Michele Bianco: estetismo di “Giovanni Pascoli” per Sinestesie
“Giovanni Pascoli a un secolo dalla sua scomparsa” a cura di Renato Aymone, Edizioni Sinestesie, altra tessera privilegiata in quel puzzle che registra ancora aperta la querelle contemporanea sul poeta del fanciullino e delle semplici cose. Atta a registrare gli accadimenti umani, sotto la lente d’ingrandimento di una sensibilità adolescenziale, che sa anche di matura esperienza di vita. L’accattivante fatica letteraria, che vanta firme autorevoli nel panorama letterario, quali quella di AnnaMaria Andreoli, Giorgio Barberi Squarotti, Andrea Carrozzini, solo per citarne alcune, scorcia anche un consistente spaccato sull’aspetto estetico del vate romagnolo, a firma di Michele Bianco, accademico filosofo, autore di numerose produzioni letterarie, tra cui Giovanni Palatucci e San Bonaventura. Pascoli, che ammanta le sue liriche di quel dolore, insito nell’animo, per la tragedia familiare vissuta. Per Bianco, il decadentismo, ha il suo incipit col poeta degli Aquiloni, che conferisce imput alla lirica novecentesca. Decadentismo essenzialmente estetico, denudato da quelle note ascrivibili al tramonto della razionalità. Per l’insoddisfazione dello stesso Positivismo: alimentante la foga dei poeti maledetti, nati in Francia, ma sparsi in tutta l’Europa. Dal “fanciullino” al “superuomo”, il tuffo nell’onirismo ed in una dimensione appagante le pulsioni sentimentali. Non più l’egida della fredda ractio, a farla da padrona, su versi dettati dagli elementi atmosferici o scaturiti dal profondo senso del dolore umano. Ma la poesia, incessante nell’ inseguire canovacci estetici. Di qui un Pascoli rivoluzionario, anticonformista, seguace del simbolismo, ma padrone d’autonomia. Giammai scevro dalla ricerca dell’onomatopea, atta a rimandare suoni e palpiti, una pennellata ritmica, la sua, che anche se non killer di una sana impalcatura classicista, volge le spalle alla tradizione, per poter accordarsi coi moti del cuore. Poesia epifanica, di un poeta che si cimenta con la sperimentazione metrica, anche se le innovazioni lessicali e gli accostamenti sinestetici, lo rendono autorevolmente originale nel proscenio lirico. A Bianco, fine scandagliatore dell’animo umano, in qualità anche di pastore d’anime, il merito d’esser riuscito a recuperare lacerti lessicali, che per la critica qualunquista, rischiano di far scivolare la lirica novecentesca, nel semplice campo semantico della contemporaneità, senza saperne cogliere la bellezza formale, che la colloca nella ribalta innovativa, grazie a sagaci penne, capaci d’accostare l’orecchio, ai suoni dell’esistenza d’ogni giorno.