Pericolo radiazioni e smaltimento di scorie nucleari. Disseminate lungo Europa orientale, 16 obsolete centrali elettronucleari
Giuffrida Farina
Le centrali termoelettriche utilizzano, quali combustibili, carbone, petrolio, idrocarburi; sostanze che, bruciando, forniscono energia termica poi trasformata in energia elettrica. Le centrali termonucleari (o atomiche) utilizzano barre di combustibile Uranio 235, la cui fissione (“frantumazione” causata dall’impatto con essa di particelle neutroniche ossia prive di carica elettrica) produce calore che viene convertito in energia elettrica. Pensate che da 1 chilogrammo di Uranio 235, per fissione, viene ottenuta l’identica energia prodotta dalla combustione di circa 2 milioni di chilogrammi di carbone. Dal punto di vista economico, strategico (di interscambio di energia elettrica tra le nazioni), scientifico e tecnologico, la “gara” tra centrali elettronucleari e tutte le altre tipologie di centrali, non presenta alcuna storia: la competizione se la aggiudica, nettamente, l’energia nucleare. Purtroppo ogni acquisto implica una perdita.
Lo sfruttare l’energia nucleare è fonte di serissime, gravissime problematiche ambientali …e di potenziali rischi che possono alterare la nostra esistenza, correlati allo smaltimento di scorie radioattive di lunga durata, ed alle dispersioni di radiazioni dannose per l’uomo e per l’ambiente.
Parecchi e di varia natura sono i rifiuti scaturenti da cicli tecnologici e processi industriali in atto nella moderna società, ovviamente devono essere depositati e smaltiti in condizioni di sicurezza, affinché non disturbino e non alterino la salute ancor prima dell’equilibrio (definitivamente compromesso?) ecologico. Purtroppo, per alcuni di questi residui non è stata ancora trovata idonea soluzione: considerando lo sversamento in mare della plastica ed il conseguente ‘nutrimento’ d’essa da parte di branchi di pesci,pensate quale esteso ‘apporto energetico/plastico’ possa destare l’abituale consumo di pesci… Elemento particolarmente tossico, il mercurio; uno dei cui utilizzi è la formazione di leghe con altri metalli: assorbito dall’organismo, si rivela un veleno responsabile di gravissime alterazioni che possono condurre alla morte. Esiste una grossa forma di avvelenamento che si è verificata in Giappone, il ‘morbo di Minamata’, in seguito al consumo di pesce contaminato da mercurio scaricato in mare come residuo di lavorazioni industriali, dunque assorbito dai piccoli organismi, di cui si cibano i pesci destinati (altamente inquinati) alla nostra tavola. E che riferire del clima nel quale viviamo, carico di sostanze nocive e di prodotti di scarico dei veicoli a motore?
Inoltre, sicuramente risulterà sorprendente e desterà sconcerto il fatto che tra le mura domestiche il livello di inquinamento sia uguale, se non superiore, a quello caratterizzante le strade di maggior traffico dei centri urbani: i fattori insidiosi per la nostra salute sono rappresentati dall’aria troppo secca e da stanze surriscaldate; da detersivi, disinfettanti, insetticidi, polvere, radiazioni, vernici tossiche, mobili di formaldeide. Poi c’è il discorso ruotante intorno alla produzione annua di rifiuti nell’Unione Europea, coinvolgente: residui industriali (1.000 milioni di metri cubi dei quali tossici risultano essere 10 milioni di metri cubi); residui radioattivi, ammontanti a 80.000 metri cubi; chiude la classifica, la radioattività residua di elevata attività, 150 metri cubi. Problema grave, la loro comune tendenza all’aumento, con ovvi riflessi sull’inquinamento e sui contaminanti tossici. Aggiungiamo che il tempo necessario per la chiamiamola “completa disgregazione dei rifiuti radioattivi” può raggiungere la vetta dei miliardi di anni.Per quel che concerne i rifiuti derivanti dalla produzione di energia elettrica da impianti termoelettrici che bruciano combustibili fossili, a titolo d’esempio una centrale elettrica a carbone con una potenza di 1000 MW,in 30 anni di funzionamento,consuma all’incirca 75 milioni tonnellate di carbone e produce, oltre a milioni di tonnellate di rifiuti gassosi, 15 milioni di tonnellate di cenere (per rendere l’idea, pensate ad una gigantesca pietra, conformata a parallelepipedo, di ciottoli aventi 1 chilometro di base quadrata e 15 metri di altezza). In tale contesto occorre considerare l’impatto ambientale delle centrali nucleari, con l’associata delicatissima problematica indotta da rifiuti radioattivi e dallo stoccaggio di residui radioattivi (scorie radioattive).
