Euro sì, euro no
Alla vigilia delle elezioni europee, per la prima volta, la politica si apre a una dimensione di confronto prima ignorata o del tutto sconosciuta. Uno spazio nuovo dove le categorie tradizionali della destra e della sinistra – di liberalismo e di socialismo – Keynes vs Hayek – non sono più sufficienti per declinare il bipolarismo che abbiamo conosciuto fino ad oggi, il più delle volte ruotante intorno alla figura di Berlusconi e al suo modello etico–culturale, oltre che politico ed economico. La contrapposizione ultima alla quale ci riferiamo è quella tra europeisti ed euroscettici. Ovvero tra coloro i quali vedono nell’euro e nell’Unione europea la sola possibilità di riscatto per le economie dei singoli Stati dopo la lunga fase recessiva di questi anni. E chi, invece, individua proprio in quel consesso monetario e tecnocratico la causa di tutti i mali. Senza addentarci in tecnicismi ardui e spesso sconosciuti perfino agli addetti ai lavori, diciamo solo che il fronte dei fautori dell’uscita dall’euro e del ritorno alla sovranità nazionale si sta allargando come una macchia d’olio, ovunque. In Gran Bretagna, il partito degli euroscettici – Ukip – è dato in testa a tutti i sondaggi, benchè gli inglesi non abbiano mai rinunciato alla sterlina. Lo stesso accade nella vicina Francia, dove Marine Le Pen col suo Front National ha già scavalcato l’Ump e i socialisti del presidente Hollande al grido di : “La Francia ai francesi!”. E in Italia? Qui da noi circa la metà della popolazione si dichiara contraria al mantenimento della moneta unica, ma la notizia trapela con fatica perché la grande stampa, Rai compresa, sembra orientata a sponsorizzare i colori di Bruxelles oltre ogni ragionevole vantaggio. Guai a mettere in dubbio la bontà dell’euro, anatema a chi propone di ritornare alla sovranità monetaria e legislativa con la Banca d’Italia a stampare banconote e garantire il debito. Chi si schiera dalla parte sbagliata, come minimo viene tacciato di populismo e di demagogia. E se insiste, bollato come un rozzo estremista di destra, un ignorante che non conosce neppure i rudimenti dell’economia. Eppure sono diversi i premi Nobel che avallano questa possibilità e molti altri concordano sul fatto che l’euro sia stato un esperimento fallimentare che prima o poi ci condurrà alla distruzione. Chi ha ragione? Sugli scaffali delle librerie si moltiplicano i libri che trattano l’argomento con autori che si schierano da una parte e dall’altra. Da Giulio Tremonti a Luigi Zingales, da Alberto Bagnai a Claudio Borghi Aquilini, sono numerosi ormai i dispensatori di ricette salvifiche contro la crisi e i suggeritori di nuovi schemi di sovranità. Il tema suscita un certo interesse e più di un partito politico lo cavalca con successo. Grillo, pur non avendo mai esplicitato la volontà di ritornare alla lira, si propone come il principale rottamatore della burocrazia europea. Non da meno, Lega e Fratelli d’Italia hanno visto raddoppiare i loro consensi da quando hanno deciso di attaccare la moneta unica per inseguire il modello anticonformistico dell’autarchia. Poi ci sono i tiepidi, quelli che vorrebbero ma non possono, quelli che annunciano di andare a Bruxelles per battere i pugni sul tavolo – ammesso che quel tavolo esista o che non sia stato già apparecchiato con ben altre vivande. Insomma, l’impressione diffusa è che l’Europa e la sua moneta unica piacciano sempre meno e che certe convinzioni comincino piano a piano a scalfirsi. In una recente intervista, Mario Giordano ( anche lui convertitosi all’euroscetticismo) ha spiegato che la questione non è : euro si o euro no, ma quando e come uscire dall’euro. Evento che lui, evidentemente, dà per assodato. Dunque? Non ci resta che attendere il 25 maggio.