Roma: al Museo Ara pacis Augustae, mostra “Nutrire l’Impero. Storie di alimentazione da Roma e Pompei”
Bianca Fasano
Felice combinazione a Roma per chi voglia visitare il Museo dell’Ara Pacis Augustae, giacché, da luglio a novembre è possibile visitare un’interessante mostra dal titolo “Nutrire l’Impero. Storie di alimentazione da Roma e Pompei”. Una sensazione straordinaria passeggiare intorno all’Ara Pacis. Fa sembrare possibile il ritorno al passato. Ottaviano Augusto: un bimbo senza padre dall’età di quattro anni, figlio di Azia, nipote di Cesare (di cui non possedeva l’eloquio sottile), cresciuto dalla nonna Giulia, dopo che la mamma si risposò. Un giovanotto di bell’aspetto, pronipote di Cesare, ma anche un uomo che seppe, con intelligenza, agire al moment opportuno con quella che potremmo definire una “cautela piena di audacia”. Rifletteva sui suoi passi:-“Festina lente”, usava dire, cioè “affrettati lentamente”. La frase apparve su molte monete dell’epoca e lo confermano sia Svetonio che Aulio Gellio. Sposò Ottavia minore, sorella di Ottaviano, ma il vero amore della sua vita fu la seconda moglie, Livia Drusilla, che al tempo aveva già un figlio e ne attendeva un altro. Lui aveva appena avuto dalla moglie una figlia, lei era sposata, ma il loro matrimonio (senza figli), durò ben 51 anni. Questi era il “divino Augusto”, che in alcune occasioni si faceva beffe degli dei (in una cena si presentò vestito da Apollo, così come, vestiti da divinità, giunsero i suoi invitati), ma intese, con l‘Ara Pacis Augustae, celebrare in modo aulico la pacificazione nell’area mediterranea da lui conquistata, dopo le vittoriose campagne di Gallia e di Spagna. Da non dimenticare, tornando al cibo, che proprio a seguito della pax romana, intorno al bacino del Mediterraneo si rese possibile qualcosa che potremmo definire come una primitiva forma di “globalizzazione dei consumi” con relativa “delocalizzazione della produzione” dei beni primari. Il monumento fu ufficialmente inaugurato il 30 gennaio del 9 a.C., situato accanto alla “via Lata“, verosimilmente in prossimità del limite sacro della città (il pomerio), appena passato il “Lucus Lucinae“. Augusto morì in tarda età, nel corso di un viaggio in Campania, il 14 d.C. Su di lui sorsero strane leggende rispetto al fatto che avesse visto in visione la Vergine Maria e si fosse in qualche modo convertito. Leggende, appunto. Gli storici riportano una frase destinata alla moglie:-“Livia nostri coniugi memor, vive ac vale”, ossia “Livia nel ricordo della nostra unione vivi e stai bene”. E così accadde: difatti Livia Drusilla visse circa 86 anni. Per me è stata un’esperienza molto forte salire tramite la scala e “passeggiare” intorno al recinto rettangolare in marmo di m 11,65 x 10,62, per poi entrare, attraverso una delle due porte poste sui lati più lunghi, all’interno del recinto, dove si trova l’altare vero e proprio, elevato su tre gradini, mentre altri cinque gradini permettevano al sacerdote di raggiungere la mensa, ossia il piano dell’altare sul quale si celebravano i sacrifici. La processione del recinto meridionale ci mostra i membri della famiglia imperiale, con Augusto e membri della famiglia imperiale, laddove alcuni studiosi identificano Livia Drusilla nella giovane donna che compare al seguito di Agrippa (ma non è accertato), seguono Agrippa con il figlio Caio Cesare, Giulia, unica figlia di Augusto e moglie di Agrippa; Tiberio, Antonia Minore (figlia di Marco Antonio e di Ottavia, sorella di Augusto) seguita dal figlio Germanico e rivolta verso il marito Druso (fratello di Tiberio), il piccolo Domizio (figlio di Lucio Domizio Enobarbo e di Antonia Maggiore), Antonia Maggiore con la figlia Domizia, Lucio Domizio Enobarbo e, prima di questi, in secondo