Viaggio sul lago Tanganika: Angalia, padiri anafika (guarda, è arrivato il padre missionario)
Padre Oliviero Ferro*
Il cielo si è ripulito ed il sole è tornato a splendere. Il motore continua nel suo canto e la gente, come se niente fosse, chiacchiera, cerca e condivide notizie. Naturalmente si lamenta del prezzo delle cose, degli imbroglioni al mercato, delle ingiustizie dei soldati. Qualche mamma si stringe al petto il figlioletto. I papà si stendono sui sacchi pieni di tante cose. E io ascolto. Ormai comincio a capire discretamente la lingua. C’è sempre da imparare e così ascolto anche i loro sogni, i loro progetti per il futuro. Sono quelli che girano in tutte le parti del mondo: un po’ di benessere, salute, pace. Qualcuno comincia a cantare e gli altri si uniscono. In lontananza, vediamo qualche coccodrillo che scivola silenzioso nell’acqua e vicino alle rocce degli ippopotami che giocano…pesante. Non si avvicinano, perché hanno paura del motore. Ormai stiamo per arrivare a Dine, uno dei cinque settori della parte della parrocchia sul lago. Il motore rallenta e si avvicina a riva. Finalmente qualche passeggero scende e dice il suo “aksanti, padiri” (grazie, padre). I loro parenti li aiutano a scaricare i bagagli. Il responsabile della comunità ci accoglie sorridendo, ci dà il benvenuto “karibu” e ci accompagna alla casetta dove depositiamo i nostri bagagli. Subito si avvicina la gente che ti stringe la mano. Sono contenti di vederti. Erano passati dei mesi dall’ultima volta. Hanno tante cose da raccontarti e aspettano che anche tu li riempia di notizie. Molti ti vedono per la prima volta e fanno i loro commenti. I bambini, dietro le spalle delle mamme, ti guardano con due occhioni. Tu ti avvicini e loro si nascondono. Ma poi rifanno capolino, con un sorriso. Vedono che non sei una minaccia e ti regalano un sorriso. Qualche mamma me lo mette in mano. Io non so da che parte prenderlo. Mi fa un sacco piacere. Ti guarda e tu lo guardi e insieme facciamo una bella risata. Ma non siamo venuti a far le vacanze. Bisogna mettersi a disposizione per vedere la situazione di tante persone. Non c’è tempo per riposarsi. C’è anche la messa da celebrare. Tutti cantano e così anche il tuo cuore canta insieme con loro. Ti sembra di essere, come Gesù, sul monte delle beatitudini e ti verrebbe da dire tante cose. Poi ti guardi intorno, guardi i loro volti, le loro mani. I loro occhi che sembrano dirti “padre, dicci quello che hai nel cuore, quello che Lui ti ha detto e perché hai lasciato la tua famiglia, il tuo paese per venire qui da noi”. E allora, cominci a raccontare una storia semplice, mescolando l’acqua del lago con il canto degli uccelli e il dolce ronzio che viene dai bambini che le mamme stanno cullando. E tutto ti viene più semplice. Non troppe parole, ma quelle che ci vogliono tra persone che non si sono mai viste prima, ma che intorno all’altare trovano la risposta ai loro perché. E i canti non si fermano alle quattro parete della chiesetta, ma scendono giù fino alla spiaggia e salgono nelle barche dei pescatori per andare al largo, accompagnandoli nella fatica notturna del pescare.
*missionario Saveriano