Salerno: Ance, costruzioni, crisi senza fine
Il comparto edile continua a vivere in uno scenario di grave contrazione delle dinamiche produttive, risentendo di due fattori che combinati insieme condizionano le possibilità di invertire la tendenza in atto ormai da troppo tempo: da un lato il brusco calo degli investimenti; dall’altro la persistenza dell’atteggiamento restrittivo nell’erogazione del credito da parte delle banche soprattutto verso le piccole imprese (che rappresentano di fatto la parte prevalente del tessuto imprenditoriale del comparto). L’ennesima conferma arriva dallo studio della Banca d’Italia dedicato alle economie regionali diffuso nei giorni scorsi. «In Campania – scrive la Banca d’Italia – secondo le stime di Prometeia – il valore aggiunto a prezzi costanti del settore delle costruzioni si è nuovamente ridotto nel 2014 (-5,3% rispetto all’anno precedente, -11,2 nel 2013). Tra il 2008 e il 2013 il calo è stato pari al 7,8% in media d’anno». Se si analizza la dinamica delle erogazioni alle filiere produttive, il comparto delle costruzioni risulta tra quelli in permanente difficoltà. La flessione del credito è risultata diffusa tra i principali settori ampliandosi per le sole imprese manifatturiere (da -1,3 a -2,3%). Ma il quadro è molto diversificato tra i diversi comparti. «Hanno ripreso a crescere – spiega la Banca d’Italia – i finanziamenti alle imprese dell’industria alimentare, tessile e della fabbricazione di raffinati del petrolio, di prodotti chimici e farmaceutici (pari complessivamente al 45% del totale dei prestiti del settore manifatturiero nel 2013) a fronte di un ampliamento della flessione dei prestiti per le imprese operanti nel comparto metallurgico e di una contrazione per quello dei mezzi di trasporto, dei prodotti in gomma e plastica e di quelli elettronici che avevano registrato un’espansione nel 2013». È in questo contesto che assumono particolare rilievo le difficoltà della filiera dell’edilizia. «Il credito concesso alle società di costruzione ha continuato a flettere nel 2014, anche se a ritmi inferiori rispetto all’anno precedente (-2,8%, dal -3,6 di fine 2013)». E’ in tale ambito di analisi che è possibile meglio rintracciare gli indicatori che sottolineano le persistenti criticità delle imprese edili nel riattivare proattivi rapporti con le banche. Le tabelle contenute nello studio della Banca d’Italia sono eloquenti. Le nuove sofferenze risultano sempre al di sopra del 9%: 9,8% (dicembre 2013); 9,7% (marzo 2014); 9,8% (giugno 2014); 9,4% (dicembre 2014 ); 9,5% (marzo 2015). Stesso trend in relazione ai crediti scaduti, incagliati o ristrutturati sui crediti totali: 16,3% (dicembre 2013); 17% (marzo 2014); 17,2% (giugno 2014); 18% (settembre 2014); 16,8% (dicembre 2014); 16,2% (marzo 2015). Ancora in ascesa l’indicatore delle sofferenze sui crediti totali: 39,4% (dicembre 2013); 44,9% (dicembre 2014); 45,8% (marzo 2015). Stessa parabola per i crediti deteriorati sui crediti totali: 55,7% (dicembre 2013); 61,7% (dicembre 2014); 62% (marzo 2015). «Durante gli anni della crisi – si legge sempre nello studio della Banca d’Italia – il settore ha risentito della diminuzione degli investimenti in costruzioni realizzati da tutte le componenti del sistema economico». Secondo il Cresme «la contrazione sarebbe proseguita anche nel 2014». Ma «in prospettiva, il comparto delle opere pubbliche potrebbe beneficiare della notevole crescita delle opere messe a bando». Nel 2014, sempre secondo il Cresme, «il loro valore è stato pari a 3,6 miliardi di euro (1,4 nel 2013), di cui quasi mezzo miliardo riconducibile al Grande progetto di risanamento e valorizzazione dei Regi Lagni. Il progetto, bandito dalla Regione Campania, è finalizzato all’adeguamento funzionale e alla gestione quinquennale di cinque impianti di depurazione nell’area a Nord di Napoli».Secondo l’indagine sulle costruzioni e le opere pubbliche, condotta dalla Banca d’Italia su un campione di imprese campane con almeno 10 addetti, «nel 2014 il saldo tra la percentuale di imprese con produzione in aumento e quella delle imprese con produzione in diminuzione è risultato negativo, in misura analoga a quanto registrato nel precedente anno».
