Dalla Grecia al Brasile, passando per l’Italia: lo sport tra occasione e rischi

Amedeo Tesauro

Meno di un mese all’avvio dei Mondiali di calcio. Destinazione Brasile, meta di culto per il business del pallone, patria della nazionale più vincente di sempre. Eppure i brasiliani non ci sono cascati, non si sono bevuti la retorica che ammanta certe manifestazioni. Il Brasile arriva così al grande evento spaccato, diviso tra chi è pronto ad accogliere il circo del pallone e chi alza la voce per gli effetti del grande evento. Sperpero di denaro pubblico, trasporti più costosi, sprechi e malaffare, la competizione ha richiesto questo ed altro, e beffardamente potrebbe persino non bastare: è corsa contro il tempo per ultimare i lavori che proseguono tra l’apprensione degli organizzatori e le proteste del popolo. Quel popolo che nel 2007, al momento dell’assegnazione dell’evento, aveva gioito di fronte alla possibilità di alzare l’ennesimo trofeo calcistico in casa in un tripudio verde-oro. Naturalmente il governo e la politica tutta non mancavano di esprimere soddisfazione per l’occasione, una vetrina fenomenale per il nuovo Brasile dalla crescita record e dalle prospettive rosee. Ma quella crescita oggi è rallentata, il paese accusa una fase di stanca e le prospettive sono molto più tiepide. Ecco dunque l’insoddisfazione per gli effetti collaterali della rassegna calcistica, rassegna che fa il paio con l’appuntamento ancora più grandioso del 2016: le Olimpiadi di Rio. Un vero tour de force per il paese, in un momento in cui l’ottimismo per la crescita degli anni duemila è tramontato. C’è però, come è ovvio, la speranza di fare grossi ricavi dai due eventi; ciò nonostante i dubbi sono leciti, come del resto lo sono sempre. La Grecia aveva ospitato i Giochi Olimpici pochi anni prima di collassare, e se certo non si può dare la colpa ad un singolo fattore per una crisi di sistema, è anche vero che l’investimento si rivelò meno riuscito del previsto tra prestiti internazionali da restituire e strutture abbandonate nel giro di pochi anni. Il popolo brasiliano si mantiene vigile di fronte a una situazione sfuggita di mano, con le istituzioni che giocano a ignorare le proteste nel paese. Viene spontaneo ricordare la scelta di responsabilità, criticata da alcuni e ben accetta da altri, fatta dal governo Monti nel momento in cui rinunciò alla candidatura di Roma per il 2020. Oggi, con un Expo che tra corruzione e malaffare rischia di ridicolizzare il sistema italiano, vien da dire che la scelta non fu sbagliata. Troppo gravoso l’impegno si disse, meglio rinunciare ai Giochi, tanto più che ancora persisteva (e persiste) l’imbarazzo per i Mondiali di nuoto del 2009 di Roma conclusisi in tribunale per le accuse di abusi edilizi. Se guardiamo altrove però, bisogna registrare il successo di Londra, paese ospitante dei Giochi Olimpici del 2012, i cui dati ufficiali parlano di un guadagno attivo che si somma ad infrastrutture ora parte integrante della capitale inglese. Scontato ma pur sempre da ribadire: lì dove se ne hanno le capacità l’affare è dietro l’angolo. Viceversa, lì dove l’organizzazione latita, e magari subentra pure il malaffare, il rischio è grosso.Foto sportsky.it