Il Sud che non c’è

Giuseppe Lembo      

Caro Ernesto Galli della Loggia, a scrivere questa lettera aperta su “Il Sud che non c’è” è un meridionale, scrittore – saggista, nonché sociologo e giornalista pubblicista. Ho scritto tantissimo sui mali del Sud, analizzati, tra l’altro e soprattutto, dal punto di vista socio-antropologico. In un ventennio, a cavallo tra la fine del secolo ventesimo e del Terzo Millennio, attraverso un lungo percorso di saggi – inchieste, nei miei libri “Mezzogiorno: una scommessa per il futuro”, “I crocefissi del Sud. Ogni giorno una sconfitta”, “I globali del Terzo Millennio” e “Cara Italia, ti scrivo”, nonché in un blog sul web “Giuseppe Lembo – Cilento notizie” e su Facebook in una rubrica-blog “La fabbrica delle idee”, come intellettuale e giornalista, per niente organico al sistema di una mortale dipendenza del Sud, sedotto ed abbandonato e fortemente scomodo, nei confronti di un potere sistemico centrale, che di fatto non ha mai avuto la giusta attenzione per il Mezzogiorno, sempre più abbandonato a se stesso e sempre più distaccato dall’Italia che conta e nei comportamenti unita, sia sul piano politico che economico ed antropologico-culturale, ma, purtroppo, sempre più distaccata ed espressione disumana, con grave danno per tutti, mostrando degli scenari di disumanità crescente delle due Italie, ho insistentemente messo, con fare attivo e per lungo tempo, il dito sulla piaga dei mali del Sud. Tanto, partecipando ad un dibattito e ad un confronto di idee che, nel tempo, ha perso sempre più di vigore e di consistenza a causa di una diffusa indifferenza anche e soprattutto da parte del mondo meridionale, dagli scenari sempre più tristi e confusamente trasformati in contesti umani abbandonati a se stessi e sempre meno protagonisti, con un’umanità senz’anima, cammin facendo, trasformata da “familista amorale” in “individualista” e più recentemente, nel solo popolo silenzioso del web, molto opportunamente riconosciuto dal semiologo Umberto Eco, come “gli imbecilli del web”, chiusi in se stessi e dialoganti con il mondo virtuale degli “invisibili” della rete, ma sempre più assenti dai contesti umani e sociali, compresi quelli familiari, sempre più assorbiti dal solo godimento dell’anima di un dialogo virtuale a distanza, nell’indifferenza assoluta di quel che succede nel mondo, compreso il vicino e circostante mondo del proprio vivere quotidiano. Caro editorialista del Corriere della Sera, un giornale che leggo quotidianamente, con tutto il rispetto meridionale per l’informazione che conta, ti sono grato per aver così intelligentemente messo il dito sulla piaga dei mali del Sud, una parte dell’Italia, senza la quale (i nani della politica italiana proprio non riescono a capirlo), l’Italia del “tutto va bene” e dalla “crisi alle spalle”, inevitabilmente muore. Bisogna giornalisticamente insistere con la buona ed autentica comunicazione su questo punto; bisogna uscire fuori dal coro anche a rischio, come capita spesso anche a me, di essere tacciati di compiaciuto disfattismo e/o dall’appellativo di gufismo, usato, abusandone dal nostro Premier Matteo Renzi. A chiare lettere, pur riconoscendo i tanti mali del Sud che, senza fare sconti a nessuno, considero mali gravi e per molti aspetti dovuti soprattutto e prima di tutto ai comportamenti sbagliati del popolo meridionale, un popolo sempre meno protagonista e sempre più silenziosamente chiuso in se stesso, dico che da parte del potere italiano, con la logica di sempre, continuano i tradimenti italiani, tradimenti ciecamente suicidi, nei confronti di un Sud, da tempo sedotto ed abbandonato. È ormai ora di smetterla; è ormai giunto il saggio momento di dire basta e porre la parola fine al nanismo italiano che, prima di tutto fa male all’Italia non riconoscendo le potenzialità meridionali che attendono, da troppo lungo tempo, di essere utilizzate con la dovuta intelligenza come risorse italiane, importanti per far crescere l’Italia, unitamente al Sud, una grande risorsa italiana, falsamente considerata, perché, tra l’altro, malgestita ed inopportunamente considerata una dannosa palla al piede per il futuro italiano. Ma non è così! Bisogna, con una nuova “intelligenza italiana” rimuovere le tante zavorre delle cose pensate e dette in modo assolutamente sbagliato facendo male agli altri e facendo maledettamente male anche a se stessi. Caro Ernesto Galli della Loggia il tuo intelligente pensiero il frutto di un comunicare autentico espresso in modo chiaro ed assolutamente utile per guidare dal Nord al Sud, le menti italiane al cambiamento sempre più necessario, è un’importante risorsa italiana al servizio della giusta causa di un’Italia nuova e rigenerata; di un’Italia, con italiani veri, cancellando le tante negative cose sbagliate degli “italianuzzi” che, con forte nanismo culturale, hanno prodotto e purtroppo continuano a produrre gravi danni all’insieme italiano, conservando inopportunamente un’Italia divisa e con il Sud che di fatto non c’è nel sistema Italia; tanto, perché indifferente ai tanti che sbagliando non sanno utilizzare positivamente il proprio ruolo politico, pensando, oggi più che mai e con intelligenza al bene italiano comune che vuole fatti concreti e non solo parole e/o vuote promesse al fine di evitare il peggio in una complessa e sempre più difficile realtà globale, in cui ai mondi locali si chiede il protagonismo del fare e l’impegno crescente a pensare insieme al bene comune.