A contribuire in maniera prioritaria alla crisi del comparto edile è stata la dinamica degli investimenti in infrastrutture. «Secondo i dati Istat e una nostra ricostruzione basata sui Conti pubblici territoriali (CPT) – evidenzia la Banca d’Italia – gli investimenti in infrastrutture realizzati dal Settore Pubblico Allargato (SPA), ossia da Amministrazioni pubbliche, enti e imprese pubbliche, rappresentavano nella media 2010-12 (ultimo triennio disponibile) il 2,5% del PIL. In Campania tale incidenza è stata pressoché analoga alla media nazionale (2,6% nella media 2010-12), sebbene inferiore a quella del Mezzogiorno (3,6%), soprattutto per i minori investimenti nelle opere del Genio Civile (essenzialmente opere di trasporto, condotte e linee elettriche e di comunicazione civile; 1,6 e 2,4% del PIL, rispettivamente, in Campania e nel Mezzogiorno)». Ma se si approfondisce il dato degli investimenti in infrastrutture in termini pro capite, si scopre che «sono stati nettamente inferiori in regione, circa un terzo in meno, rispetto sia al Mezzogiorno sia all’Italia. Le differenze sono più ampie per le opere del Genio Civile. Limitando l’analisi a queste ultime, che rappresentano la parte prevalente degli investimenti in infrastrutture e sono quelle più dirette al sostegno dell’attività economica, gli investimenti a valori correnti delle Amministrazioni Pubbliche in Campania (pari al 67% del totale delle opere del Genio Civile, nella media del triennio 2010-12) hanno registrato una rapida crescita fino al 2008 per poi ridursi più della media nazionale; tra il 2008 e il 2012 la spesa è diminuita del 29,2% (-6,3 in Italia). La contrazione degli ultimi anni è attribuibile soprattutto alle componenti diverse dalle infrastrutture di trasporto». Ma «anche gli investimenti in opere del Genio Civile realizzate dagli altri enti e imprese del SPA, sono calati tra il 2002 e il 2012 del 38,7%, a fronte di una riduzione del 24,5% a livello nazionale».
Secondo le elaborazioni della Banca d’Italia su dati Istat «si può stimare che in Campania gli investimenti in costruzioni, realizzati nel complesso da tutti i settori di attività economica, dopo essere aumentati di quasi il 3% medio annuo tra il 2000 e il 2007, abbiano registrato nei quattro anni successivi una riduzione significativa, quasi il 6% in media ogni anno (5,0 in Italia)». Dai dati dei Conti territoriali redatti secondo il SEC 2010, «emerge che la contrazione si è intensificata nel biennio successivo, con un calo medio annuo di quasi il 12% (-5,2% in Italia a valori concatenati)». «Il quadro delineato dall’analisi della Banca d’Italia – ha dichiarato il presidente di ANCE Salerno, Antonio Lombardi – evidenzia la gravità della crisi strutturale in cui è sprofondato il settore delle costruzioni. Il dato drammatico del valore aggiunto a prezzi costanti del comparto in Campania (-7,8% in media d’anno tra il 2008 ed il 2013) è la sintesi di quanto accaduto nella nostra regione. Tra le cause determinanti va segnalata la diminuzione degli investimenti da parte di tutte le componenti del sistema economico. A fronte di questo contesto, le speranze di una ripartenza più o meno concreta sono affidate alla crescita del numero delle opere messe a bando: troppo poco per sperare in una rapida inversione di tendenza. Non a caso – ha continuato Lombardi – si consolida la percentuale di imprese che vedono ancora all’orizzonte una contrazione dell’indicatore della produzione. Balza agli occhi, quindi, che la parte pubblica è sempre lontana dall’avere percepito lo stato comatoso di un settore abbandonato a se stesso. E’ difficile pensare che nei prossimi mesi saranno attivati investimenti in grado di arginare l’agonia di tante imprese, soprattutto quelle piccole, che pure stanno cercando di resistere con tutte le loro forze». «L’analisi dei flussi del credito – ha concluso Lombardi – dimostra inconfutabilmente come, anche a dispetto di accordi siglati in sedi istituzionali di livello nazionale, gli imprenditori sono stati lasciati soli, senza che sia stata fatta la giusta distinzione tra crisi di tipo finanziario e crisi aziendali vere e proprie. Il risultato è sotto gli occhi di tutti: sono state spazzate via realtà ancora in grado di produrre ricchezza e tutelare posti di lavoro a causa della miopia di una politica creditizia che ha privilegiato una logica ragionieristica, a discapito degli interessi delle nostre comunità».