Napoli: alla Federico II, Ivano Dionigi “Il presente non basta, la lezione del Latino”
Michele Gagliarde
Si è tenuto mercoledì 26 aprile alle ore 17 nell’Aula Pessina del Dipartimento di Giurisprudenza dell’Università degli Studi di Napoli Federico II, in corso Umberto I, 40 l’incontro con Ivano Dionigi, insigne latinista, presidente della Pontificia Accademia di Latinità, già Rettore dell’Università Alma Mater Studiorum di Bologna, venuto a Napoli per la presentazione del suo nuovo libro “Il presente non basta. La lezione del Latino”, accorata difesa dell’importanza della tradizione classica e del latino nella nostra cultura. Dopo i saluti introduttivi del Rettore Gaetano Manfredi e del Prorettore Arturo De Vivo, la lectio magistralis del professor Dionigi è stata incentrata sul culto della parola nell’antichità classica e sulla centralità che essa assume ancor oggi in una società post-moderna che spesso, focalizzandosi eccessivamente sull’hic et nunc del presente, dimentica questa grande lezione del passato finendo troppo spesso per tradirla. Partendo dall’Encomio di Elena del sofista Gorgia il quale, riscattando l’immagine di una delle donne più denigrate del mito, dimostra che alla parola tutto è possibile e che essa «nonostante il suo corpo esilissimo, può compiere miracoli» l’insigne latinista giunge a Roma dove la parola, trovando la sua disciplina nell’ars dicendi, acquisterà le sue tre funzioni fondamentali –delectare, movere, docere-, ovvero affascinare, scuotere, insegnare. Prendendo le mosse da un Cicerone poco più che ventenne, il quale nel De inventione, domandandosi se sia maggiore il bene o il male che alla res publica romana arreca l’uso della parola, afferma che quando a parlare sono gli eloquentes (gli uomini saggi a parlare, che sanno coniugare alla retorica la sapientia filosofica), essi sono la salvezza dello Stato, ma se per converso a parlare sono i disertissimi homines (gli uomini più bravi nell’arte retorica, i demagoghi) allora è la morte per la res publica, il Dionigi traccia una via etica per l’uso delle parole totalmente opposta alla retorica della prevaricazione di cui il massimo esempio è la favola di Fedro de “Il lupo e l’agnello”, quando con falsi pretesti i potenti opprimono gli innocenti. La parola porta sempre con sé questo aspetto duplice: l’autore ricorda come il cardinale Gianfranco Ravasi affermava che quando essa è all’insegna del symballein (unire), si fa simbolo e verifica e salva, quando invece è all’insegna del diaballein (dividere) diventa diabolica, o ancora rimembra quando lo scrittore Daniele del Giudice personificò la parola facendole dire che un tempo essa era la materia prima come il carbone e il ferro: ora invece essa è merce, pronta per ogni acquirente, disponibile per scopi bellicosi o pacifici. «Oggi più che mai- sostiene infatti l’insigne latinista- c’è urgente bisogno di un’altra ecologia oltre a quella ambientale: è l’ecologia linguistica. Stiamo tutti a ingrandire questa città di Babele, in attesa di una sorte di una Pentecoste laica che ci renda tutti capaci di capirci parlando ognuno la sua lingua diversa. Invece noi oggi con la stessa parola intendiamo cose diverse e con parole diverse esprimiamo lo stesso concetto. Frontone, retore del II secolo, diceva che quando parliamo tra di noi dovremmo usare verba optima et significantia (le parole migliori e portatrici di significato), invece usiamo perlopiù verba obvia, quelle che ci vengono incontro per via, che tutti usano e già hanno usurato. Eppure le parole ovvie non sono parole individuali e significative: hanno perduto il loro volto. L’altro equivoco della società di oggi è che noi confondiamo le parole con le comunicazione e questo è un errore madornale. La parola è prima, la parola ci persiste, la comunicazione in quanto medium, “mezzo”, viene dopo in ogni caso». Citando Aristotele, il quale afferma che l’uomo è l’unico animale che ha la parola, e lo psicanalista Jacques Lacan che conia per descrivere la realtà dell’uomo il neologismo parlêtre, traducibile con “parlessere”, l’autore si fa promotore della necessità di riscoprire uomo e parola sono la stessa cosa, hanno una stessa identità. «Il filologo- sostiene infatti Ivano Dionigi- non è solo lo studioso specialista del testo. Filologo, in quanto “amico, amante, appassionato dell’uso della parola”, dobbiamo esserlo tutti. Non è un mestiere o una pratica per pochi, è una proprietà di tutti. Il latino, come mater certa del nostro italiano, rientra pienamente in questo discorso. Goethe, mentre sentiva suo padre che dava lezioni di italiano a sua sorella, esclamò: “Mi sono accorto che l’italiano è un’allegra declinazione del latino”». Infine, ripercorrendo l’origine etimologica di alcune parole tra le quali comunicazione (dal latino cum+munus in cui munus è dono, quindi chi comunica davvero trasmette all’altro un dono), competere (dal latino cum+peto, “andare nella stessa direzione”) o dello stesso termine etimo (dal greco etymos “vero, genuino”), il professore ha dato a tutti i presenti un saggio di come il latino e, più in generale, le lingue classiche restituiscano il valore genuino e originario della parola, valore che purtroppo la società moderna, priva com’è di una memoria storica, troppo spesso dimentica e finisce per tradire.