” di Guido Mazzoni del 1492, opera in terra cotta di valore inestimabile. Ma ci sono opere di Rossellino, di Benedetto da Maiano; di Girolamo Santacroce e Giovanni da Nola. Stasera, quattro forme d’arte e cioè la pittura, la scultura, la poesia e la musica. Il luogo infatti è costituito dall’antico refettorio in stile gotico primitivo che, a metà del ‘500 gli Olivetani decisero di modificare in Cappella. Per far ciò furono apposti intonaci ricoprenti da decorare ad “affresco”- così come accadde per tanti monumenti in quell’epoca rinascimentale e poi più tardi in pieno barocco. A decorare i soffitti e le pareti nel 1544 circa fu chiamato Giorgio Vasari, il grande pittore architetto e primo vero storico dell’arte italiano, seguace di Michelangelo, di Raffaello e di altri come Andrea del Sarto. Vasari è l’uomo che, nel suo trattato sulla pittura da Cimabue fino al suo tempo, ha coniato per l’Arte la parola “Rinascita” e da questa è sorto il termine Rinascimento, per definire una distinzione temporale – per molti critici ingiustificata – tra il Quattrocento ed il Barocco. Vasari, che ha anche doti di scenografo e di architetto teatrale, concepisce in chiave di mistica rappresentazione – e non soltanto se si valutano a pieno i richiami alla Astrologia – il grande affresco sulla volta, e ciò in piena aderenza alla simbologia che è propria del Manierismo dell’epoca. In altre parole, Vasari riporta episodi del Vangelo, figure di Santi incrociate con altre immagini simboliche “pagane”. C’è chi sostiene che l’insieme, che appare di enorme suggestione, nasconda anche messaggi esoterici ma a mio parere, appare lettura troppo anticipativa rispetto alle reali espressioni che tale linguaggio criptico avrà in pittura, specie a Napoli nei secoli successivi. In basso, verso le pareti, le tarsie e le statuine dei Santi, delicata opera scultorea in legno, di particolare pregio ed importanza storica, eseguita da frate Giovanni da Verona nel 1506. Alcune delle immagini nei pannelli danno l’idea approssimativa di come doveva essere la città di Napoli nel ‘500 e pertanto vengono attentamente studiate giacchè di quell’epoca abbiamo solo la mappa della Città di Lafrery, datata 1560 e poco altro”.