piano, Mecenate. Insomma: una bella foto ufficiale di famiglia. Oltre alla perla del Museo, abbiamo detto che occorre dedicare attenzione alla mostra “Nutrire l’Impero. Storie di alimentazione da Roma e Pompei”, che offre un’idea complessiva davvero interessante sull’alimentazione nel mondo romano, in quanto vi sono riuniti rari e prestigiosi reperti archeologici, resi più vivi dai plastici e dagli apparati multimediali e le ricostruzioni. Molto del materiale esposto giunge dalle distrutte città di Pompei ed Ercolano, come i fichi secchi (ovviamente del 79 d.C.), il pane di Pompei, 79 d.C. i piselli decorticati, e, oltre ai cibi, i contenitori del tempo, quali, del 79.d.C. la coppa in vetro da Ercolano. Verrà accontentato chi avesse la curiosità su cosa e come mangiassero gli antichi romani, sul modo con cui venivano trasportate le migliaia di tonnellate di provviste dai più remoti angoli della terra e sul metodo con cui si facevano risalire lungo il Tevere fin nel cuore della città. Non ultimo dilemma il sistema di conservazione degli alimenti più differenti nel corso dell’anno. Città vicine e lontane “lavoravano” per rifornire Roma, come ad esempio Ostia, nata come accampamento militare proprio a ragione della necessità dell’approvvigionamento del grano per la capitale, per cui il suo sviluppo nel corso dell’età imperiale romana come centro commerciale portuale. In età imperiale i romani bevevano in grandi quantità vini prodotti in Gallia, a Creta e a Cipro, oppure, se ricchi, i costosi vini campani; a questo consumo si collega anche la “pandemia” constatata sulle ossa degli antichi romani, che erano troppo ricche di piombo, da cui una forma di saturnismo. Basti pensare che molti degli oggetti di uso quotidiano, ossia anche i bicchieri e le stoviglie erano in piombo e, anche attualmente, questo metallo ha molteplici utilizzi, anche se di recente si cerca di limitarne l’uso a causa della consapevolezza della sua tossicità e del danno indotto dalla sua dispersione non controllata nell’ambiente. Dai romani era invece utilizzato anche per addolcire il vino. Tutto questo piombo evidentemente non faceva bene, anzi, soprattutto la pratica di aggiungerlo come edulcorante, causava un accumulo nell’organismo, e nelle persone comportamenti anomali, i quali tratteggiavano perfettamente la pazzia, tipica del saturnismo. Pensiamo, ad esempio, a Nerone e Caligola. I Romani consumavano olio che giungeva per mare dall’odierna Andalusia; desideravano il miele greco e soprattutto il garum. Questo condimento, che giungeva dall’Africa, dall’Oriente mediterraneo, dal lontano Portogallo, ma anche dalla vicina Pompei, aveva un pessimo odore, tanto che Apicio consigliava come comportarsi in caso questo prendesse cattivo odore: “ (…)se il garum ha preso cattivo odore, capovolgi un recipiente e affumica con il fumo di foglie d’alloro e di cipresso; e versaci il garum che prima è stato all’aria. Se questo ti parrà salato, aggiungi un sestario di miele e mescola … L’avrai così corretto.”- Il pane era un prodotto d’importazione, fatto con grano trasportato via mare su grandi navi dall’Africa e dall’Egitto. Mi è parsa davvero interessante la grande carta del Mediterraneo realizzata con tecnica cinematografica, dove si animano i maggiori flussi alimentari dei beni a lunga conservazione quali grano, olio, vino e garum – e si raffigurano le rotte marine dai porti più grandi del Mediterraneo, Alessandria e Cartagine. All’esterno un divertente gioco d’acqua, per cui, appoggiando la mano al muro,la si ritrova bagnata. In sintesi una bellissima ed interessante passeggiata nella storia, entrando nel Museo dell’Ara Pacis. Consigliato alle scolaresche, per rendere davvero vivo il passato che giace troppo spesso pedissequamente sepolto nei libri scolastici.