Malthusianesimo e tassi di natalità
Bianca Fasano
É da un po’ che si ricomincia a parlare del “malthusianesimo”, ossia di quella dottrina economica che si rifà alle tesi di Malthus e si concentra sul rapporto esistente tra popolazione e risorse naturali disponibili sul nostro pianeta.
L’economista inglese aveva le sue ragioni nel momento in cui accusava il progressivo aumento della popolazione come effetto nefasto rispetto alle risorse disponibili che, non essendo illimitate, sono destinate ad esaurirsi.
Secondo lui la crescita demografica eccessiva porterebbe alla povertà e alla fame nel mondo con esiti catastrofici.
Il problema sembrerebbe cadere giacché, tenendo fede ad uno studio pubblicato sulla prestigiosa rivista «The Lancet», ad eccezione dell’Africa, i tassi di fertilità sono diminuiti significativamente in tutto il mondo.
Riferendoci al 1950, le donne avevano una media di 4,7 bambini (io vengo da una famiglia di cinque figli). Purtroppo però, da allora, il tasso di fertilità si è quasi dimezzato e ora si attesta su 2,4 bambini per donna.
Di quali nazioni parliamo?
Vi sono, difatti, enormi differenze tra le nazioni.
Il tasso di fertilità in Niger è di 7,1 figli per donna che, confrontato con quello del Regno Unito (e della maggior parte dei paesi dell’Europa occidentale), è di 1,7 bambini per donna.
Non è difficile riconoscere che, nella classifica dei dieci Paesi con i più alti tassi di fertilità, nove sono africani.
Una bilancia che pende molto da un lato, visto che in quasi la metà dei Paesi al mondo (in particolare modo in quelli più sviluppati), non ci sono abbastanza nascite per mantenere intatto il livello attuale della popolazione. Malthus sarebbe soddisfatto? Non direi.
Tanti si lanciano a spada tratta contro l’immigrazione, dimenticando che lo studio pubblicato sul «The Lancet» indica che i Paesi con tassi di fecondità bassi (come l’Italia), dovranno valutare come positiva l’aumento dell’immigrazione. Nel caso non si facesse così, ci si dovrà confrontare con l’invecchiamento e la riduzione delle popolazioni.
Sembrerebbe logico istituire politiche a favore della natalità, tuttavia quelle in atto sono state fallimentari.
Una delle aree dove il tasso di fertilità è ancora alto è l’Africa subsahariana che contribuirà per più della metà alla crescita della popolazione mondiale prevista da oggi fino al 2050, un dato che deve far riflettere l’Italia e l’Unione Europea, in quanto è in contrasto con le spinte delle forze politiche persuase (ma lo sono davvero?), di poter contrastare un fenomeno che dal punto di vista numerico appare invece incontenibile.
Attenendoci ai dati raccolti nel Rapporto sullo stato della popolazione nel mondo 2018 di UNFPA (Fondo delle Nazioni Unite per la Popolazione) e Aidos (Associazione Italiana Donne per lo Sviluppo) sui diritti riproduttivi e la transizione demografica, negli ultimi 150 anni i tassi di fecondità sono diminuiti in quasi tutti gli Stati.
Ci troviamo di fronte ad una fertilità globalmente inferiore di circa il 50% rispetto alla metà degli anni ’60.
Ribadiamo che, mezzo secolo fa, la media era di almeno cinque figli per donna, mentre oggi nella maggioranza degli stati con almeno un milione di abitanti, i tassi di fecondità sono al massimo di 2,5.
Mai prima d’ora, nella storia dell’umanità, ci sono state tra i paesi differenze così forti nel tasso di fertilità.
Ci siamo abituati a vedere scorrere sui nostri video incessanti richieste di denaro per aiutare le zone del mondo dove i bambini sono a rischio vita.
La “speranza di vita” per i bimbi nei Paesi in Via di Sviluppo è, difatti, decisamente più bassa di quella dei paesi dove la natalità è ridotta. Parliamo di paesi dove ci sono circa 214 milioni di donne a rischio di iniziare una gravidanza non desiderata per l’impossibilità di accedere a servizi sanitari, a metodi moderni di contraccezione, o per fenomeni quali matrimoni e gravidanze precoci.
Sembrerebbe logico interessarsi alle ragioni base di questa natalità (in pericolo), fornendo alle società i metodi e gli insegnamenti per ridurre la natalità a rischio e non limitarsi soltanto a tentare di “curare” gli effetti.
Il contrasto è coi paesi più sviluppati, dove esista la possibilità di scelta, per cui il tasso di fertilità è spesso inferiore a due nascite per donna. Le causali? Motivi economici, accesso al lavoro, reddito inferiore rispetto agli uomini, assenza di welfare.
Nel Rapporto sullo stato della popolazione nel mondo 2018 di UNFPA, si prevede anche che l’Africa subsahariana, dove la fertilità è ancora molto alta, concorrerà per più della metà alla crescita della popolazione mondiale prevista da oggi fino al 2050.
Che vuol dire 1,3 miliardi sui 2,2 miliardi di persone in più nel mondo.
In contrasto con 53 paesi e territori in cui, per anni, la fertilità è stata inferiore al “livello di sostituzione” con meno di 2,1 nascite per donna.
Tra questi, Taiwan ha oggi il tasso di fertilità più basso del mondo: 1,1 nascite per donna.
Infine: i nostri territori “infertili” vedranno una forte immigrazione? Perché meravigliarci? L’ Homo sapiens (cioè noi) il modello paleoantropologico dominante, secondo la maggioranza delle teorie che ne descrivono l’origine assieme alle prime migrazioni dell’uomo moderno, convergono verso un’unica data e un’unica localizzazione, cioè l’Africa subsahariana 200.000 anni fa. La storia si ripete.