La Voce e la Vita della Chiesa: “Sulla barca di Pietro”
Diac. Francesco Giglio
Inesorabilmente il tempo scorre veloce e senza avvedercene siamo giunti alla quinta domenica del Tempo Ordinario. Il momento che stiamo vivendo, sia civilmente che spiritualmente, ci invita a fermarci, ascoltare e riflettere. Le varie difficoltà che stiamo affrontando richiedono una presa di coscienza e una profonda analisi. Siamo chiamati a rivisitare, aggiornare e modificare i nostri comportamenti in vista di un nuovo e differente stile di vita. L’evangelista Luca in questa domenica ci invita a prendere il largo e ad andare con il Maestro per “ascoltarlo” e “fidarci della sua Parola”.
“In quel tempo, mentre la folla gli faceva ressa attorno per ascoltare la parola di Dio, Gesù, stando presso il lago di Gennèsaret, vide due barche accostate alla sponda. I pescatori erano scesi e lavavano le reti. Salì in una barca, che era di Simone, e lo pregò di scostarsi un poco da terra. Sedette e insegnava alle folle dalla barca. Quando ebbe finito di parlare, disse a Simone: «Prendi il largo e gettate le vostre reti per la pesca». Simone rispose: «Maestro, abbiamo faticato tutta la notte e non abbiamo preso nulla; ma sulla tua parola getterò le reti». Fecero così e presero una quantità enorme di pesci e le loro reti quasi si rompevano. Allora fecero cenno ai compagni dell’altra barca, che venissero ad aiutarli. Essi vennero e riempirono tutte e due le barche fino a farle quasi affondare. Nel vedere questo, Simon Pietro si gettò alle ginocchia di Gesù, dicendo: «Signore, allontanati da me, perché sono un peccatore». Lo stupore , infatti aveva invaso lui e tutti quelli che erano con lui, per la pesca che avevano fatto; così pure Giacomo e Giovanni, figli di Zebedèo, che erano soci di Simone. Gesù disse a Simone: «Non temere; d’ora in poi sarai pescatore di uomini». E, tirate le barche a terra, lasciarono tutto e lo seguirono” (cfr. Lc 5,1-11).
Questo brano evangelico carico anche di tante sensazioni, emozioni e anche delusioni per la scarsa pesca, improvvisamente si trasforma in accettazione e riconoscimento delle proprie debolezze, delle grandi esitazioni, della mancanza di speranza e di fiducia nella “potenza della Parola ”. Spesso ci viene chiesto di prendere coscienza dei nostri limiti e quindi anche delle nostre carenze ed allora ci affidiamo a chi può, più e meglio di noi, leggere e interpretare i segni dei tempi. Con profondo spirito di umiltà mi piace sottoporre all’ attenzione dei nostri lettori quanto scrive a tal proposito Padre Luca Garbinetto (religioso della Congregazione “Pia Società San Gaetano”).
“Il Maestro salì sulla barca. Era la barca di Simone, ormeggiata lì, sulla riva, come tante esperienze della vita, del passato, della storia personale di ciascuno: ci navighiamo sopra, ne rimaniamo colpiti, spesso delusi, e allora le appoggiamo in disparte. Chissà se Simone e i suoi avevano ancora voglia di salire su quella barca, che era costata tanto cara, che era necessaria per guadagnare il pane (o meglio, il pesce) per sfamare le proprie famiglie, ma che ora sembrava il simbolo più chiaro del fallimento: vuota! Era tornata vuota! Quante volte la nostra vita ci sembra vuota, fallita, senza senso.
Il Maestro salì proprio su quella barca. Una semplice barca di pescatori, di gente umile abituata al sudore. Una barca che poteva sfidare solo le onde del lago e le bufere della Palestina, ma non avrebbe mai osato sognare rotte di mare aperto o esplorazioni lontane. La barca che Gesù sceglie è fatta di ordinarietà, di lavoro nascosto, persino notturno. Se scoppia la tempesta, questa barca si riempie di acqua, fa tremare di paura. Non è un transatlantico. Forse per questo, però, è anche più agile, snella. La barca dei pescatori di Cafarnao racchiude in sé i volti e le fatiche di un intero popolo di gente abituata a essere seconda, sottomessa, ma anche combattiva e creativa, agile nell’affrontare le onde alte e i venti contrari dell’esistenza.
