Vestire da Papa

don Marcello Stanzione

Il Vaticano è probabilmente ancora l’unico luogo nel mondo moderno in cui l’uso del vestiario non è lasciato totalmente al gusto personale del singolo, è poco sensibile alla moda contemporanea e gli indumenti degli ecclesiastici rispondono a regole definite  dalla posizione occupata nella gerarchia della Chiesa e fissate a seconda delle circostanze della vita di questa. Sempre meno numerose sono le persone in grado di individuare le origini storiche di indumenti che in molti casi hanno un significato preciso e permettono di identificare la dignità gerarchica ecclesiastica di un chierico nella Chiesa cattolica. E’ lecito affermare che l’uso degli abbigliamenti in Vaticano risponde al principio dell’uniforme, sia per i chierici sia per i corpi armati , oggi come ieri. E la varietà che si può osservare deriva da alcuni principi molto semplici. La talare, per gli  ecclesiastici, costituisce il segno della loro appartenenza al chiericato (un tempo insieme con la tonsura poi abolita da Paolo VI):  nero per le attività quotidiane, il suo colore varia a seconda della dignità della persona in occasione di cerimonie. Viola per la prelatura di vescovi, rosso per i cardinali. La regola vale del resto per tutto il clero latino nel mondo intero, ma essa è sempre meno rispettata al di fuori del Vaticano: il clergyman  è infatti diventato un’uniforme d’uso corrente e universale e l’appartenenza al clero si manifesta ormai solo in occasione di cerimonie liturgiche in quanto purtroppo la maggioranza dei preti vesti in borghese senza più alcun segno di riconoscimento esteriore. E’ per questo motivo che il rispetto delle usanze, d’altra parte non sistematico neppure in Vaticano, conferisce al movimento dei singoli, nelle sfumature di colore degli abiti che indossano, un carattere esotico: si ha l’impressione di trovarsi in mezzo a una tribù estranea e questo in certi ecclesiastici rafforza il sentimento di disagio che a Roma può dare l’obbligo di certe osservanze. La varietà dei colori delle talari per molto tempo è stata una tonalità intermedia tra il blu e il malva, che costituiva la gamma inferiore della porpora cardinalizia, la quale era di un rosa acceso, ben diverso dall’attuale rosso. Solo il papa non indossa mai la talare nera che invece preti, vescovi e cardinali portano di solito nella vita d’ogni giorno. In compenso, nelle cerimonie e durante certe funzioni ufficiali, essi sfoggiano attributi complementari come altrettante insegne distintive dell’autorità conferita dalla  dignità: per i prelati, la mantelletta (tunica corta a mezza gamba, senza maniche e chiusa al collo); per i vescovi, rocchetto e mozzetta viola; per i cardinali, rocchetto e mozzetta rossi. La berretta viola o rossa, la croce pettorale e l’anello d’oro fanno parte delle insegne episcopali che vescovi e cardinali portano sempre meno di frequente nella vita di ogni giorno, sebbene possano combinarli con la tonaca nera bordata di un orlo colorato, viola o rosso, con la fascia intonata. La croce pettorale dei cardinali è di solito quella che portavano quand’erano vescovi. Papa Francesco porta da pontefice quella semplicissima della sua ordinazione episcopale. Dal vaticano II in poi, domina la semplicità, ispirata dal simbolo di uguaglianza nella carica episcopale che Paolo VI aveva voluto indicare ai padri conciliari consegnando a ciascuno di essi, nel 1965, un anello episcopale identico in forma di cilindro in oro con incisa una croce tra l’alfa e l’omega. Le pietre preziose non sono più di moda e il titolo di un romanzo come L’anello d’amestita di Anatole France oggi appartiene a un passato lontano. Per gli altri religiosi basta notare se porta, se non una berretta colorata, perlomeno una croce pettorale o un anello; queste ultime due insegne possono essere indossate con un glergyman. Anche il vestiario del papa si è notevolmente semplificato. L’abbigliamento privato o quotidiano del papa era ed è ancora composto da talare bianca, calze bianche, scarpe, in genere di colore rosso, ed infine da zucchetto bianco. Nel corso delle cerimonie liturgiche, il