Salerno: Greenpeace, volontari su pesca tonno
Oggi in più di quindici città italiane, da Roma a Venezia, da Napoli a Torino, volontari di Greenpeace travestiti da scatolette di tonno sono scesi in strada per presentare ai consumatori i risultati del quarto aggiornamento della classifica “Rompiscatole”, e chiedere all’industria del tonno di non utilizzare più metodi di pesca che distruggono i nostri mari. Per questa nuova edizione, l’organizzazione ambientalista ha valutato undici marchi di tonno in scatola, circa l’80 per cento del mercato italiano, in base a politiche di acquisto, trasparenza e adozione di precisi criteri di sostenibilità ambientale e sociale. Anche a Salerno i volontari sono scesi sul Lungomare Trieste e sul Corso Vittorio Emanuele per informare i cittadini sul tonno che finisce nelle scatolette che acquistano, e invitare a scoprire quali sono i marchi più sostenibili e quali i bocciati. A due anni dall’ultimo aggiornamento, le aziende che davvero si stanno impegnando per contrastare la pesca distruttiva salgono di posizione mentre chi non mantiene le promesse, come Mareblu, finisce sul fondo. Per la prima volta un marchio arriva in fascia verde: ASdoMAR. Seguono Esselunga e Conad, mentre Rio Mare, leader del mercato italiano, rimane in quarta posizione perché dimostra di voler mantenere gli impegni ma non ha fatto ancora abbastanza. «Solo cinque anni fa, quando abbiamo iniziato questa campagna, quasi nessuna azienda aveva adottato criteri di sostenibilità nella scelta del tonno da mettere nelle scatolette e la maggior parte si trovava in fascia rossa», afferma Giorgia Monti, responsabile della campagna Mare di Greenpeace Italia. «Oggi invece quasi tutti i marchi che abbiamo analizzato hanno politiche di acquisto scritte nero su bianco. Non solo: il settore ha fatto passi avanti in tema di trasparenza in etichetta e sostenibilità. Questo dimostra che le scelte dei consumatori possono davvero influenzare le decisioni delle aziende e garantire un futuro al mare». Chi invece non sembra proprio darsi da fare è Mareblu, declassato in fascia rossa. Nonostante le promesse di bandire i metodi di pesca distruttivi, usando solo tonno da pesca a canna o senza FAD entro il 2016, allo stato attuale solo lo 0,2 per cento dei prodotti di Mareblu è pescato in modo sostenibile. Nella maggior parte delle sue scatolette finisce tonno pescato con reti a circuizione usate con sistemi di aggregazione per pesci (FAD), che svuotano i nostri mari uccidendo ogni anno migliaia di giovani esemplari di tonno (“baby-tuna”) e numerosi animali marini, tra cui squali e tartarughe, spesso di specie in pericolo. Come se non bastasse, Thai Union, l’azienda che dal 2010 è proprietaria del marchio Mareblu, è stata recentemente coinvolta in uno scandalo internazionale che riguarda la violazione dei diritti umani lungo le sue filiere di produzione. Per convincere Mareblu a cambiare, Greenpeace ha lanciato una petizione