San Domenico e gli Angeli della provvidenza alimentare
don Marcello Stanzione
San Domenico (1170-1221), che fu il fondatore dei Frati Predicatori, la cui missione è allo stesso tempo di diffondere il ministero della predicazione e di esercitare un apostolato intellettuale, aveva una particolare intimità con il suo angelo custode. Prima di fondare il nuovo ordine religioso, Domenico era un canonico regolare agostiniano nella cattedrale di Osma, una delle più antiche sedi vescovili della Spagna. Fin da giovane studente manifestò un grande amore per i poveri tanto che durante una carestia fondò un ospizio per i bisognosi e per aiutarli vendette persino i suoi libri. Il momento di svolta della sua vita si verificò quando il suo superiore, il vescovo di Osma, Diego di Azevedo, fu incaricato di una missione papale contro le dottrine eretiche degli albigesi. Per affrontare le eresie, egli portò con sé Domenico che subito si rese conto dei gravi pericoli che stava correndo la Chiesa della sua epoca. Domenico iniziò subito pubbliche discussioni con gli eretici e le sue parole furono così efficaci che riuscì persino ad aprire a Prouille un convento per accogliere le monache convertite dall’eresia albigese. In questo fatto Domenico intravide il suo futuro ordine dei Frati Predicatori che dovevano riportare alla sana fede cattolica chi si era smarrito. Tolosa fu la prima sede dei suoi frati che avevano l’impegno della predicazione per difendere la fede cattolica dalle eresie, di una vita povera, dello studio e della preghiera. La leggenda narra che il papa approvò il nuovo ordine perché vide in sogno Domenico reggere sulle proprie spalle la chiesa del Laterano che stava per crollare. Le comunità dell’ordine in breve tempo si moltiplicarono ed i domenicani divennero insegnanti assai stimati nelle più prestigiose università europee come Parigi ed Oxford. Lo stesso Domenico fondò varie comunità tra le quali quella di Bologna dove morì il 6 agosto 1221. Egli, da vero mistico, era un uomo di poche parole ed indicò nel silenzio uno dei segni distintivi dei suoi frati ai quali affidò il programma: “parlare con Dio e parlare di Dio”. Ai suoi seguaci chiedeva di applicarsi nello studio delle Sacre Scritture dando loro l’esempio portando sempre con sé il Vangelo e le Lettere di san Paolo che arrivò a conoscere quasi a memoria. Rifiutò la nomina vescovile in più di un’occasione. Un episodio, noto come “il pranzo degli angeli” o “il miracolo dei pani”, che è narrato da suor Cecilia Romana nel suo libro “I miracoli del beato Domenico”, che da giovanissima lo conobbe nella sua città. Un giorno, racconta suor Cecilia, quando ancora i suoi frati abitavano vicino alla chiesa di San Sisto nei pressi di Roma, chiesa che in seguito passerà alle monache domenicane, ed erano circa un centinaio, san Domenico incaricò fra Giovanni di Calabria e fra Alberto di Roma di andare in città per la questua. Essi obbedirono ed andarono, ma senza alcun risultato positivo, dal primo mattino fino a tardo pomeriggio. Tornando in convento, quand’erano già vicini alla chiesa di sant’Anastasia incontrarono un uomo che chiese loro l’elemosina in maniera assai insistente. I due frati si scusarono affermando che non avevano nulla da dargli, ma il mendicante, tutto vestito di bianco, ancora insisteva. Allora si dissero l’un l’altro: “Che cosa possiamo fare con un solo pane? Diamolo a quest’uomo per amore di Dio”. Avuto il pane, il mendicante sparì. Quando rientrarono in convento san Domenico si fece loro incontro chiedendo se avessero portato qualcosa da mangiare per tanti frati. Allora essi gli raccontarono dello strano incontro con il mendicante. Domenico dopo averli ascoltati esclamò: “Quell’uomo era un angelo di Dio; Il Signore provvederà. Andiamo a pregare”. Il santo diede ordine di far andare a refettorio i numerosi frati per la cena, sicuro che il Signore avrebbe provveduto alle loro necessità. Allora furono imbandite le mense, sistemate le ciotole e, a un dato segnale, tutta la comunità entrò nel refettorio. San Domenico diede la benedizione e quando ogni frate era seduto al proprio posto, fra Enrico da Roma iniziò il servizio della lettura durante i pasti. Mentre Domenico stava pregando con le mani giunte sul tavolo, ecco che, scrive suor Cecilia Romana: “Come aveva promesso ai fratelli, apparvero all’improvviso in mezzo al refettorio, inviati dalla Divina Provvidenza, due giovani bellissimi, carichi ciascuno, davanti e dietro, di due bianche tovaglie piene di pane. Cominciando a servire dagli inferiori, uno dal lato destro e l’altro da quello sinistro, diedero a ciascun frate un pane intero di mirabile bellezza. Quando poi giunsero al beato Domenico, ed ebbero dato anche a lui un pane intero, fattagli la reverenza col capo, scomparvero all’improvviso, e dove andassero e da dove fossero venuti, fino ad oggi nessuno lo sa”.
