Assalto al talk

Amedeo Tesauro

La stoccata di Matteo Renzi ai talk del martedì, rei di suscitare meno interesse dell’ennesima replica di Rambo su Rete 4, aveva immediatamente mobilitato i difensori della libertà d’espressione e fatto gridare a un nuovo editto bulgaro. A Renzi non piace un certo racconto del paese stridente con il suo di racconto, ciò era apparso evidente già a inizio 2015, quando aveva beffardamente tweetato ai danni di Piazzapulita su La7 (“Trame, segreti, finti scoop, balle spaziali e retropensieri: basta una sera alla tv e finalmente capisci la crisi dei talk show in Italia”). L’attacco durante l’ultima direzione del partito era dunque solo un nuovo colpo alla visione cupa dell’Italia offerta dall’informazione televisiva, proprio mentre gli indicatori economici davano piccoli segnali di crescita. Passi l’insofferenza del premier, ma a quella frecciata sono seguite nel corso delle settimane parole ben più dure da parte di esponenti del governo. Vincenzo De Luca ha parlato di “camorrismo giornalistico” puntando il dito contro Report e i suoi montaggi, da anni programma simbolo del giornalismo italiano; di poi Michele Anzaldi, membro PD della commissione di vigilanza Rai, in pieno delirio aveva accusato Rai 3 di non rendersi conto dei vincitori e di adottare un atteggiamento ostile degno degli anni di Berlusconi (e dunque rivendicando l’identità di Rai 3 come megafono della sinistra). La polemica non si è sgonfiata (dell’ultima ora è un nuovo attacco a Ballarò da parte della deputata Paola Concia), trascinando al proprio interno politici e giornalisti, ponendo al centro dell’attenzione Rai 3 e i talk show nello specifico (senza distinzione di rete). Questi ultimi, e almeno su questo si è tutti d’accordo, attraversano un periodo di crisi, di scarsa rilevanza, perciò attaccarli è relativamente facile: troppi, troppo persi nell’autoreferenzialità, centrati più su uno sterile dibattito da tribuna elettorale che non sulla comprensione dei problemi, popolati dai soliti noti che animano il carrozzone su ogni rete e a ogni ora. Tuttavia, considerando la visione della politica come fede calcistica che in tanti hanno, a ledere gli ascolti è in generale un momento politico in cui il dibattito appare spento e privo di mordente, giacché al centro della scena vi è un unico attore e tutti gli altri vi girano intorno. Che l’efficacia del racconto televisivo debba essere oggetto delle discussioni politiche apre però le porte a conseguenze nefaste, poco da sorprendersi dunque dell’allarmismo generato da certe tirate politiche. Più che allarmismo suscita ormai un certo gusto del ridicolo, invece, la gestione del servizio pubblico italiano, da sempre bottino di guerra del governo in carica e immagine speculare di un sistema politico sui generis. Sarebbe bello se le dichiarazioni di Anzaldi aprissero un serio dibattito sul ruolo del servizio pubblico in questo paese, magari spingendo davvero verso una BBC italiana, equidistante dai partiti. A parole l’idea c’è, Renzi stesso in risposta a chi parlava di editto bulgaro ha affermato la volontà di rendere la Rai indipendente. Sarebbe bello.