Viaggio sul lago Tanganika: Watoto sawa samaki (bambini come pesci) mwezi wa ajabu
Padre Oliviero Ferro*
Avevamo lasciato i pescatori che tornavano sulla spiaggia, dopo la notte di lavoro. Noi invece arriviamo verso gli ultimi villaggi della missione., a 130 km., dalla punta dell’Ubwari, la penisola. Siamo al confine della regione e anche là c’è gente che lavora, soprattutto pescatori e…altri che si arrangiano. C’è sempre una comunità che si riunisce a pregare, per vivere la propria fede con coraggio. Sono lontani da tutti. Solo la radiolina (a batterie) li tiene in contatto con il mondo. Abbiamo cercato di costruire una specie di ospedaletto per le prime necessità e portiamo delle medicine. Certo utilizzano anche quelle tradizionali. Insomma cercano di sopravvivere. I giovani sognano un futuro diverso, ma è difficile vederlo. Bisogna emigrare, attraversare il lago e andare in Tanzania. I papà e le mamme coltivano i campi e lottano giornalmente con le scimmie che si divertono a fare dispetti. Il menù non è molto vario: riso, manioca, un po’ di carne di capra e pesce e frutti. Da bere: acqua e birra di banane e anche una bevanda alcolica (la kanyanga, che distrugge lo stomaco). E poi tanti bambini che escono da tutte le parti, vengono a toccarti le braccia e le mettono a confronto con le loro e tante risate. Si parla, si condividono le notizie e i problemi e…si sogna una mondo migliore. Non abbiamo molto da dare lor, ma quello che abbiamo glielo portiamo: il nostro tempo, il nostro rispetto per ciascuno di loro e Gesù Cristo. Ormai è tempo di ritornare. Un ultimo piatto di riso, qualche bicchiere d’acqua fresca e il motore si rimette a cantare. Piano piano il sole rossa affonda all’orizzonte e avviene un miracolo. Esce la luna e tutta la superficie dell’acqua diventa d’argento. Ma non è finita qui. Non si sa da dive, ma sbucano tanti “ndagala” (pesciolini) che si mettono a danzare, saltare. Ci circondano e là in alto la luna continua a lanciare i suoi raggi. Uno spettacolo meraviglioso che sembra non finire mai. Piano piano mi addormento e sogno chi sta lontano, le persone a cui voglio bene e quelle che ho incontrato in questo viaggio: i visi stanchi dei papà, gli occhi dolci delle mamme e i sorrisi e gli scherzi dei bambini e i sogni dei giovani. Rimangono nel cuore. A un certo punto, uno dei due piloti mi sveglia, dicendomi che è il momento di fermarsi. Non possiamo arrivare subito a casa. Dobbiamo accostarci alla spiaggia e riposarci, prima dell’ultima parte del viaggio. Ancoriamo il battellino e prendendo una coperta ciascuno, cerchiamo il posto migliore per stenderci sulla sabbia. Nel cielo le stelle che accompagnavano la luna, ci portano lontano lontano. E ci addormentiamo. Il grido dei pescatori che ritornano a riva ci sveglia. E’ tempo di ripartire. Per fortuna il vento è tranquillo. Qualche ippopotamo si era appena svegliato e apriva la sua bocca, facendoci vedere tutti i dentoni. Ancora poco e la chiesa ci appare sempre più vicina (qui nel 1964 ci sono stati dei missionari che hanno pagato con la vita il loro servizio). Finalmente, arrivati. A pranzo avrò tante cose da raccontare. Un grazie ai miei compagni. Un “kwa heri” (arrivederci) che mando a chi ho incontrato in questi quindici giorni di “safari njema” (buon viaggio) .
*missionario Saveriano