Salerno: IV ediz. Festival di Musica da Camera “L’Arte del dialogare In Trio”
Il dialogo musicale in Trio sarà al centro del terzo appuntamento, giovedì 1 giugno, nella Chiesa di Santa Apollonia alle ore 20, del cartellone della IV edizione del Festival di Musica da Camera, promosso dal Conservatorio Statale di Musica “G.Martucci” di Salerno e ideato dalle docenti del dipartimento di musica da camera Anna Bellagamba e Francesca Taviani. Due i Trii proposti questa sera. La violinista Floriana Maria Knowles, la pianista Rita Ferrara e il violoncellista Antonio Ramous si incontreranno sulle note del Fantasiestucke op.88 di Robert Schumann. Dedicato a Clara. Una dedica che ha quale musa ispiratrice, Clara Wieck, sposata Schumann che fu anche sua “coscienza critica”, possedendo anche notevole talento come compositrice. Schumann scrisse il suo Trio (pianoforte violino e violoncello) cui diede il titolo di Fantasiestucke per sua moglie Clara, qui egli tenta timidamente di trasporre nell’universo della musica da camera la sua concezione aforistica, anche se senza particolare convinzione. L’ispirazione venne dal meraviglioso Trio op. 49 di Mendelssohn, ascoltato il 3 dicembre del 1842. Schumann già il giorno dopo cominciò a schizzare idee per quell’organico a cui non si era ancora dedicato. Nacque così nel giro di poche settimane, anche se i ritocchi continuarono no al 1850, un’o- pera che non poteva certo essere classificata con le solite etichette formali. Quei pezzi erano nati dall’universo del fantastico e lì dovevano rimanervi anche a livello di denominazione: la Romanza iniziale espone un frammento melodico che si estingue non appena prende forma, come se volesse mettere in moto la nostra immaginazione; l’Humoresque è uno scherzo che inietta spunti molto disparati e anti-realistici, lirici, drammatici e addirittura galanti, all’interno di un tessuto ruvido e popolareggiante; il Duett esibisce tutta la cantabilità appassionata di cui Schumann era capace, con un dialogo commovente tra violino e violoncello che sembra raffigurare l’addio definitivo di due innamorati; il Finale è un tempo di marcia un po’ infantile, nel quale Schumann dà l’impressione di tratteggiare una caricatura della vita militare. Manca un vero primo movimento, solidamente costruito, domina l’umorismo inteso come sovrapposizione tra stati emotivi contrastanti, e il discorso avanza per stimoli della fantasia trascurando sistematicamente la nozione tutta tedesca di sviluppo. Chiusura di serata riservato al trio Wanderlust, nato tra le mura del nostro conservatorio, composto da Sara Rispoli al violino, Lucia Giuliano al pianoforte ed Emanuele D’Andria al violoncello. La giovane formazione eseguirà il Trio in Re minore op.32 di Anton Arenskij. Anche se il nome Anton Stepanovich Arenskij non è molto noto oggi, era parte integrante del mondo musicale russodi fine Ottocento. Ha studiato composizione con Rimsky-Korsakov al Conservatorio di San Pietroburgo e, subito dopo il diploma (con una medaglia d’oro), ha insegnato al Conservatorio di Mosca, dove tra i suoi allievi leggiamo i nomi di Alexander Scriabin, Reinhold Glière e Sergej Rachmaninov . Il Trio n°1 per violino, violoncello e pianoforte è una delle sue opere di maggior successo. Ha ottenuto il premio Glinka (500 rubli) ed è stato scritto in memoria del grande violoncellista virtuoso Karl Davidov. Il Trio è in quattro movimenti e si apre con un Allegro moderato, e un tema lirico enunciato da violino e il violoncello, un buon esempio della capacità di Arenskij di comporre melodie meravigliose e che ha reso le sue numerose opere così interessanti. Il notevole e impensato secondo movimento è uno scherzo. La sua giocosa apertura e chiusura, con la sua struttura staccata e pizzicata, è un ottimo contrasto con la sezione centrale che è un’oasi romantica del movimento. Il melanconico terzo movimento è una intensa Elegia, che cede il passo ad un finale allegro ma non troppo, che porta il Trio ad un finale coinvolgente e salottiero. Venerdì 2 giugno, ancora una serata dedicata all’Impressionismo francese con le più talentuose voci del nostro conservatorio, interpreti delle mèlodies, in cui Gabriel Faurè sembra privilegiare toni sommessi e delicati e dimensioni intime e contenute, di Claude Debussy, con Les Cloches, la Nuit di Ernest Chaussons e la proposta finale del sestetto di Francis Poulenc, frizzante e virtuosistico, in cui fiati e il pianoforte non sono in contrapposizione, si pongono in un continuo dialogo frammentato tra piccoli raggruppamenti strumentali, ottenendo così suoni sempre cangianti, non trascurando accenni al Jazz né alla tradizione colta, come possiamo notare nei due interventi quasi “gregoriani” del fagotto.