Esigenze di rappresentazione e governo

Amedeo Tesauro

La particolarità della situazione politica italiana è ben testimoniata dall’inusuale formula scelta dal Presidente della Repubblica Giorgio Napolitano dopo il fallimento delle consultazioni ufficiali, ovvero la scelta di convocare due “gruppi ristretti” al fine di definire punti in comune tra gli schieramenti. Rintracciare provvedimenti condivisibili è attività di grande impegno, ma la stallo in cui il gruppo dirigente italiano versa da oltre un mese, tanto è passato dalle elezioni senza avere ancora un governo, ha motivi tutt’altro che politici. Un anno e mezzo fa le due principali formazioni parlamentari si sono ritrovate a cooperare sotto il vessillo del governo tecnico di Mario Monti, limitando le proprie richieste nel nome di una situazione drammatica a cui le elezioni dovevano porre fine segnando la vittoria di una delle coalizioni. Colpevoli di non aver modificato una legge elettorale pensata per il bipolarismo, PD e PDL si ritrovano ora con un ospite in più al tavolo delle trattative (M5S) in circostanze di instabilità ancor maggiore perché reiterate. Allora si era disposti a collaborare, oggi no, ma le posizioni politiche centrano molto poco. Difatti PD e PDL idealmente potrebbero concordare alcune misure minime da adottare nell’attesa di elezioni finalmente risolutive, ma concretamente non possono. Il gioco delle rappresentazioni politiche impone costruzioni retoriche a cui prestar fede, ma se un anno e mezzo fa risultava accettabile sostenere Monti per scongiurare la crisi del sistema, oggi la reale potenza della fazione di Grillo impone una minima coerenza. Grillo e i suoi, come tutti i gruppi che si fondano sul rifiuto totale dei sistemi pre-costituiti, guadagnano ogni volta che gli altri sbagliano: se il PDL è il male assoluto, il PD muovendosi verso di esso perde voti a favore del Movimento 5 Stelle; allo stesso tempo l’impossibilità di formare un governo democratico è figlia dell’incompetenza mostrata in campagna elettorale, ennesimo capitolo di una ventennale storia di insuccessi nell’abbattere Silvio Berlusconi. L’atteggiamento duro e puro grillino impedisce ogni azione politica a parte il governissimo PD-PD, un’occorrenza che come trionfo dell’ipocrisia politica del sistema darebbe a Grillo la spinta definitiva. Bersani lo sa e per questo rifiuta, ma poco importa: il Partito Democratico è bruciato, bisogna prenderne atto e ricominciare da capo, un nuovo inizio che necessariamente passa per la nomina di un nuovo leader. Paradossalmente gode di maggiore libertà di manovra Silvio Berlusconi che, forte di un bacino di voti costanti, ha offerto un accordo al Partito Democratico tenendo il coltello dalla parte del manico; del resto se il governissimo sposta voti a Grillo, son voti persi dal PD piuttosto che dal PDL. Dal quadro generale emerge una situazione in cui l’interesse per le politiche concrete crolla di fronte alle esigenze di rappresentazione: nessuno se la sente di arrischiare la propria immagine nei confronti degli elettori per realizzare esecutivi d’emergenza. Perfino Napolitano rifiuta un governo per non minare la propria credibilità politica (Monti “uomo della provvidenza” finito come leader del quarto partito d’Italia la dice lunga), e non sorprende l’improvviso nuovo interesse per i membri del recente governo tecnico (di un paio di giorni le indiscrezioni di un governo Cancellieri). La situazione è palesemente in stallo, ma va chiarito che non è uno stallo politico, ma legato alle necessità di propaganda e d’identità.