Il Maestro si fidò di questa barca. La rese un pulpito di autorità, di poco scostata dalla riva, perché potessero prendere coscienza, lei e chi aveva di fronte, che il suo passeggero improvvisato non era uno qualunque. Rese la barca luogo di incontro, controcorrente, perché Gesù sfida la sconfitta dei pescatori e spinge al largo della novità, della sorpresa, dell’inverosimile. Il Maestro fece della barca la testimone del prodigio. Ed anche l’alleata, perché fu lei a caricarsi il peso della pesca sovrabbondante, le conseguenze della fiducia degli apostoli, i segni tangibili della fedeltà provvidente di Dio. Chissà se anche noi sapremo cogliere il desiderio sfrenato del Maestro di salire sulla barca della nostra vita, anche all’alba, dopo una notte di disastri e di delusioni, e lasceremo che la sua Parola guidi il timone del nostro navigare. Chissà se invece faremo gli schizzinosi, pretendendo di avere una nave da crociera o una portaerei da offrire al Signore, pensando che Colui che fece le acque e i mari possa scandalizzarsi di trovare accoglienza in un piccolo guscio di noce. Il Maestro preferisce le barche piccole che sappiano abitare i bacini della ferialità, muovendosi però in gruppo, in comunità, in comunione. Le barche piccole hanno per natura bisogno di aiuto, e possono a loro volta darlo senza rischiare di affondare le imbarcazioni vicine. Al Maestro piacciono queste vite donate senza strepito né vanto, ma con premuroso e instancabile affidamento. Se lui sta al timone, ci insegna a remare nella direzione giusta, a rischiare nei tratti opportuni, a sognare non solo scrutando le stelle e i fondali, ma anche godendoci il sole. Perché a volte abbiamo più paura della gioia che del dolore. La gioia è sempre condivisa, esige di perdersi e spandersi per moltiplicarsi. Chi sa gioire, impara a non lasciarsi divorare dal dolore che chiude e isola.
La barca di Simone si sentì onorata di fare da culla alla potente Parola del Maestro. Ma sapeva bene che non era lei al centro dell’attenzione di Gesù. Sapeva bene, la barca, che a un certo punto, grazie alla propria generosa spensieratezza, il suo padrone avrebbe capito, e magari cominciato a mettere in pratica il segreto delle pesche miracolose. Si trattò allora, e si tratta tutt’oggi, di non legarsi alla propria barca, alla propria vita, come a una favola già scritta o a un sogno frantumato, che diventano idoli senza speranza. La barca è uno strumento, la vita è una rotta. Alla fine, ciò che conta, è incontrare il Maestro e Signore, e seguirlo, dovunque Egli vada. A costo di abbandonare la barca sulla riva, perché ormai il suo servizio lo ha fatto. Perdere la vita, per ritrovarla: questo è il segreto. Non su venti di rivalsa, però, ma spinti dalla potente e tenerissima brezza dello Spirito che ama. Chi perde la propria vita, diventa dono perché altri incontrino la Vita. Questa è la missione della barca. Così si diventa pescatori di uomini”.
Finisce qui la riflessione di P. Luca e, senza nulla togliere alla potenza della “Parola del Signore”, credo sia importante ribadire che la “barca di Pietro” per noi credenti è “la Chiesa”, voluta da Gesù e fondata “sulla sua Parola, sulla sua Resurrezione e sulla fede degli Apostoli”. Quindi anche a noi spetta il compito di salire su di essa e, insieme al nostro Maestro, prendere il largo e sulla Sua parola gettare le reti per divenire “pescatori di uomini”. Il Signore, nell’oggi della storia della salvezza, continua a chiamarci e ci sollecita a “camminare” insieme a Lui sulle strade del mondo, per divenire profeti di “speranza”. Egli ci esorta ad essere “seminatori di pace, difensori della vita e costruttori della civiltà dell’amore”.