Il santo disse allora ai suoi religiosi: “Fratelli miei, mangiate il pane che il Signore vi ha inviato”. Quindi chiese ai conversi di portare un po’ di vino, ma essi replicarono: “Padre, non ne abbiamo”. Allora disse loro: “Andate a prendere il recipiente e servite il vino che il Signore vi ha inviato”. Essi così fecero e, trovato veramente il recipiente colmo sino al bordo di eccellente vino, si affrettarono a servirlo. E Domenico disse: “Bevete, miei fratelli, il vino che il signore ha inviato per voi”. Essi mangiarono e bevvero quanto vollero, sia quel giorno sia il seguente e l’altro ancora. Il terzo giorno, dopo aver preso il cibo, il santo chiese loro di dare ai poveri il pane e il vino che rimanevano, e di non permettere che se ne serbasse ancora in casa. Durante quei tre giorni nessuno dei frati uscì alla ricerca di elemosina, perché Dio aveva inviato loro pane e vino in abbondanza. Il filosofo Giancarlo Roggero commenta così questo episodio della vita di san Domenico: “Il motivo di un approvvigionamento miracoloso o di una moltiplicazione dei pani è abbastanza frequente nell’agiografia: lo troviamo ad esempio in san Benedetto e in santa Chiara; meno frequente è quello del pane dispensato dagli angeli. L’angelo è una creatura celeste, il pane è un frutto della terra. L’angelo che dispensa il pane è figura di un accordo tra i principi formativi del cielo e le forze nutritive della terra, del quale è prototipo l’eucaristia. Questa non solo nutre, nelle sue componenti sostanziali più recondite, la corporeità dell’uomo, ma ne illustra altresì la mente di una luce soffusa, nella quale i pensieri trovano ordinata quiete. A ciò allude velatamente una meravigliosa preghiera di Tommaso d’Aquino, composta come antifona al Magnificat per i vespri della festa del Corpus Domini, e il cui uso sarà esteso dai domenicani anche ad altri momenti dell’ufficio liturgico: O sacro convivio in cui ci nutriamo di Cristo, si rinnova la memoria della sua Passione, la mente è colmata di grazia e il pegno ci è dato della gloria futura. Una conoscenza –continua Roggero- nella quale la mente riposi come nella luce immutabile della verità è detta “pane della sapienza”. La scuola domenicana mira ad educare la mente ad un tipo di conoscenze di tal genere, che per la loro natura armonizzino con le sorgenti primordiali della vita. La missione dei domenicani non riguarda il mero sapere. E’ un equivoco vedere in essi solamente ingegni acuti di grandi dottori. La loro missione consiste nel guidare anime umane a percepire il nesso tra il pane eucaristico che nutre in profondità la vita della grazia, e il pane di sapienza che la illumina alle coscienze”.
Comunque anche in seguito gli angeli apparvero ancora ogni volta che i frati si trovavano nel bisogno con abbondante cibo. In un’altra occasione, San Domenico dovette andare dal convento di San Sisto al convento di Santa Sabina. I frati cercarono di trattenerlo dicendogli: “Padre, è troppo tardi e non è conveniente per te viaggiare adesso”. Egli però si rifiutò di rimanere, come gli veniva consigliato ed esclamò: “Il Signore vuole che io parta; manderà un angelo ad accompagnarmi”. Poi prese con sé i suoi compagni fra Tangredi e fra Oddo e si avviò con loro. Arrivati alla porta della chiesa, pronti per la partenza, ecco che si presentò un giovane, recando in mano un bastone, pronto ad intraprendere il viaggio. Domenico fece andare avanti i suoi compagni, preceduti dal giovane, rimanendo in ultimo. Quando arrivarono alla porta della chiesa di Santa Sabina, la trovarono chiusa.
Il giovane si appoggiò contro la porta della chiesa e questa si aprì immediatamente; egli entrò per primo, seguito dai frati e, dopo di loro entrò anche san Domenico. Il giovane uscì e la porta si richiuse. Quando fra Tangredi gli chiese: “Padre, chi era il giovane che ci ha accompagnato?” rispose: “Figlio mio, era un angelo che Dio aveva mandato per proteggerci”.