Il caso Fermo: verità e strumentalizzazioni
Amedeo Tesauro
La morte di Emmanuel Chidi Namdi, il 36enne nigeriano deceduto a Fermo, è apparsa fin da subito una notizia da prima pagina con implicazioni incendiarie. Proprio mentre gli Stati Uniti sono scossi dalla questione razziale, con aggiornamenti in rapida successione di ora in ora, l’Italia assiste a una vicenda di cronaca che affonda nel tema caldo, ad usare un eufemismo, dell’immigrazione e il rapporto tra italiani e stranieri. Gli ingredienti sono esplosivi già dalle prime ricostruzioni: il morto è un profugo richiedente asilo, il presunto aggressore un italiano razzista (su tal punto concordano, inconsciamente, perfino i difensori dell’uomo) , ultrà con tanto di Daspo nel curriculum. La vicenda in un primo momento viene chiarita in maniera semplice: Amedeo Mancini, l’italiano, insulta Chinyery, la moglie di Namdi, ne segue una rissa in cui il nigeriano muore a seguito di un pugno. È soltanto la prima versione, ne seguiranno altre, con tanto di super-testimone, fino all’autopsia che riterrà il pugno di Mancini non mortale e il decesso causato dall’impatto di Namdi col marciapiede. La versione della moglie smette di convincere, ulteriori dettagli mutano le ricostruzioni e vedono un Namdi passato all’azione per primo dopo le provocazioni, tutto da accertare ovviamente. Premesse: gli insulti razzisti rimangono sia nelle versioni di Mancini che della moglie di Namdi, e il palmares di Mancini in tale campo è, come detto, confermato anche da chi sta dalla parte dell’uomo. Come Simone Mancini che racconta del fratello Amedeo come un “allegrone” che quando vede un nero gli tira le noccioline, e minimizza l’insulto scatenante a battuta. L’altra premessa è quantomeno ovvia: se Namdi ha battuto la testa a terra cadendo, lecito chiedersi perché sia caduto, e l’inchiesta dovrà accertare le dinamiche che hanno portato alla morte. I media, dal canto loro, sviscereranno ogni sottigliezza su chi ha iniziato e chi è passato alle mani, ogni elemento farà gioco alle posizioni in causa, quelle che fin dal primo comunicato sono emerse, come era lecito attendersi. Buonisti, non buonisti, retorici e anti-retorici, razzisti e non, per i propri fini e per la propria agenda nessuno ha mancato di dire la sua e strumentalizzare la vicenda. Emmanuel Chidi Namdi e Antonio Mancini sono divenuti maschere che indicano due tipi precisi, l’immigrato e l’italiano, messe in scena e interpretate in maniera diversa a seconda dell’autore. Difficile aspettarsi altro, l’esplosività del caso e le sue ripercussioni sono state fin dal primo momento più importanti di un evento che preso in sé, per quanto tragico, rimarrebbe un caso di cronaca isolato. Certo, fosse state confermato lo scenario di un omicidio razziale, come profilato nelle prime ore, una riflessione più ampia sul razzismo sarebbe stata logica. Tuttavia si potrebbe obbiettare che in un momento storico come il nostro tale riflessione andrebbe sviluppata in maniera seria e costante, e non solo di comodo di fronte a un episodio di cronaca nera particolarmente sensibile salvo poi ritornare al solito circo il giorno seguente. foto infooggi.it