pontefice indossa gli ornamenti episcopali ma conserva lo zucchetto o la papalina bianca un rocchetto e una mozzetta di seta rossa che reca una stella ricamata. “Papalina” è un nomignolo, che identifica subito chi lo indossa: il papa. In sostanza è uno zucchetto, cioè il copricapo a calotta semisferica, usato da tutti gli ecclesiastici, simbolo della mano di Dio posata sul capo, a protezione. Lo zucchetto è composto da otto spicchi in forma e aderente al capo da un interno in pelle e una sottile fettuccia. In cima, ha una piccola appendice di tessuto, utile per indossarlo e toglierlo. Gli otto spicchi identificano lo zucchetto in stile romano, molto più comodo e “stabile” di quello alla francese, composto da soli sei spicchi. Le origini di questo copricapo sono umili, come spiega un altro sinonimo di zucchetto, ovvero pileolo. La parola viene dal latino pileulus  e significa “piccolo pileo”. Esso è un copricapo dell’antichità, a forma di cono, talvolta con un piccolo risvolto, indossato per lo più dalla povera gente. Se guardate fra le statuine del vostro presepe, per esempio, troverete quasi sicuramente un pescatore che l’indossa; il pileo era portato anche dagli schiavi che ottenevano la libertà. Almeno dal Cinquecento, però, lo zucchetto è collegato all’uso  che ne fanno i religiosi. Ne è diventato anzi, quasi un simbolo, tanto che in spagnolo si chiama solideo, dal latino soli Deo tollitur , si toglie solo davanti a Dio. In origine era indossato per coprire la tonsura, il taglio dei capelli di chi si è consacrato a Dio; successivamente  è diventato segno di dignità. Da qui, le regole sui colori: per i sacerdoti, lo zucchetto è nero; per i cardinali è rosso; per i vescovi e arcivescovi, è viola; per il papa , bianco. Lo zucchetto s’indossa sempre, anche sotto la mitra e la berretta (il classico cappello “cubico” con le altre alette rigide e il fiocco in cima) tanto che viene detto anche sublimitrale e subbirrettum. Ci sono momenti, però, in cui è d’obbligo toglierlo. Durante la celebrazione della messa, per esempio, il capo va scoperto durante l’Eucarestia e rimesso al termine dei riti di Comunione. Va tolto anche di fronte al papa, e solo i cardinali hanno il privilegio di poterlo rimettere dopo il saluto al pontefice. E’ un gesto di rispetto che sabato 22 febbraio 2014 ha fatto anche il papa emerito Benedetto XVI incontrando Francesco  nella Basilica di San Pietro, alla cerimonia per la creazione dei nuovi cardinali. Bianco è comunque il colore caratteristico della talare papale. Nell’AnticoTestamento ci sono pochi riferimenti a vesti di colore bianco e la bianchezza delle vesti è sempre di esseri celesti, soprannaturali, identificati con gli angeli nei testi tardo – giudaici. Nel Nuovo Testamento gli angeli sono più presenti e quando vengono descritti sono sempre vestiti di bianco, secondo la tradizione ebraica. In particolare nel libro dell’Apocalisse si ritorna con insistenza sul bianco come quello della veste di Cristo. Questa identificazione – bianco e veste di Cristo – appare chiaramente nel racconto della Trasfigurazione: “e le sue vesti divennero splendenti, bianchissime, nessun lavandaio sulla terra potrebbe renderle così bianche”  (Mc 9,2-8). Il vestito con cui vengono raffigurati gli angeli non è che un accessorio che si sovrappone all’apparenza corporale di cui essi si servono. Ma, come ogni altro dettaglio nelle apparizioni angeliche, è retto da un forte simbolismo. Ce lo piega lo pseudo-Dionigi: «La divina saggezza dona degli abiti agli spiriti e arma le loro mani con diversi strumenti».San Gregorio di Nazianzo, fondandosi sulla Bibbia, afferma che gli angeli sono normalmente vestiti di bianco, in onore della loro perfetta purezza: infatti l’angelo del mattino di Pasqua, che annuncia la risurrezione di Gesù alle pie donne, ha «il suo vestito bianco come neve» (Matteo 28,3). San Luca aggiunge che si tratta di un «abito sfolgorante» (24,4). Una «splendida veste» colpisce anche il centurione romano Cornelio, quando l’angelo gli appare per suggerirgli di mandare a cercare Pietro e di chiedergli il battesimo (Atti 10,30).

