Sassano: Silla “Cura dell’uomo e dell’ambiente da rispettare”
Roberto De Luca
Questo è un pezzo scritto a più riprese, ad iniziare dal 12 ottobre, quando si è appresa la notizia che un asilo, prossimo all’inaugurazione, era stato nottetempo vandalizzato in modo a dir poco esecrabile. In quell’insano blitz sono stati asportati oggetti di poco valore, mentre le attrezzature destinate ai bambini sono state cosparse di urina.
Certamente è un nostro diritto provare ripulsa e indignazione, anche a distanza di tempo, per quanto accaduto. Tuttavia, è nostro dovere cercare di porre un argine alla deriva sociale di cui questo episodio è segno tangibile. Infatti, lo sfregio operato ai danni di un’istituzione, la scuola, e di una classe sociale fragile, i bambini, deve farci riflettere sui nostri doveri di uomini e di cittadini. Bisogna così necessariamente soffermarsi a comprendere questi fenomeni e questi tempi, non tanto per individuare questa o quella causa (cosa che, peraltro, non sarei in grado di fare), ma per cercare di trovare una via di uscita da un labirinto in cui le nostre zone interne sembrano essersi inoltrate senza una mappa certa.
Esiste una traccia da seguire per individuare un’uscita che porti a un futuro di prosperità per l’intero comprensorio? Se esiste, non può che essere questa: la cura dell’uomo e dell’ambiente.
Per cura dell’uomo non s’intendono solo i servizi offerti della sanità pubblica e privata. L’uomo è certamente un essere biologico complesso che necessita di cure mediche e di assistenza sanitaria in generale, è vero. Tuttavia, l’uomo è anche un essere pensante e, come tale, ha bisogno di un contesto (un ambiente, quindi) dove poter tendere a quel diritto, esplicitamente sancito dalla dichiarazione di indipendenza degli Stati Uniti d’America e implicitamente contenuto nella nostra Costituzione: il diritto alla ricerca della felicità collettiva e individuale. Non giova scambiare l’ordine degli ultimi due aggettivi, poiché non potrebbe esistere una vera felicità individuale in un contesto sociale degradato.
E qui vengo a un ennesimo appello, sperando che questa volta non cada nel vuoto. L’appello è rivolto a quanti operano nel campo della cultura e del sociale, a quanti intraprendono in campo economico, ai lavoratori che, usando il loro ingegno e le loro abilità, migliorano il presente e preparano il futuro. E questo non è un appello vuoto, ma è affiancato da molti (forse troppi) anni di impegno sociale, di lotte a volte ignorate o derise, di cocenti delusioni e di continue, forzate riprese delle attività. Ma prima di formulare un invito a non demordere nell’immaginare nuovi paradigmi che possano permettere anche alle nostre zone interne di camminare nel solco della ricerca della felicità, è doveroso rivolgere un pensiero a quanti, in questi mesi difficili, hanno dovuto rallentare i propri ritmi lavorativi e a quanti hanno addirittura conosciuto una brusca drammatica frenata delle loro attività. A questo pensiero è associato un auspicio, ossia, che la solidarietà espressa dal governo possa concretamente arrivare ad alleviare lo stato di bisogno di tutte le famiglie oggi in difficoltà.
Adesso è tempo di riflettere e immaginare possibili vie d’uscita dal labirinto; è il tempo di camminare insieme per strade mai percorse prima, perché quelle già note non hanno portato che a luoghi desolati. È il tempo di abbandonare gli egoismi e le altere pretese di supremazia, è il tempo della riscoperta e della valorizzazione dell’altro e non più della denigrazione del prossimo e della derisione delle buone idee dallo stesso propalate. Ma è anche il tempo di chiamare le idiozie con il loro nome e di catalogare come tali le idee strambe che nulla hanno a che vedere con la conoscenza scientifica. Ed è anche il tempo di mettere al bando le critiche infondate, le polemiche sterili, la ricerca della lite per mera voglia di conflitto. A chiunque, sui social o sulla stampa, volesse mettere a dura prova la nostra sopportazione, bisognerà dire con fermezza che i tempi sono cambiati e che adesso non si può più ululare alla luna la notte per poi non alzarsi, di buon mattino, per operare concretamente il giorno successivo. A questi operatori dell’odio perpetuo diremo che è tempo di mettersi alla prova, di scendere nell’agone e di sporcarsi le mani, non fosse altro che per comprendere quanto sia complicato tenere in piedi – oggi soprattutto – una seppur piccola organizzazione.
L’appello a tutti i membri delle classi sociali attive è dunque quello di non cercare di sostituire una classe dirigente logora e priva di idee con un’altra altrettanto inefficace, ancorché rinnovata nelle persone. Ciò che bisogna cambiare, da subito, sono i principi sui quali si fonda l’azione socio-politica: non più difesa di interessi spiccioli, ma concreta progettazione del futuro prossimo nell’interesse di tutti. Stringere un nuovo patto sociale con la provincia di Salerno e la Regione Campania per preservare e valorizzare le risorse ambientali locali: fiumi, patrimonio arboreo e suolo. Queste indiscusse ricchezze possono portare un nuovo impulso all’economia locale, se ben utilizzate. In un prossimo intervento si potrà affrontare questo argomento nei dettagli. Inoltre, nel patto con questi Enti deve essere previsto una solidarietà territoriale concreta, per la quale gli interventi strutturali legati ai trasporti e ai servizi sanitari saranno prioritariamente a favore delle zone interne, senza necessariamente privilegiare le zone a più alta densità abitativa. Questa inversione di tendenza è necessaria per frenare l’emorragia di giovani menti, così da mettere fine al fenomeno dello spopolamento progressivo. In caso contrario, un abbandonologo[1] avrà molto lavoro da fare, dovendo scrivere un tomo per ogni centro storico del nostro comprensorio.
Infine, vorrei ricordare ai tanti operatori culturali del Vallo di Diano, che la loro voce in seno ai consessi decisionali non può non essere ascoltata: l’uomo ha bisogno di poesia, canti, musica, teatro. E i piccoli uomini devono essere cresciuti in ambienti dove regna la bellezza e dove si respira un’aria tersa, certamente diversa da quella malsana che lo spirito dei tempi che adesso viviamo ci costringe a inalare. Sarà anche compito degli operatori della cultura farsi ascoltare, perché il silenzio – alla lunga – sarà solo interpretato come mera connivenza nei confronti delle idiozie circolanti o dei luridi affari (di cui la cronaca è purtroppo testimone) a danno del futuro dei cittadini e dei luoghi in cui questi affari si portano a compimento.
[1] Neologismo. Chi perlustra il territorio alla ricerca di borghi abbandonati, edifici pubblici e privati in rovina, strutture e attività dismesse (luna park, orti, giardini, stazioni, ecc.), di cui documentare l’esistenza e studiare la storia. (https://www.treccani.it/)