Cosa rappresenta il (singolo) “periodo radioattivo”? Si tratta del tempo necessario affinché disintegri il 50% di radioattività degli atomi di un elemento; dopo due periodi ne resta il 25%, dopo tre periodi ne resta il 12,5%, e via procedendo. Si stima che la radioattività scompaia dopo dieci periodi; nel caso del Plutonio occorrono 24 mila anni, l’Uranio 234 richiede 245 mila anni, occorrono 710 milioni di anni all’Uranio 235, mentre all’Uranio 238 “sono sufficienti” 4,5 miliardi di anni! Il calcolo inerente alle scorie prodotte a livello mondiale dalle centrali elettronucleari e dagli impianti di arricchimento e ritrattamento del combustibile, esibisce circa 300 mila tonnellate/anno.
“Velenose realtà”: gli Stati Uniti producono, in media, circa 2.500 tonnellate di rifiuti nucleari ogni anno, in Francia 1.500 tonnellate. Il costo per la conservazione delle scorie è enorme, praticamente incalcolabile, poiché si tratta di confinare in modo sicuro materiale che rimarrà attivo e pericoloso per migliaia di anni e nessuno ha mai progettato sistemi “impenetrabili”. E’ stato costruito un sito, una cavità situata nel Nevada, per effettuare test nucleari, nei suoi tunnel dovrebbero essere conservati decine di migliaia di contenitori, ermeticamente sigillati in maniera da non rilasciare all’esterno le scorie provenienti dagli impianti elettronucleari e da quelli militari. I principali centri di stoccaggio in Europa si trovano a La Hague (Francia) e a Sellafield (Regno Unito), si tratta di impianti nei quali avviene un trattamento di scorie nucleari, allo scopo di produrre nuovo combustibile nucleare.
A Sellafield si trovano anche una parte delle scorie altamente radioattive prodotte fra il 1963 e il 1987 dalle 4 centrali nucleari italiane (Caorso, Trino Vercellese, Latina e Garigliano), la cui chiusura fu sancita dal referendum del 1987; quando si individuò Scanzano come sito di deposito nucleare, all’incirca 80/90mila tonnellate di materiale radioattivo dovevano confluire in Basilicata, non si verificò tale accadimento a causa della fortissima barriera di proteste ed innumerevoli manifestazioni. UN GRANDE GRIDO DI ALLARME. A scagliarlo, contro la rischiosa eredità nucleare lasciata dall’ ex impero sovietico, è Percy Barnevik, presidente di Asea Brown Boveri, gruppo mondiale specializzato nella produzione, trasmissione e distribuzione di energia elettrica.
<<Nell’ Europa dell’Est, dagli Urali all’ Elba, ci sono almeno 16 centrali elettronucleari -della prima generazione- che presentano le stesse potenzialità di rischio di Chernobyl. Andrebbero chiuse immediatamente>>. L’energia nucleare, oggi prodotta in oltre 430 centrali al mondo, stimola Cina, Russia e India: hanno programmato 96 nuovi reattori. Secondo i dati della World Nuclear Association, Stati Uniti, Francia e Giappone sono le potenze nucleari ora in carica, insieme detengono il 46% dei reattori mondiali.
Negli USA sono attivi 99 reattori, quasi un quarto di quelli presenti al mondo, mentre sono 58 in Francia e 43 nell’Impero del Sol Levante. Nel Sud mondiale, il nucleare è completamente assente (ad eccezione di 2 reattori, in Sudafrica e Brasile, e 3 in Argentina). Escludendo Francia e Inghilterra, l’UE non utilizza questa fonte energetica –come accade in Italia, Portogallo e Grecia– oppure dispone d’un numero di reattori nucleari inferiore alla decina. Una (Quasimodiana) “domanda aperta”: l’atomo è ancora una scelta vantaggiosa, attesi i costi di messa in sicurezza e smaltimento di scorie?
Alla precarietà del nostro stato esistenziale credo sia ben definita l’associabilità d’una immagine, quella di una pianta, l’agave. L’”Agave sullo scoglio” è un bellissimo componimento lirico di Eugenio Montale, incentrato su questa pianta disposta sugli scogli alla stregua d’una foglia che sembra non volersi distaccare dai suoi rami. Il poeta paragona sé (ma in realtà siamo tutti coinvolti) al vegetale che immette tutte le proprie energie per difendersi dalle intemperie e sfuggire alla furia del vento, della pioggia, del continuo impatto di onde violente, al fluire di tutti gli agenti che impetuosi tentano di farla precipitare nel baratro sepolcrale degli abissi marini.