La retorica della libertà
Angelo Cennamo
Due milioni di persone hanno sfilato per le vie di Parigi contro il terrorismo islamico, dopo gli attentati alla redazione del giornale satirico Charlie Hebdo e ad un supermercato di prodotti Kasher, avvenuti a poche ore di distanza l’uno dall’altro, in pieno centro, ad opera di sole 4 persone, una delle quali già al sicuro fuori dai confini francesi. Con loro, un cinquantina tra capi di Stato e di governo, non tutti, per la verità, di estrazione democratica e liberale. “Je suis Charlie” è stato lo slogan che ha accompagnato l’affollata manifestazione in difesa della libertà di stampa, negata barbaramente ai giornalisti di Charlie Hebdo a colpi di kalashnikov, in una mattinata di straordinaria follia che ha terrorizzato e tenuto in ostaggio l’intera capitale. Quale sarebbe stata la colpa di “Charlie” per aver subito un attentato così efferato e senza precedenti: quella di aver pubblicato delle vignette satiriche sul profeta Maometto e sull’Islam, giudicate irriverenti e blasfeme ancor prima che dai due terroristi che hanno fatto irruzione nella redazione del giornale, da alcune associazioni francesi, non tutte di stampo musulmano. Charlie Hebdo, infatti, era già finito nel mirino della magistratura francese e di una certa opinione pubblica progressista – la stessa ieri in piazza a solidarizzare con i morti ammazzati – in diverse occasioni. La risonanza delle sue vignette “oltraggiose” aveva attraversato i confini nazionali finendo per sollevare addirittura il disappunto di tanti opinionisti e vignettisti nostrani, quelli più coraggiosi, che però condannano la censura a giorni alterni e che al massimo preferiscono ironizzare su Berlusconi e le sue donnine allegre, non di certo su un Imam o peggio sul profeta Maometto. Ma il virus della solidarietà contagia tutti, e allora, almeno per un giorno, anche questi professionisti della vicinanza postuma sono stati “Charlie” ed hanno issato in bella mostra le matite simbolo della rivendicazione libertaria. Passata la sfilata, ora però occorre decidere come rimettere in piedi una società, quella europea, frastornata e minacciata da un pericolo per troppi anni sottovalutato, specie in quei paesi come la Francia e l’Inghilterra che hanno più di altri investito sul modello multiculturale, ignorando l’asimmetria e le incompatibilità degli stili di vita quando certe minoranze smettono di essere tali. Di prediche buoniste sull’estremismo religioso ne abbiamo sentite fin troppo, e francamente non ne possiamo più di quanti si affrettano a prendere le distanze dal terrorismo negando a certi fenomeni la loro più che evidente matrice religiosa. Attribuire la colpa di simili stragi all’Occidente capitalistico e ai soliti americani che foraggiano gli Stati canaglia è una linea difensiva che ha retto per molti anni negli ambienti di sinistra francesi e non solo francesi, alimentando un’ambiguità pericolosa. In tv, l’altra sera, uno di questi disamorati dell’Occidente, a pochi giorni dall’orrore che ha sfregiato Parigi, ha rispolverato una delle balle più colossali della propaganda comunista e “pacifista” : la matrice americana dell’attentato alle torri gemelle di New York. Finché l’Occidente secolarizzato, democratico e liberale avrà tra le fila del suo ceto intellettuale personaggi del genere, non solo è destinato a subire altri attacchi come quello alla redazione di Charlie, ma non potrà che soccombere e capitolare ai piedi dell’Islam. In questi giorni sarà nelle librerie francesi e di tutto il mondo un romanzo che farà molto discutere e riflettere. Si intitola “Sottomissione” e profetizza una Francia completamente islamizzata da qui al 2022, quando a vincere le elezioni sarà il partito dei Fratelli Musulmani, in alleanza con la sinistra di Hollande. Lo scenario prefigurato dal suo autore ( oggi sotto scorta) forse è inverosimile. O forse no. Ad ogni modo, per evitare che la manifestazione di ieri resti solo un evento mediatico come tanti altri, occorre trovare il coraggio di guardare in faccia la realtà. Non basta più distinguere tra assassini e Islam moderato. Non è più sufficiente. Anche perché la vera distinzione non riguarda una generica e insignificante “moderazione”, piuttosto la “contaminazione” o meno di certi islamici rispetto agli stili di vita occidentali. Non dobbiamo noi europei, aconfessionali o cristiani, cambiare atteggiamento e riscoprire i principi dell’illuminismo, come scrive qualcuno. Devono i musulmani comprendere che la cultura laica degli Stati in cui vivono è un dato imprescindibile per una sana e pacifica mescolanza o integrazione che dir si voglia. Purtroppo un’ampia maggioranza di musulmani non distingue o fatica a distinguere l’etica religiosa da quella civile, non riesce a separare la religione dalla politica. E’ in questa confusione che si annida il pericolo della degenerazione del credo virtuoso e pacifico nella lotta armata della jihad. Lo si dica, una volta per tutte.