Viaggio di andata/ritorno: tutta una sorpresa
Padre Oliviero Ferro
Mi sveglio al mattino e il dente mi dice: ”Sto male, fai qualcosa per me”. Mi guardo allo specchio e vedo che la gengiva diventa rossa, non per la vergogna. Cosa fare? Non è semplice. Nel nostro villaggio in Africa non ci sono dentisti e bisogna andare in Burundi, cioè in un altro paese, al di là del fiume, ma ci vogliono permessi, autorizzazioni per passare la frontiera. Finalmente, dopo qualche giorno tutto è pronto e si comincia il grande viaggio. Dalla città frontaliera di Uvira, prendo il taxi. Arrivo alla frontiera e bisogna scendere, per attraversare la terra di nessuno. Come? Semplice: ci sono le bici-taxi. C’è l’imbarazzo delle scelta. Ne trovo una e un giovane, a cui mi aggrappo, mi trasporta dall’altra parte (naturalmente l’asfalto non c’era). Scendo. Presento i documenti ai poliziotti. E poi? Bisogna trovare un pulmino che mi porti in città, a Bujumbura. Vedo dei pulmini che arrivano e che partono. Cerco di prendere il primo. Impossibile. Finalmente al terzo, qualcuno dice di lasciare un posto al missionario, altrimenti era complicato entrare. Infatti gli occupanti in arrivo, teoricamente, sarebbero dovuti scendere e quelli in attesa, salire dopo di loro. Ma, c’è molta fantasia, si fanno le due cose nello stesso momento. Per cui io non riuscivo ad entrare. Si parte. Arrivo alla casa dei missionari e mi faccio accompagnare all’ospedale militare, dove c’è il dentista. Mi visita, mi cura. Veramente molto gentile. Poi mi preparo a fare il viaggio di ritorno. Un taxi si accosta. Gli chiedo di portarmi alla frontiera. Comincio a sentire dei rumori strani, ma faccio finta di niente. Dopo alcuni metri, una corda ci sbarra la strada e due poliziotti si avvicinano e chiedono la “collaborazione” (obbligatoria) che passa da una mano all’altra. Si riparte, ma i rumori diventano sempre più forti. Chiedo all’autista se è sicuro che ce la facciamo ad arrivare. Semplice la risposte: “Usiogope, padiri (non avere paura, padre)”. Guardo il panorama della città, la gente che lavora sulle strade e finalmente, non si sa come, scendo, facendomi un bel segno della croce. Di nuovo sulla bici-taxi. E alla frontiera del Congo RDC, cerco un altro taxi. Altra sorpresa. Mi siedo dalla parte dietro e il sedile, ormai troppo stanco, si rompe e arrivo quasi al livello delle ruote. Il solito “Usiogope, padiri, tutafika (non aver paura, padre, arriveremo)”. In effetti si arriva alla casa dei missionari. E il dente? Ora si è messo a ridere, vedendo la mia paura. A lui era già passata davanti al dentista e mi ha lasciato solo a soffrire. La prossima volta andrò da un’altra parte e metteremo le cose in chiaro. Chi domanda la bocca sono io e non lui, che è un servitore al mio diritto di mangiare e di masticare bene. Che se lo metta in testa e lavori meglio con la gengiva che cerca di difenderlo! Il “bwana” (padrone) sono io. Lui sorride insieme agli altri 31 denti. Lo vedo dallo specchietto del taxi. Forse è meglio mettersi d’accordo: abbiamo bisogno tutte due di aiutarci. E così, a malincuore, devo cedere. Ma non finisce qui!