La retorica istituzionale del dolore

Amedeo Tesauro

La settimana passata è stata dominata mediaticamente dai temi politici. Del resto non poteva essere altrimenti di fronte a un’improvvisa crisi di governo e alla sua rocambolesca conclusione, come pure non poteva passare sotto silenzio l’atteso giudizio sulla decadenza di Silvio Berlusconi. Ma sono stati anche i giorni della tragedia di Lampedusa, l’immane dramma di un barcone di migranti e del suo “viaggio della morte”. Come è usuale in certi casi l’intero paese ed i media si sono fermati a riflettere sulla tragedia, eppure il momento del dolore è stato immediatamente accompagnato dalle prime rivendicazioni, dalla corsa ad appioppare questa o quella responsabilità, dalla voglia di far primeggiare le proprie posizioni anche laddove una pausa era d’obbligo. A cominciare dalla Lega e l’accusa all’accoppiata Kyenge/Boldrini, nella propaganda leghista quasi un’unica entità, di avere sulla coscienza quei morti, fino alle discussioni su una possibile revisione della Bossi-Fini, legge italiana per una problema che non può essere solo italiano. La retorica di certe occasioni impone la testa bassa e la necessaria auto-critica per ciò che si poteva fare e non si è fatto. Lo spettacolo politico e mediatico ha dunque offerto il consueto teatro delle celebrazioni pubbliche accompagnate dal forte monito del Papa, forte perché tale è il seguito attualmente del pontefice, un “vergogna” che rientra nel rituale di riflessione e rimpianto per le proprie colpe che la situazione comporta. Naturalmente in un paio di giorni i temi politici sono ritornati al centro della scena, si è ricominciato da dove avevamo lasciato, con la spaccatura nel PDL, la legge di stabilità e la solidità del governo, tuttavia rimane ancora ciò che resta di certe tragedie, ovvero la consapevolezza che presto o tardi ne avremo altre. Il vicepremier Angelino Alfano ha parlato in modo esplicito di tragedia destinata a ripetersi, altri addirittura hanno sostenuto l’inevitabilità di una futura simile eventualità tragica, lamentando la mancata vicinanza dell’Europa. Se la retorica del dolore della scena italiana può apparire stucchevole all’ennesima replica, quella internazione si mostra sempre troppo comoda nel manifestarsi nel momento del dolore e svanire nel giro di poco. Si invocano politiche di immigrazioni, provvedimenti internazionali, interventi extraterritoriali, ma le parole rimangono promesse e la situazione permane uguale. E dunque destinata a ripetersi, a verificarsi nuovamente con tanto di nuova retorica, nuove invocazioni e nuove promesse destinate a perdersi nell’impossibilità di riuscire a concordare precetti utili per tutto e tutti. Perché a ogni paese fa comodo indignarsi sui morti altrui e indicare cose da fare, ma nessun paese scende in campo oltre lo sdegno e la consueta retorica del dolore.