Questo bianco non ha comunque nulla a che vedere con il colore che conosciamo sulla terra, come tentò di spiegare Bernadette Soubirous descrivendo la veste della Vergine di Lourdes. Lo pseudo-Dionigi ha sottolineato: «Il vestito radioso e tutto di fuoco raffigura la conformità degli angeli con la divinità, a seguito del significato simbolico del fuoco, e della loro virtù di illuminazione, precisamente perché la loro eredità è nei cieli, paese della luce puramente intelligibile».

San Gregorio aggiunge all’abito una cintura dorata, precisando che essa è simbolo di zelo e di castità. San Basilio si basa su Ezechiele: «In Eden, giardino di Dio, tu eri coperto d’ogni pietra preziosa: rubini, topazi, diamanti, crisòliti, ònici e diaspri, zaffìri, turchesi e smeraldi; e d’oro era il lavoro dei tuoi castoni e delle tue legature, preparato nel giorno in cui fosti creato» (28,13) e immagina sugli abiti angelici molte gemme, a ciascuna delle quali associa una virtù: lo zaffiro per la purezza, il cristallo per la trasparenza dell’essere, il giacinto per l’unione a Dio, lo smeraldo per l’eterna giovinezza della grazia…

D’altra parte gli scritti dei mistici e le rivelazioni private lasciano supporre, talvolta con molta poesia, che la moda, in paradiso, non sia poi tanto fissa e immutabile. L’angelo custode di santa Francesca Romana porta una tunica bianca con righe blu e rosse. L’abate Lamy vede Gabriele e altri angeli coperti «di placche d’oro di forme irregolari poste in mosaico con cui tutto l’alto del corpo è rivestito». La mistica tedesca Mechtilde Taller riconosceva gli angeli dei differenti Cori grazie alla diversità dei colori del loro abbigliamento: per esempio gli angeli custodi dei peccatori portavano dei blu o dei verdi scuri, simboleggiando la loro tristezza nell’essere così poco ascoltati dai loro protetti.

 

