Evagrio Pontico e gli Angeli
don Marcello Stanzione
Evagrio Pontico, dipendente spiritualmente da san Pacomio, nacque nell’anno 346 a Ponto. Fu ordinato diacono dal santo Vescovo Gregorio di Nazianzeno (329/330–ca. 390). Essendo predicatore a Costantinopoli ha avuto una ricca risonanza positiva. In vista della propria salute eterna egli nel 382 ha lasciato Costantinopoli al fine di poter vivere tra i monaci della regione nitrica diventato così allievo spirituale e amico di Macario Egizio (ca. 300–390). Conoscendo le tentazioni del diavolo egli preparò una miscellanea di sentenze prese dall’Antico e Nuovo Testamento contro gli attacchi demoniaci. Così ha elaborato otto libri con spunti atti a rispondere alle tentazioni del diavolo, in corrispondenza con gli otto vizi gravi. Perché la vita spirituale, perfino nel deserto come luogo della tentazione, è da interpretarsi come una battaglia contro i demoni, una battaglia fra il cielo e la terra, fra gli angeli e i demoni, fra la grazia ricevuta e il potere del maligno. Tali monografie hanno avuto una grande risonanza rispetto alla storia della pietà. Evagrio Pontico affermava: “Il monaco arriva ad essere uguale agli angeli in virtù della vera preghiera”. Gli angeli si presentano a noi quali modelli contemplativi, e l’imitazione degli angeli è la costante e santa ambizione delle anime desiderose della luce di Dio. Gli spiriti celesti, secondo Origene, si alimentano con la divina sapienza, perché è questa contemplazione che dà loro la forza necessaria per portare a termine le opere che gli sono peculiari; per questo si dice che gli uomini di Dio, volti alla contemplazione, sono commensali degli angeli; tale è il significato di quello del salmista: “L’uomo mangiò il pane degli angeli”. L’orazione contemplativa eleva l’uomo fino al grado d’onore proprio degli angeli. Ed è senza dubbio il desiderio di uguagliarli con la contemplazione, la ragione decisiva per cui Evagrio Pontico ha fissato in tal modo la sua attenzione sul mondo angelico, poiché l’angelologia è, di fatto, la chiave del sistema del filosofo del deserto. Gli spiriti celesti sono, per Evagrio, intelligenze pure, piene di “gnosi veritiera”; possiedono la “prima contemplazione spirituale”, questa è la contemplazione di Dio; la sua gnosi porta i nomi di Gerusalemme celestiale o Sion, tutti e due simboli della visione beatifica; la “prima contemplazione” o contemplazione della Santissima Trinità, costituisce il più prezioso di tutti i suoi beni. Come dunque gli spiriti celesti non saranno i modelli dei contemplativi che vivono anche in questo mondo?
La stessa immagine del Padre, che gli angeli vedono di continuo senza saziarsi mai, è la conclusione eccelsa della più alta aspirazione del cristiano, che si sforza e desidera ardentemente raggiungere la vera contemplazione soprannaturale: “Aspirando a vedere il volto del Padre che è nei cieli” – scrive Evagrio – “non desidera per nulla al mondo vedere alcuna forma o figura durante la preghiera”. Per questo, Evagrio non esita a dare all’uomo che arriva felicemente ad ottenere lo “stato di preghiera”, il nome di ίσαγγελος, che deve intendersi alla lettera – non solo nel senso di “simile agli angeli”, ma proprio “uguale agli angeli”.
La contemplazione rappresenta, allo stesso tempo, l’imitazione dell’attività più nobile degli spiriti celesti e una restaurazione della beata condizione dell’uomo nel Paradiso terrestre.