I partiti sono morti
Angelo Cennamo
La notizia che il Pd ha perso negli ultimi 6 anni circa 700 mila tessere fa pari con un’altra: quella secondo cui Forza Italia starebbe licenziando alcuni dipendenti in esubero e traslocando in spazi più angusti per ridurre gli alti costi di gestione. La crisi economica morde anche i partiti, starete pensando, o c’è dell’altro? Per rispondere a questa domanda non occorre andare lontano, è sufficiente, ad esempio, dare una scorsa ai dati sull’astensione registrata alle ultime elezioni europee. Altissima. Cosa sta accadendo, dunque, ai partiti italiani? Non godono di buona salute, è evidente. Anzi, diciamola tutta: stanno morendo. O per meglio dire, sta morendo l’idea di partito che fino ad oggi abbiamo conosciuto: quella novecentesca, fatta di tesserati, di federazioni e di riunioni, di dibattiti spesso sterili, di inutili organigrammi e di comunicati stampa fatti da questo o da quel coordinatore contro l’assessore tal dei tali o il consigliere pinko pallo. Ecco, quella roba li è defunta per sempre. D’accordo, direte: ma ci dovranno pure essere delle strutture, delle organizzazioni capaci di rappresentare e difendere gli interessi delle persone nelle diverse istituzioni? Per forza. Ma questi organismi avranno altre forme ed altri contenuti da quelli ai quali siamo stati abituati fino ad oggi. In principio fu Berlusconi: Forza Italia, si diceva, è un partito di plastica, fondato sul carisma del suo leader e sulla comunicazione geniale di abilissimi spin doctors. Per anni nel centro destra si è dibattuto sull’opportunità o meno di dotare lo schieramento di strutture meglio radicate sul territorio – alla stregua della prima Alleanza Nazionale e dell’Udc – piuttosto che rimanere un movimento liquido, come voleva il Cavaliere. Quel dibattitto, che non si è mai concluso, è stato superato dagli eventi più recenti. Due in particolare: la comparsa sulla scena politica di Beppe Grillo e di Matteo Renzi. Il Movimento 5 Stelle, in quanto a “liquidità”, è andata ben oltre la prima Forza Italia. I grillini si muovono ed interagiscono con gli elettori tramite il mouse e la tastiera del pc. Tutto passa attraverso il web, in maniera talvolta ossessiva, maniacale. Oltre il pc c’è il guru, il fondatore carismatico che sale sul palco e trascina le folle tra schiamazzi, battute e denunce anche serie. Matteo Renzi invece ha sfidato la tradizione del vecchio Pci, ha superato la fisicità organica della sinistra, con il suo individualismo esasperato ed esasperante. Ha rottamato non solo gli uomini e le idee, ma anche lo spazio: le tessere per l’appunto. Il suo Pd – rivoltato come un calzino in pochi mesi – si è ristretto alla base, ma è cresciuto in altezza. Renzi ha restituito al Pd quella liquidità che la sinistra ha sempre rimproverato a Forza Italia, deridendone la vocazione verticistica (quasi) padronale. Ora il “padre padrone” della politica italiana è lui. Facile allora disquisire sulle presunte eredità ed ironizzare sul patto d’acciaio stretto con l’altro grande capo, amico e nemico a giorni alterni. Renzi, Berlusconi e Grillo. Nessuno dei tre siede in parlamento, nulla o molto poco oltre la leadership. Tutto il resto è talk show.
In pratica dal passaggio fra la prima e la seconda repubblica più che i partiti sono morte le idee che componevano quella forma ideologica secondo la quale gli elettori potevano riconoscersi. Si è passati ad una forma personalistica, privatistica e populistica dilettantistica del fare politica che la gente non ha più condiviso e l’ha portata ad allontanarsi da quella partecipazione che era stata la vera forma della Politica di Don Sturzo e De Gasperi; quella politica che aveva fatto grande l’ Italia senza fare arricchire a spese del popolo poche persone.