 Il bianco è il colore dell’innocenza, della purezza e della rivelazione divina. I valori di purezza e innocenza associati al bianco sono giunti fino a noi ad esempio nell’abito dei battezzati, poi delle spose fino alle divise di medici e infermieri, che svolgono un lavoro “illuminato” con specifiche priorità di igiene e pulizia. Il primo pontefice a insistere sui colori bianco e rosso, come più adeguati al vestire pontificio, è stato Gregorio X (papa dal 1271 al 1276) nell’Ordo XIII, riferibile aglio anni 1272 – 1273, primo cerimoniale romano a sottolineare in modo preciso e sistematico l’argomento, mentre fino ad allora l’attenzione degli ordines precedenti si era soffermata solo sul colore rosso del manto. Pochi anni dopo Guglielmo Durando nel Rationale  del 1286 offre la più antica interpretazione simbolica del binomio bianco e rosso: “Il sommo pontefice appare sempre vestito di un manto rosso all’esterno; ma all’interno è rivestito di veste candida: perché il biancore significa innocenza e carità; il rosso esterno simbolizza la compassione […] il papa infatti rappresenta la persona di Colui che per noi rese rosso il suo indumento”. Il concetto è ribadito da Urbano V (1310 – 1370, papa dal 1362), che affermò come il candore delle vesti del papa simboleggia l’intima cristica purezza necessaria al pontefice per svolgere il suo compito, insistendo sull’uso di indossare quotidianamente il rocchetto bianco – camice spesso ornato da merletti –  e un’altra veste bianca perché “rappresenta nella Chiesa universale la persona divina di Cristo; cosicché il candore estrinseco del rocchetto simbolizza nel pontefice l’intrinseca naturale purezza”. Per il Cerimoniale di Agostino Patrizi Piccolomini (148 – 1492) la quotidianità della veste bianca e rossa diventa un obbligo irrinunciabile. Sembra quindi senza fondamento e anacronistica l’ipotesi ciclicamente riproposta che la veste bianca discenda dalla nomina del padre domenicano Michele Ghislieri, salito al soglio pontificio nel 1566 con il nome di Pio V, poi santificato, mentre un’altra antica tradizione, ancora molto sentita nel Settecento e ricordata da Filippo Bonanni, fa risalire l’adozione di quel colore all’apparizione di una colomba bianca al momento del martirio di San Fabiano, ventesimo papa dal 236 al 250. Fin dal Duecento la veste bianca e rossa del papa diventa tradizionale e con la Controriforma, in particolare nel tardo Cinquecento per opera del teologo spagnolo Alessandro da Torquemada, il duplice simbolismo cromatico – vesti bianche e sopravvesti rosse – divenne più forte: le prime significano la purezza, le seconde la sua carità, gli abiti bianchi l’integrità di Cristo e del suo rappresentante, quelli rossi il sacrificio della Passione. Fino a Giovanni XXIII, il papa calzava pantofole con una croce ricamata. La vita moderna, alla quale si sono adeguati i pontefici da Paolo VI in poi, li ha indotti a ricorrere a mocassini il cui colore è passato dal rosso al marrone. E oggi capita anche di vedere il papa, come normalmente fa papa Francesco, con scarpe nere durante le cerimonie, così come lo si è visto precedentemente abbandonare la talare bianca a favore della tenuta da sciatore o da alpinista con Giovanni Paolo II. All’esterno, il sommo pontefice indossa sopra la talare un mantello rosso allacciato al collo e sopra la berretta mette un cappello di feltro color porpora ricamato d’oro. Il cappello rosso a larghe tese, definito saturno (galero quello dei cardinali che oggi è stato abolito), non è mai stato abbandonato dai papi, che l’hanno usato abitualmente fin dal Medioevo. Così lo descrive Moroni: “Questo è rotondo colle due ale laterali rivoltate, e sostenute da cordoncini d’oro, con fiocco di fettuccia di seta rossa, con ricami d’oro, e prezioso fiocco pur d’oro. Esso è di tre specie, di velluto, di seta, e di feltro. Si usa questo e l’altro di velluto nell’inverno, e di seta nell’estate”. Il saturno era usato “Nelle solenni cavalcate per le cappelle della ss. Annunziata , di s. Filippo , della Natività della b. Vergine, e di s. Carlo , nonché nei solenni possessi al Laterano, i Papi vestiti di mozzetta, e di stola usavano il cappello Pontificale con ale piane, e cordone con fiocco d’oro, onde fermarlo con sicurezza”. Dal Seicento è stato realizzato con velluto, o altro tessuto rosso, poi sostituito da feltro, è foderato all’interno con raso ripiegato opportunamente, ha la tesa larga e la calotta semisferica. Attorno alla calotta corre un nastro rosso alto, ricamato con motivi vegetali in filo d’oro annodato a fiocco con tre piccole strisce che corrono dalla calotta alla tesa. Sui due lati due coppie di cordoncini dorati, terminanti con piccole ghiande dorate, ricordano l’antica usanza di “rivoltare” le ali laterali. Recentemente è stato portato da Giovanni XXIII, Paolo VI, Giovanni Paolo II e da Benedetto XVI.