Domenica 22 Aprile: Gesù buon Pastore

Padre Giuliano Di Renzo

Come per anticipare la parabola del Buon Pastore (Gv 10,1 e ss) e spiegarla la liturgia ci ha fatto ascoltare il discorso di Gesù nella sinagoga di Cafarnao nel quale ci prometteva e spiegava il dono supremo della Santissima Eucarestia (Gv 6,22 e ss).
Gesù annuncia e promette il dono di sé a noi non solo come nutrimento spirituale ma pure fisico nell’Eucarestia, anticipo a noi del nutrimento di vita nel cielo.
Infatti come con la manna, pane che scendeva dal cielo e serviva a nutrire la vita del corpo, così Gesù Vita è pane di vita sceso dal cielo per sfamare le anime. Ma Gesù non si limita a nutrire solo l’anima. Egli nutre anche l’uomo nella sua interezza di essere uomo. L’uomo non è tale infatti se non come spirito e materia sussistenti nell’unità della persona.
Gesù vuole me, te sfamare, non solo quella nostra parte di noi che senza quel me, quel te non è neanche mio, neanche tuo e mio. E mio e tuo siamo io e tu.
Gesù è Spirito Verbo di Dio che nel pane e vino eucaristici si fa pane e bevanda che intanto che nutre e disseta lo spirito nutre e disseta pure il corpo. Quasi ancora s’incarna Gesù, s’incarna ancora di più nelle specie eucaristiche che trasforma in sé al fine di nutrire l’anima e il corpo, ossia la persona. Al modo che lo spirito è vita del corpo e fa del corpo un corpo umano e si ritrovano ambedue vicendevolmente comprenetrati l’uno nell’altro nell’unità dell’atto proprio della persona.
Già: “Io sono il buon Pastore e do la vita per le mie pecore”.
La storia della santità cristiana ci mostra anime mistiche che hanno vissuto per tutta la vita o, a seconda dei casi, per un tempo più o meno lungo solo nutrendosi dell’Eucarestia. O, più esattamnte, lasciando si nutrire da Gesù di sé nell’Eucarestia. Previsione e anticipo del cielo, quando anche noi, spirito e corpo, vivremo solo di Gesù completando Gesù la sua incarnazione assumendo noi nella sua Resurrezione. La Chiesa come “pleroma”, compiutezza di Cristo.
Il nostro paradiso è Lui da noi posseduto e pertanto Lui che noi possiede in eterno infinito vicendevole nuziale abbraccio. Ricapitolando in tal modo finalmente Dio tutto in Cristo, le cose della terra e quelle del cielo nel Figlio, consegnando così il Figlio il regno al Padre, in modo da essere Dio tutto in tutti e tutto e tutti in Lui.
Essendo Gesù eterna vita, anche noi eternamente vivremo di Lui, per Lui e in Lui.
L’inferno perciò è volontaria privazione di Lui, rifiuto della felicità di luce e amore nei quali giunge a perfezione l’essere noi persona. Fine dell’esistere è la Luce-Dio che sfolgora in noi e fuori di noi dovunque.
Si pone la domanda cruciale e a tutti tremenda che disorienta. Perché c’è l’inferno e perché è eterno se esso si definnisce come assenza di Dio, che è di tutti l’essere e la vita? Perché quel rifiuto non riporta al nulla di prima che si fosse?
Ciò non accade perché l’inferno non è propriamente nulla essendo Dio l’eterno e la coscienza rimarrà sempre quale relazione ormai mortificata con Dio Verbo, il Quale ora è in essa presente come rifiutato assente. Non torna lo spirito al nulla da cui proveniva ma come è disperazione di malvagio rifiuto. E’ l’amore la vita e senza l’amore la vita è di morti viventi, anzi di morte vivente.

Gli ascoltatori di Gesù nella sinagoga di Cafarnao non compresero il dono di Dio, lo intesero nel loro naturale senso umano di banalmente materiale e inseguendo il mistero del dono dell’Amore di dio che Dio stava aprendo davanti ad essi con una logica rozzamente umana rifiutarono la luce della fede che spiegando stava dando a loro Gesù e si allontanarono da Lui.
Gesù insistette nell’annuncio del suo dono. Se avesse ritirato il suomdono che dono sarebbe veramente stato? Non modificò le sue parole di Verità e di Amore perché nulla e nessuno può accomodare la Verità alle proprie mondane non-verità e adattare la generosità dell’Amore che Dio è alle grettezze delle limitate visioni umane.
“Ve ne volete andare anche voi?” chiese i discepoli rimasti.
Crediamo spesso rendere un favore a Dio quando lo accogliamo in noi, mentre è Dio che fare un dono a noi chiamandoci all’esistenza, con poi redimerci e farsi da noi toccare. Il Signore non ha bisogno di noi, mentre noi abbiamo bisogno di Lui, sia per esistere come per vivere.

Gesù è Verità e perché Verità si proprone non s’impone e lascia a ognuno la responsabilità di se stesso e delle sue risposte libere. Ognuno sarà ciò che liberamente decide in questa vita di diventare e poi di essere.
“Ve ne volete andare anche voi?”.
E’ ripetere come a Mosè dal roveto ardente ai piedi del Sinai: “Io sono Colui che sono. Io sono è il mio Nome sublimamente Santo. Nessuno potrà vedere in volto la gloria del mio Nome e restare in vita perchè Santità è il mio volto” (Es 33, 18 ss.) Gesù ripete: “Io sono la Via, la Verità, la Vita. Chi vuole mi segua”. Come dire che chi ci sta ci sta.
E’, questa, scena che si ripete nel mondo ancora oggi. Cristo è la sfida che si proprone a ogni uomo essendo Egli il Verbo, la Luce che splende nelle tenebre che si offre a ogni uomo che viene in questo mondo. Gesù che in questo mondo viene, ci ricorda che anche noi in qualche modo in questo mondo siamo venuti e non siamo quindi destinati a rimanere. Lui Luce viene per illuminare, noi per essere da Lui illuminati.
Forse la tribolazione che oggi ancor più tristemente affligge nel mondo le nostre coscienze sia provvidenzialmente ordinata a saggiare con il crivello della prova la nostra testimonianza, misurare la capacità di resistere alle sudizioni e minacce del Male e del maturare in noi inderogabile e netta la nostra scelta di Lui di amore.
La quale scelta scombina la naturale nostra umana ragione dimentichi noi che la mente è oltre, è altra, è più su della ragione: ed è la mente. E’ la mente di cui è emanazione e dà ad essa quindi fondamento e giustificazione.
E’ come se il Signore volesse forzare le fragili strutture della nostra navicella di limitata ragione e debole volontà e obbligarle a osare gli infinit orizzonti del cielo e gli spazi del mare aperto della divina Verità e dell’infinito Divino Amore. “Ove per poco il cor non si spaura e navigar è poi dolce in questo mare” (cfr Leopardi. l’Infinito).
Unica ragione infatti dell’amore non è l’incapace ragione della nostra piccola ragione. L’amore che ama come atto dell’intelligenza che conosce e ama ha se stesso come ragione incomprensibile alla ragione. Ragione dell’amore non è un discorso ma amore che crede perché ama e perché ama crede.
“Ve ne volete andare anche voi?”
L’amore che ama perché crede e crede perché ama è l’amore senza se e senza che supera gli imbarazzi della ragione: “Signore da chi andremo? Tu hai parole di vita eterna!”
Il turbinio dell’oggi è allora domanda di fede come abbandono di amore all’amore dell’Amore.