Tanto deve saper fare l’Italia nel suo rapporto con l’Europa ed il resto del mondo; tanto, deve saper fare positivamente e bene chi governa l’Italia nel rapporto Nord – Sud, evitando così il grave danno di un Sud dimenticato che rende inopportuno tenere divisa dualmente l’Italia fatta di un Nord sviluppato e che funziona, facendo stare il più possibile bene la sua gente ed un Sud sottosviluppato, poco protagonista e poco solidale, che non funziona e che non riesce  garantire livelli di vita umanamente giusti alla sua gente in crescente povertà e/o in fuga dalle Terre dei padri, per non morire di Sud.

Caro professore Ernesto Galli della Loggia è importante quel che fai e che comunichi agli altri anche meridionali, come intelligente proposta culturale di un cambiamento possibile.

Sei un meridionale che sa pensare positivo e positivamente dare il proprio contributo da intellettuale organico al solo buon comunicare ed alla sola cultura, senza la quale tutto andrà disumanamente indietro e non ci potrà essere un Sud rinnovato, mancando gli uomini, mancando le idee e mancando nuovi percorsi politici con decisori autentici liberi nel pensare e nel fare senza subire influssi e/o dictat, che non hanno rispetto del popolo sovrano e non sanno assolutamente riconoscere i diritti primari della gente governata ( diritto alla vita, al cibo, all’acqua, all’aria pulita, alla salute, all’educazione, alla cultura ed alla libertà di vivere nel rispetto degli altri, da uomini liberi). Purtroppo c’è una grave e sempre crescente mancanza di tutto questo.

In Italia c’è un grave deficit di “italianità dei diritti umani” soprattutto al Sud; e così da diritti dei cittadini, diventano solo diritti di carta; diventano di fatto e sempre più, dei soli diritti negati.

Perché il Sud continua nel suo disumano dramma del non sviluppo? Molte delle responsabilità, come già detto, possono essere attribuite anche al popolo meridionale, un popolo non protagonista che, per false attese, pensa al silenzio complice, come strada giusta da percorrere per vivere una condizione di falso buonismo umano e sociale, senza assolutamente disturbare niente e nessuno.

Un silenzio complice che purtroppo è, protagonista in uno con la classe dirigente del Sud, erede politico di un feudalesimo che non ha mai smesso di far sentire i suoi effetti devastanti in gran parte del mondo meridionale che si è rinnovato solo in apparenza, rimanendo di fatto sempre se stesso, con addosso soprattutto i poteri forti dei padroni, mentalmente chiusi e nemici del vero cambiamento meridionale, per evitare così di perdere quei privilegi di casta (potere e benessere) che venivano naturalmente trasferiti da una generazione all’altra; sono gli stessi privilegi e lo stesso potere oggi radicati nel mondo della politica e della dirigenza meridionale che governa pensando solo a se stessa, con indifferenza per il mondo degli amministrati, svenduti sul falso libero voto all’Italia che governa a senso unico, come Nord italiano, le male sorti del suolo italico, inopportunamente ancora dualmente diviso in Nord e Sud italiano.

