I morti resuscitati da Sant’Ignazio e da San Filippo Neri

Carlo Di Pietro

Fondatore e primo generale di un diverso ordine religioso, fu un altro spagnolo, S. Ignazio di Loyola (1491-1556), che dette al mondo l’originale Compagnia di Gesù, o i Gesuiti. Ignazio aveva molti doni soprannaturali ed era abile a distinguere gli spiriti e lottare contro il demonio. È famoso per i suoi Esercizi Spirituali che per secoli hanno influenzato innumerevoli persone. La biografia di Bartoli su Ignazio presenta la storia di cento miracoli attribuiti al santo. Una volta a Barcellona, intorno al 1524 circa, Ignazio stava tornando da un convento di suore domenicane. Passando per la via di Belloc udì forti grida e lamenti. Un uomo di nome Lessani (Lasano), in un accesso di disperazione per aver perso una causa contro il fratello, si era impiccato. Ignazio, uomo pratico, attivo ed energico, velocemente gli tagliò il cappio. Tentarono di rianimarlo, ma invano. Ignazio pregava in lacrime, lamentandosi addolorato del fatto che un uomo dovesse morire in quel modo…Gli astanti si unirono a lui. Allora Ignazio si alzò e pronunciò il Sacro Nome di Gesù sul corpo di Lessani. Questi aprì immediatamente gli occhi, ritornò in sé, esprimendo rammarico per ciò che aveva fatto. Poi si confessò, prese i sacramenti, e subito dopo morì. Questo resoconto è tratto dagli atti ufficiali di canonizzazione di S. Ignazio di Loyola. Gli astanti e Giovanni Pasquale confermarono che Lessani si era davvero suicidato. Il miracolo causò gran fermento nella zona. Contemporaneo di Ignazio fu S. Filippo Neri (1515-1595), “Apostolo di Roma” e fondatore dell’Oratorio e dei Padri Oratoriani. Secoli dopo, il cardinale Newman sarebbe diventato uno dei più celebri oratoriani. Filippo guarì molti toccandoli solamente con la propria mano, e gli sono state attribuite delle risurrezioni sia quand’era in vita che dopo la morte. Alcuni di questi miracoli furono compiuti per rianimare delle persone in fin di vita. Giovanni Francesco, quattordicenne, aveva una febbre pestilenziale e i medici lo dettero per spacciato. Per diciassette giorni stette disteso come un cadavere, senza mai parlare, senza nutrirsi, senza accennare ad alcun movimento; gli unici segni di vita erano un certo calore nel corpo e la respirazione appena percettibile. Giunse Filippo e si mise a scherzare con la madre: “Proprio una bella cosa, lasciare morire di fame questo poveraccio – portate del vino, per cortesia! “, Filippo dette al ragazzo alcune gocce attraverso le labbra, ed egli si riprese in pochi giorni. Certamente non fu il vino, ma il tocco della mano di Filippo. In modo simile, come nel 1560, toccandolo con la sua mano, guarì Pietro Vittrici di Parma, al sevizio del cardinale Boncompagni (in seguito Gregorio XIII), che i dottori in teoria davano per spacciato. Filippo fece la stessa cosa per Maurizio Anerio, che ormai non parlava più, quasi non aveva più polso, e i cui medici ritenevano che non potesse assolutamente sopravvivere. Rianimò anche la signora Ersilia Bucca mentre giaceva in punto di morte. Fabrizio de’ Massimi era un caro amico di Filippo, e un giorno gli domandò che pregasse per sua moglie, Lavinia de’ Rustici, che era incinta. Aveva già cinque figlie; Filippo predisse che sarebbe stato un maschio e gli diede il nome Paolo. Anni dopo, successivamente alla morte di Lavinia, Paolo, allora quattordicenne, si ammalò il primo gennaio 1583 di una febbre durata sessantacinque giorni. Filippo andava ogni giorno a trovare il ragazzo, che pazientemente e coraggiosamente sopportava la sua lunga malattia. Il 16 marzo, un messaggero fu inviato di fretta a S. Girolamo ad informare Filippo che Paolo stava morendo e a dirgli di sbrigarsi se voleva vederlo ancora vivo. (Il prete della parrocchia aveva dato al ragazzo l’Estrema Unzione e poi se ne era andato). Il messaggero, però, trovò Filippo che stava dicendo messa e perciò non potè informarlo. Prima che finisse, Paolo morì. Il padre chiuse gli occhi del ragazzo, e preparò l’acqua per lavare il cadavere e i panni di lino per avvolgerlo. In mezz’ora Filippo arrivò. Fabrizio gli andò incontro in cima alle scale, piangendo, dicendogli: “Paolo è morto”. “E perché non mi hai chiamato prima! “, “Lo abbiamo fatto, ma vostra Reverenza stava dicendo messa”. Filippo entrò nella stanza. Si gettò all’estremità del letto. Pregò per sette o otto minuti e le sue preghiere erano accompagnate dalle sue consuete palpitazioni del cuore e tremore del corpo. Prese poi l’acqua santa e cosparse il volto del ragazzo; gliene mise un po’ in bocca. Dopo di che, Filippo soffiò sul volto del ragazzo, gli mise la mano sulla fronte, e lo chiamò forte, con voce risonante: “Paolo! Paolo! ” Al che, il ragazzo, come se si fosse svegliato da un sonno profondo, aprì gli occhi e disse: “Padre, ho dimenticato di riferire un peccato, perciò vorrei confessarmi”. Filippo allora fece allontanare un po’ quelli che stavano attorno al letto, e, messo un crocifisso nella mano di Paolo, ascoltò la sua confessione e lo assolse. Quando gli altri tornarono, Filippo parlò a Paolo per