Oltre i confini dell’ Unione Europea
Mentre nell’ultimo anno della politica di Donald Trump ha introdotto un’inedita tensione tra gli Stati Uniti e l’ordine internazionale da loro stessi creato alla fine della Seconda guerra mondiale, la crescita della Cina e la rinnovata assertività della Russia sembrano preludere a una nuova fase del riflusso dell’impatto occidentale sul resto del Mondo. Si moltiplicano, in sintesi, i segnali di scomposizione dell’ordine mondiale, con conseguenze sempre più profonde sulla convivenza internazionale, sulle organizzazioni internazionali e persino dell’assetto istituzionale dei singoli stati.
Tra alti e bassi, però l’integrazione europea è riuscita a garantire una generale stabilità nelle relazioni tra i 28 paesi membri.
Oltre i confini dell’Unione europea (UE), però, la situazione rimane più complessa: a est , lo spazio post sovietico è ancora interessato da conflitti armati o congelati; a sud, i Paesi del Nord Africa e del Medio Oriente risentono dell’instabilità seguita alle Primavere arabe del 2011, dei conflitti ancora in atto – dalla Libia, alla Siria, allo Yemen – nonché delle tensioni tra i diversi attori regionali e della crisi migratoria .
Di fronte a tale scenario, l’UE ha elaborato politiche che potessero fronteggiare le sfide ai suoi confini. Ma con quale successo?
La stabilizzazione dei confini è diventata una questione cruciale per l’UE soprattutto dopo la caduta del muro di Berlino e la fine dell’ordine internazionale bipolare.
Alla necessità di ridefinire la geopolitica del continente europeo dopo il crollo dell’Unione Sovietica e di promuovere stabilità, democrazia e sviluppo economico nei Paesi dell’Europa centro-orientale l’UE ha risposto con la politica di allargamento.
L’ingresso di dieci nuovi stati membri nel 2004 ha esteso l’area di pace e prosperità sul continente europeo, ma allo stesso tempo ha spostato i confini dell’UE a est, verso nuove aree di instabilità.
Da qui l’esigenza di Bruxelles di definire una politica per il proprio vicinato che includesse tanto i Paesi della sponda sud del Mediterraneo, inseriti già a partire dal 1995 nel Partenariato euro-mediterraneo (Algeria, Egitto, Israele, Giordania, Libano, Libia, Marocco, Palestina, Siria e Tunisia) quanto i nuovi vicini orientali (Bielorussia, Moldavia e Ucraina) e il Caucaso del sud (Armenia, Azerbaigian, Georgia), dovendo così gestire il complesso rapporto con la Russia.
La Politica europea di vicinato (PEV) nasce dunque nel 2003 con l’obiettivo di rafforzare la stabilità della cerchia di Paesi che circondano l’UE, favorendo lo sviluppo economico, la democratizzazione e il rispetto dei diritti umani. L’idea fondamentale dietro all’azione della PEV era quella di creare un “anello di amici”, in cui anche i Paesi senza prospettiva di adesione avrebbero potuto ridurre il divario socioeconomico con gli Stati membri.
Ai vicini la PEV non offre infatti la membership, ma un potenziale maggiore accesso al mercato europeo attraverso un processo di graduale avvicinamento all’UE modulato sulla base della volontà e della capacità di adeguamento dei singoli Paesi agli standard europei.
Facendo leva sull’attrattività del mercato unico e della qualità della vita dei propri cittadini, l’UE intende proporre il proprio modello di democrazia ed economia di mercato per favorire un processo di trasformazione dei Paesi del vicinato.
Soft power , dunque, anche attraverso incentivi economici: tra il 2007 e il 2013, l’UE ha destinato ai Paesi del vicinato più di 11 miliardi di euro , 8 verso i Paesi dell’area MENA e 3 sul vicinato orientale.
La dotazione economica della PEV per il primo settennato, attraverso lo Strumento europeo di vicinato e partenariato (ENPI), è stata poi accresciuta nel 2014, quando il nuovo bilancio dell’Unione ha aumentato i fondi a disposizione della PEV a 15,4 miliardi fino al 2020.
Le spese per la politica di vicinato si inseriscono nella cornice degli aiuti europei allo sviluppo, che tra il 2007 e il 2019 hanno destinato ai Paesi in via di sviluppo più di 230 miliardi di euro . Con un simile volume di spesa, l’Ue rimane al primo posto a livello globale per aiuti alla crescita.
Ellera Ferrante di Ruffana