Mentre il Nord governa sgovernando, il Sud è sempre più indifferente a quelli della politica italiana, diventando così, un “Sud che non c’è”, nell’Italia che conta; un Sud, per altro, in crescente crisi umana per il lavoro che non c’è, con la fuga biblica soprattutto dei giovani (braccia e cervello) costretti ad emigrare per non morire di Sud ed in altrettanto grave e crescente crisi paesaggistica e territoriale per la diffusa scomparsa dei contadini, un tempo, intelligenti guardiani dei territori oggi senz’anima e sempre più fragilmente esposti al degrado ed a forme di invivibilità diffusa.

Perché questo? Perché il Sud si diversifica dal Nord e non rappresenta, così come dovrebbe essere, una parte di pari diritto dell’Italia Unita, ma che di fatto è sempre più disunita e con un Sud gravemente ammalato di indifferenza soprattutto, da parte di chi lo governa dimenticandone l’esistenza.

Oltre alla politica meridionale che non sa fare il proprio dovere di rappresentanza in difesa della gente del Sud, c’è da riconoscere una presenza invasiva anche della mala gramigna rappresentata da giornalisti asserviti al potere e da intellettuali indifferenti e sempre più addormentati.

Costoro, più degli altri, per un senso diffuso di nanismo umano e sociale e sempre più spesso culturale, fanno di tutto per non inimicarsi il potere.

Temono, tra l’altro, di essere accusati di “gufismo” per cui, molto inopportunamente, attenti ai loro privilegi ed al loro quieto vivere, scelgono il ruolo di silenziosi e/o di distacco indifferente, evitando di partecipare attivamente al dibattito sui mali del Sud, un dibattito, purtroppo, sempre più silente e/o del tutto spento.

Oggi, caro professor della Loggia, “il Sud non c’è”; il Sud è, purtroppo, sempre più evanescente se non del tutto cancellato; condivido in pieno il suo pensiero che ne attribuisce le colpe alla politica padrona unica, assolutamente indifferente al futuro possibile del Mezzogiorno ed ai problemi della gente che lo abitano.

Devo insistere sul ruolo negativo della gente per le sue tante complici responsabilità; al Sud, il popolo sovrano, ha preferito avere un ruolo di indifferente marginalità, rifiutando, per questo, di diventare protagonista; nel tempo, si è andato sempre più rafforzando nel negativo protagonismo (si fa per dire protagonismo) di “sudditi silenziosi”.

Il mali del Sud oltre ad avere la loro origine genetica nella gente, hanno in sé anche le responsabilità allargate della Scuola meridionale che non sa fare cultura e che da “cenerentola” rifiuta il ruolo suo proprio di attivo protagonismo nei processi culturali territoriali e con questi nelle innovazioni, nell’organizzazione e nella gestione intelligente delle risorse umane, necessariamente parte di un “Progetto Sud” intelligentemente finalizzato al cambiamento ed allo sviluppo possibile.

Gli intellettuali, ormai scomparsi i grandi intellettuali meridionali, circondati da un’assordante solitudine e sempre più privi di riferimenti concreti, sono anch’essi vittime e complici allo stesso tempo del nanismo culturale; sono senz’anima di insieme e non osano esprimersi e tanto meno esprimere il loro dissenso nei confronti del potere, diventando opportunamente attivi protagonisti di saperi condivisi, espressioni di un crescente e condiviso confronto umano e delle idee che, da individuali, per il bene di tutti devono diventare patrimonio comune di un fare rinnovato per una concreta e non più rinviabile rinascita meridionale. Con il nanismo umano, culturale e sociale, il Sud non va da nessuna parte. Una società cresce se è di sé dinamica; una società è protagonista di futuro se ha in sé il dinamismo del pensiero del fare, il frutto di idee di insieme. Al Sud c’è un forte appiattimento; manca, purtroppo e sempre più, il dinamismo del pensiero; manca soprattutto, il dinamismo del fare, senza il quale non si può assolutamente pensare al futuro possibile. Le amare certezze del futuro del Sud sono quelle del nanismo culturale che produce in modo diffuso una grave mediocrità umana e sociale. È, purtroppo, mediocre la famiglia meridionale non più centrale e protagonista di un progetto di insieme umano capace di guardare al futuro. È, come già evidenziato, mediocre la Scuola, che non sa essere agenzia e palestra di saperi, forti delle radici del passato; mancando di questo nobile ruolo non sa interpretare il nuovo umano e sociale, offrendo modelli per percorsi alternativi, innovando idee e progetti di innovazione, di ricerca tecnologica e di una diversa organizzazione delle risorse umane, assolutamente necessarie per cambiare e quindi crescere, producendo sviluppo.