circa mezz’ora di sua madre e di sua sorella, ormai defunte. Il giovane rispondeva con voce chiara e distinta come se fosse stato in perfetta salute. Gli ritornò il colorito tanto che chi gli stava attorno poteva quasi convincersi che tutto era a posto. Alla fine, Filippo domandò a Paolo se a quel punto poteva morire di buon grado; Paolo disse di sì. Filippo glielo domandò una seconda volta, e Paolo disse: “Sì, volentieri – specialmente per vedere mia madre e mia sorella in paradiso”. “Va’, e che tu sia benedetto, e prega Dio per me”, disse Filippo, mentre benediceva Paolo. Subito dopo, con aria serena e senza il minimo sussulto, Paolo spirò tranquillamente tra le braccia di S. Filippo. Durante tutta questa straziante prova Fabrizio, il padre di Paolo, era stato presente, assieme alle sue due figlie (divenute, in seguito, monache a Santa Marta), alla seconda moglie Violante Santa Croce, alla serva Francesca, che aveva assistito Paolo durante la malattia, e a diversi altri. Per commemorare questo miracolo, si celebra una festa speciale, la Festa del Miracolo, nella cappella di Palazzo Massimo il 16 marzo, con una messa speciale concessa da papa Pio IX attraverso un decreto della Sacra Congregazione dei Riti il 1° marzo 1855. Se Filippo aveva la capacità, attraverso il potere conferitogli da Dio, di riportare i morti in vita, poteva anche far morire una persona viva. Visitò più volte una delle più importanti signore di Roma, che si era ammalata da un mese. Un giorno, mentre era agonizzante e psicologicamente molto provata, stette per un po’ a confortarla, poi se ne andò perché doveva tornare a Vallicella. Ma dopo aver percorso parte del tragitto si fermò e disse a coloro che lo accompagnavano: “Mi sento obbligato a ritornare da quella signora in punto di morte”. La trovò nella stessa condizione di prima, ma pensavano che potesse resistere sino al giorno successivo. Mandò via alcune persone, pose le mani sul suo capo e soffiò una o due volte sul suo volto. Pregò con zelo per lei, proferendo parole con notevole fervore. Poi fissò lo sguardo su di lei e disse ad alta voce, cosicché diverse persone sentirono: “Anima, ti ordino, nel Nome di Dio, di allontanarti da questo corpo”; in quel momento ella morì. Filippo allora disse ai presenti che se la signora fosse rimasta in quell’agonìa più a lungo, avrebbe corso il rischio di cedere a certe tentazioni. Per tal motivo aveva pregato Dio affinché ne accelerasse la morte. Vi è anche il caso di Giovanni Manzoli, di circa settant’anni, che quando il dottore gli disse che sarebbe morto entro un’ora, ordinò a un nipote di domandare a padre Filippo di inviare un prete. Giovanni ordinò di essere sepolto dove avrebbe indicato padre Filippo. La famiglia preparò gli abiti da lutto e mandò a dire alla Compagnia della Misericordia di essere pronti il giorno dopo ad accompagnare il corpo di Giovanni alla tomba. Il mattino seguente, mentre diversi membri dell’Oratorio dissero a Filippo che Giovanni era morto, egli rispose loro: “Non esattamente, non è morto, e non morirà neppure a causa di questa malattia”. Chiamò padre Maffei (il prete che aveva inviato alla famiglia), che disse: “Sono andato da loro questa mattina, e ho appreso che era morto”. Filippo rispose: “No, Manzoli è vivo. Torna da lui e va’ a vedere come sta con i tuoi occhi”. Così fece padre Maffei – trovò l’uomo vivo e piuttosto in salute. Evidentemente padre Filippo usava le sue maniere scherzose per nascondere i propri miracoli. Filippo predisse anche che questo anziano sarebbe sopravvissuto a Filippo – e difatti gli sopravvisse di alcuni anni. Dopo la morte di Filippo, diversi miracoli furono compiuti da varie sue reliquie – capelli, rosari, un bavero, un’immagine ecc. Caterina Lozia, moglie di Girolamo Martignone, un milanese, all’ottavo mese di gravidanza partorì un bambino prematuro morto, con il volto bluastro. La levatrice, una donna di gran esperienza, fece in tutti i modi possibili per accertarsi che il bambino fosse effettivamente morto, ma non dava proprio alcun segno di vita. Si rammaricava che non fosse possibile fare il battesimo. Prima protestò forte alla Madonna richiedendo aiuto. Poi, ricordandosi che aveva dei capelli di Filippo, li pose sul cadavere, e pregò: “O S. Filippo, chiedi alla Madonna di riportare in vita il mio figliolet- to, in modo che io possa dargli il sacro battesimo”. Il bambino subito si dimenò e tornò in vita. Fu battezzato Giovanni Pietro e visse solo venti giorni. Cinque giorni dopo morì anche la madre. Annibaie, il figlio di due anni di Angelo Gerioni di Tivoli, si ammalò gravemente. Alla fine non dava più segni di vita; era freddo e inanimato. Mentre la famiglia si stava preparando per il funerale, un’amica suggerì al padre di andare dalla zia di lei a prendere le reliquie di S. Filippo. Ella le mise sul collo del bambino. Questi aprì gli occhi, che erano rimasti chiusi per due giorni interi, e fu riportato in vita.

 Fonte: “400 MORTI RESUSCITATI NELLA STORIA DEL CATTOLICESIMO” – di Padre Albert J. Herbert, S. M. (Società di Maria – Maristi) – Edizioni Segno, Udine