Sant’Antonio Abate: animali, falò e “bottari”     

Sant’Antonio Abate: animali, falò e “bottari”     

Maria Amendola

La Chiesa cattolica, secondo il calendario gregoriano, il 17 gennaio ricorda Sant’Antonio Abate (251-356 d.C. circa). In molti comuni italiani si celebrano sia i riti religiosi che i festeggiamenti civili. Il Santo eremita egiziano è considerato il primo abate nonché l’iniziatore del monachesimo cristiano, pur non essendo lui il primo monaco, è considerato il “padre dei monaci”, per via dei suoi innumerevoli discepoli. Il Santo è il protettore dei contadini, dei campi, dei macellai, dei salumai, dei canestrai ed in particolare degli animali domestici, che in questo giorno vengono benedetti nei sagrati delle chiese, e secondo una antica tradizione in questa notte a loro è concesso l’uso della parola. L’iconografia del Santo è diffusissima in codici miniati antichi, sulle vetrate, attraverso le statue e negli affreschi. Una delle più antiche immagini di Sant’Antonio è un frammento di affresco del VIII secolo. I suoi attributi iconografici sono: il bastone da eremita e la croce a T (tau), la campanella, il libro, il fuoco, il demonio e il maiale ai suoi piedi. Egli è invocato da secoli per la sua fama di guaritore contro la peste, contro le intossicazioni alimentari come l’ergotismo e contro il “male degli ardenti”, comunemente chiamato “fuoco di Sant’Antonio”, ovvero l’infezione del virus dell’herpes di zoster che colpisce gli adulti, provocando esantemi cutanei, bruciori e prurito. Questo virus è lo stesso che causa la varicella. Secondo una credenza popolare il “fuoco di Sant’ Antonio” non viene contratto da chi porta il nome del Santo, in realtà non colpisce chi ha avuto la varicella, in quanto è dotato di anticorpi.  Anticamente questo male era curato con il grasso di maiale ed erbe mediche. Una delle tradizioni più antiche, più radicate e più sentite in Italia in onore del Santo è quella del falò, che ha origini celtiche. I campi, grazie alla pulizia dalla vegetazione in eccesso venivano “purificati”, “illuminati” e fertilizzati grazie ai resti di cenere del falò, propiziando così ricchi raccolti. Anche Italo Calvino in “Fiabe italiane” narra le gesta di Sant’Antonio e del fedele maialino, e di come essi siano entrati nell’inferno con l’intento di portar via un po’ di fuoco al fine di donarlo agli uomini infreddoliti. A Macerata Campagna e nei paesi limitrofi della Provincia di Caserta ancora oggi si rinnova un’antica tradizione che risale al 1300 che nasce con la raccolta della canapa, ovvero quella di “suonare” o meglio percuotere le botti, i tini e le falci per propiziare la “fertilità” dei campi affinché diano abbondanti raccolti ed è un suono potente che si propaga per alcuni chilometri a linea d’aria. Inoltre è un rituale usato anche per scacciare il male nelle cantine buie. Il “bottaro” è colui che suona uno di questi “strumenti”, mentre più “bottari” che suonano insieme vengono chiamati “battuglia”. Il 17 gennaio giorno di Sant’Antonio Abate avviene la tradizionale sfilata delle “Battuglie di Pastellessa” che sono i “Carri di Sant’Antuono (Antonio Abate), su cui prendono posti i “bottari” con le botti, i tini e le falci che creano il tipico suono chiamato “Pastellessa”. In questa occasione si preparala pasta con le castagne lesse chiamata “Past’èlless”. Il sacro e il profano, quindi, si sposano in questa occasione. Ogni anno la ricorrenza dà inizio al periodo del Carnevale. La figura dei “bottari” è divenuta famosa in tutto il mondo e uno degli esponenti più famosi sono Enzo Avitabile e il suo gruppo “I Bottari di Portico”. Per salvaguardare questa tradizione nel 2017 è stato avviato l’iter per la candidatura all’UNESCO per la patrimonializzazione e la salvaguardia, per poterla inserire quindi nell’elenco dei beni del Patrimonio Culturale Immateriale.