È, purtroppo, tra l’altro, mediocre la cultura, ammalata di nanismo e sempre più indifferente ai più, appiattita com’è sul vuoto pseudo-culturalismo dei falsi prodotti del pensiero, impropriamente definiti culturali.

Anche la comunicazione meridionale soffre di nanismo comunicativo; pur di sopravvivere fa la sponda al potere costituito, manifestando il suo vero volto di mediocrità, una componente grave per cui non si pone l’obiettivo di sradicare la mediocrità sociale che non ha permesso e non permette al Sud di cambiare e quindi di crescere, avendo in sé un grave nemico nella direzione politica attenta unicamente a conservarsi nei privilegi e nel potere di un dio minore considerato intoccabile.

C’è, purtroppo e sempre più, un fare dalle caratteristiche negative, fortemente sbagliato; è comune a gran parte del potere meridionale.

È sbagliato perché non riesce a capire l’importanza dei saperi del passato; è sbagliato nei confronti della buona Terra, sempre più abusata e violentata, come se ciascuno ne fosse l’ultimo a doverla usare ed abitare; è sbagliato nei confronti dei vecchi mestieri, sempre più cancellati e delle professioni che, per vuoti formativi crescenti, si avviano con grave danno sociale a processi diffusi di analfabetismo professionale, con le radici profonde sempre più diffuso nel nanismo umano e culturale, una dominante nella società del nostro tempo.

Per concludere queste mie riflessioni sul “Sud che non c’è”, in un percorso di idee a confronto, suggeritomi da Ernesto Galli della Loggia con il suo editoriale sul Corriere della Sera di lunedì 21 dicembre 2015, mi piace prendere in prestito le parole di Papa Francesco

Per essere grandi

                                   bisogna prima di tutto saper essere piccoli.

                                   L’umiltà è la base di ogni vera grandezza”.

Purtroppo e da qui scaturiscono tanti guai italiani e del Sud in particolare, il nanismo culturale diffuso, al Sud come nel resto dell’Italia, proprio non produce “umiltà”; genera e sempre più, “arroganza”. Genera arroganza del potere unico ed assoluto che si crede grande.

Grande e senza “competitori”; un “grande” fatto del nulla che è, inopportunamente, del tutto indifferente al pensiero del Papa Francesco che, molto opportunamente ci ricorda “per essere grandi, bisogna prima di tutto saper  essere piccoli”.

I falso grandi (e sono tanti in Italia, Sud compreso), fortemente ammalati di “ismi” (il renzismo ne è una prova tutta italiana) ammalati come sono di una sconsiderata mania di grandezza, pretendono di essere “grandi”, anche se di fatto non lo sono, mancando, tra l’altro, del primo presupposto della grandezza che, come insegna il messaggio di Francesco alla cristianità universale “per essere grandi, bisogna prima di tutto saper essere piccoli”.

Cari “bulli” della falsa grandezza e simboli viventi di un falso “potere divino”, riconsideratevi; meditate, meditate ed imparate sapientemente il percorso da farsi ed assolutamente necessario alla vostra sconsiderata voglia di apparire grandi, anche se grandi non siete, in quanto la vostra grandezza è manchevole della prima pietra che è quella di saper essere piccoli, per poi essere grandi e non solo pretendere di essere grandi, senza di fatto esserlo.

Trattasi, purtroppo e sempre più, di una grandezza senza senso; di una grandezza apparente, in quanto manchevole di quel saggio percorso che parte dal piccolo per diventare grande.

Un percorso saggio dei giusti della Terra, sempre più dimenticati; sempre più indifferenti ai più che si autodefiniscono “grandi”, autocancellandosi ed autocancellando la propria “grandezza di carta” e fingendo anche a se stessi, che trattasi di vera grandezza, per cui possono tutto; per cui, si può essere anche onnipotenti senza limiti, portando l’umano in Terra, a toccare le sfere intoccabili del divino che non è assolutamente di questo mondo, sempre più ammalato di uomini “piccoli” che si credono “grandi” e che così credendo, fanno male, tanto male, nel caso in esame al Sud ed alla sua gente che, standosene silenziosa e non sapendo né agire né reagire, ne subisce le gravi e disumane conseguenze, così rendendosi protagonista silenziosa di un “Sud che non c’è”.