Forza Italia e i ricostruttori
Angelo Cennamo
Che Silvio Berlusconi sia stato il principale protagonista dell’imprenditoria e della scena politica italiana nell’ultimo ventennio, è un dato che, bene o male, riconoscono tutti. Sostenere, però, che senza di lui il centrodestra sia destinato a confluire nella nuova democrazia renziana o a trasformarsi in una nicchia di facinorosi estremisti, mi sembra una tesi azzardata. Forza Italia, che nell’equivoco bonario di tanti elettori e militanti appare per quello che non è, e cioè un partito, piuttosto che lo staff o fan club di Berlusconi, sta vivendo giorni turbolenti e decisivi per la sua sopravvivenza. L’ala ribelle dei fittiani (i Ricostruttori), ha deciso infatti di ribaltare uno schema consolidato che ha funzionato per molti anni garantendo alle destre svariati successi elettorali. Lo schema era questo: Berlusconi è il leader incontrastato, Forza Italia non ha bisogno di testare al suo interno, democraticamente, la propria classe dirigente, e chi sbarra quel simbolo nella cabina elettorale sceglie e si affida al capo. Da qualche tempo non è più così. Forza Italia, nella versione Forza Silvio, ha già perso milioni di voti e ne perderà degli altri se non si decidesse di correre ai ripari. Si dirà che la condanna ai servizi sociali abbia tolto a Berlusconi quella agibilità politica necessaria per marcare il territorio e dominare la scena. La verità è che Berlusconi si è incamminato sul viale del tramonto almeno 4 anni fa. Quando cioè è stato costretto a lasciare il governo ( 9 novembre 2011) per le fibrillazioni dei mercati internazionali e per tutte le altre vicende emerse in alcuni libri recenti. E’ da allora che il Cav non ne ha imbroccata una. Ha gridato al golpe, accusando Napolitano e Monti di aver tramato alle sue spalle, salvo poi appoggiare entrambi, l’uno al governo l’altro nella ricandidatura al Colle. Con al governo Enrico Letta ce la ricordiamo tutti la boutade di quel voto sulla fiducia, nell’ottobre del 2012, prima negata da Brunetta e subito dopo confermata dal Cavaliere a seguito di un problematico tira e molla con l’ex delfino Alfano, pochi mesi prima nominato per acclamazione segretario del Pdl ( come si fa?). Infine è arrivato Renzi e con lui il patto del Nazareno che ha di fatto annullato ogni distinzione tra sinistra e centrodestra, prestando il fianco a inciuci e retroscena su possibili convenienze extrapolitiche procurate da quella strana alleanza. Raffaele Fitto non è di certo un esordiente, è stato un giovanissimo ministro del secondo governo Berlusconi nel 2001 ed ha governato la sua Regione (la Puglia) prima che lo facesse Vendola. Non sappiamo se sarà in grado di succedere a Berlusconi o di cambiare il volto della destra liberale. Ma ha solo qualche anno più di Renzi e di sicuro non è più sprovveduto dell’attuale premier. Soprattutto ha il coraggio ( forse l’illusione) di potere scardinare un modus operandi che per le ragioni esposte non funziona più né potrà funzionare in futuro, se non altro per motivi anagrafici. Fitto non commetterà l’errore di altri, non abbandonerà Forza Italia per costruirsi il suo partito, l’ennesimo nel frastagliatissimo universo dei moderati. La sua battaglia Fitto la conduce dall’interno, con lealtà e soprattutto senza remare contro un governo di centrodestra. Questo fa la differenza rispetto alle precedenti esperienze di Fini e di Alfano. Come si concluderà questo scontro al vertice è tutto da vedere. Di una cosa però siamo convinti: di questo scontro Forza Italia ne aveva proprio bisogno.