Il corpo degli Angeli

Il corpo degli Angeli

 don Marcello Stanzione

La definizione classica dell’Angelo, un essere creato, personale, intelligente e spirituale, dovrebbe evitare di porre la questione del corpo angelico, nella misura in cui il corpo è la nota tangibile dell’incarnazione, della caduta nella materia, alla quale gli Angeli sono estranei. Comunque, i Padri ed i Dottori della Chiesa si sono interrogati, chiedendosi se gli spiriti beati non possedessero un corpo sottile, fatto di fuoco o di luce. Questa opinione, abbastanza vasta, fu finalmente condannata dapprima dal Concilio di Nicea nel 325, poi da quello del Laterano IV nel 1215. Il teologo domenicano Arrighini riassume la posizione della Chiesa cattolica così: “Bisogna convincersi che, presso l’Angelo, non vi è nulla di materiale, neanche l’ombra più tenue di un corpo, per sottile ed imponderabile che lo si possa immaginare”. Tuttavia, è sotto forme accessibili ai nostri sensi che gli Angeli si manifestano agli umani. Questi corpi non sono che delle apparenze, quand’anche fossero solidi. L’unione dello spirito e della materia rimane accidentale, essi restano estranei l’uno all’altro. Essi non parlano con una voce umana, producono dei suoni umani.

 Le affermazioni della Scrittura

La Bibbia mostra angeli che si manifestano sotto diverse forme, fra cui quella umana (Dn 9,21), avvisando eventualmente che si tratta di apparenze. La storia di Tobia, figlio di Tobi, dice molto in proposito: l’angelo Raffaele gli appare sotto le sembianze di un giovane (5,5), lo accompagna nel suo viaggio e ne condivide tutte le circostanze (il cane che li segue, 6,1; la pesca di un  pesce, 6,5; il riposo della sera, 8,1), lo aiuta a trovare moglie, guarisce suo padre prima di rivelarsi, scompare come era apparso, non senza aver dichiarato che lui, invisibilmente presente alle loro preghiere, nozze e funerale, e inviato da Dio, si è reso visibile per metterli alla prova, anche se: “A voi sembrava di vedermi mangiare, ma io non mangiavo nulla: ciò che vedevate era solo apparenza” (12,19), e la Volgata aggiunge a questo punto: “Io mi cibo di un nutrimento invisibile”. Un altro racconto, stavolta nella versione greca dei Settanta, sembra indicare tuttavia che gli angeli sono corporei. In certe copie del libro della Genesi si può leggere infatti: “Quando gli uomini cominciarono a moltiplicarsi sulla terra e nacquero loro figlie, i figli di Dio videro che le figlie degli uomini erano belle e ne presero per mogli quante ne vollero” (6, 1-2). Sulla scia di Filone di Alessandria e dello storico Giuseppe Flavio, alcuni Padri apologeti hanno ammesso l’episodio delle relazioni carnali degli angeli: Giustino il filosofo lo considerava certo (Apol II, 5), Atenagora vi vedeva la ragione della loro caduta nello stato demoniaco (Leg 24), Clemente Alessandrino li accusava di aspirazione all’incontinenza (Strom VI, 7), Lattanzio di desiderio di voluttà (DIc Inst II, 15), Ambrogio di Milano di una corporeità, anche relativa, come sottolinea Ireneo di Lione, aggiungendo però che il loro corpo non può essere carnale (Ad Haer III, 20,4), precisazione che chiarisce indirettamente il rimprovero di Cipriano di Cartagine, secondo cui questi spiriti avrebbero insegnato alle donne “l’arte ingannevole del trucco” (De Hab virg 14). Infine, in altri casi la Scrittura sembra rafforzare l’argomento.

Sempre nella versione dei Settanta, al versetto 4 del salmo 103, intitolato “Glorificazione della creazione” di Dio che “ha fatto dei suoi angeli dei venti e dei servitori delle fiamme di fuoco”. Origene, riconducendo l’episodio delle relazioni carnali alla sua dottrina falsata sulla preesistenza delle anime cadute in corpi, e ispirandosi al salterio, sostiene, che, poiché la spiritualità assoluta è solo di Dio (De princ 1,I, VI, 4) e l’individuazione, l’esistenza, l’azione hanno bisogno di limitazione, materialità, veicolo (Cont Cels VI, 71), la natura angelica, pur non essendo corporea, possiede una corporeità che è unita ad essa, sottile, luminosa ed eterea (In Mt XVII, 30), spiritualmente vivificata (In Joan VV, 22).

La tradizione ulteriore si svilupperà in maniera contraddittoria riguardo a questo argomento: Eusebio di Cesarea definisce gli angeli “puri spiriti, immateriali e incorporei”, in senso stretto (Dem Ev IV,1). La Scrittura, in  questa versione dei Settanta, induce in errore riguardo alla carne degli angeli a causa della cattiva traduzione di Bene – elogi, “figli di Dio”, con angeloi tou theou, “angeli di Dio”, poiché il racconto rimanda in realtà alla leggenda eroica dei figli di Set. Giovanni Cristomo (In Gen hom XII, 2,3), ma anche Cirillo di Alessandria (In Gen II, 2) e Teodoreto di Ciro (In Gen q XLVII), che concordano anche in questo  caso, la respingono a ragione. Gerolamo vi aggiunge la denuncia di certi pseudoepigrafi come 4 Esdra e il Libro di Enoc, responsabili di amplificazioni a suo avviso blasfeme (Cont Ruf II, 3). Questo doppio sviamento, come pure l’angolazione del commento origeniano, non annullano peraltro la difficoltà. Difatti Gerolamo stesso ritiene che gli angeli debbano avere un involucro aereo, simile al corpo di gloria risurrezionale (ibid), un’opinione condivisa da Ilario di Poitiers (In Mt V, 8, 58) e da Tertulliano, il quale la depura dalle concezioni grossolane di generazione, crescita, mortalità per affermarne meglio la necessità ontica (De Car Christ VI) che ritroviamo, con qualche esitazione, in Ambrogio di Milano (De Abra I, 8) o in Agostino di Ippona (Serm CCCLXII)”.

 

Il pensiero dei Padri greci sul corpo degli angeli

 Il loro pensiero, diversamente da quello dei padri latini, procede mediante classificazioni prese a prestito da Aristotele, ma giunge alle stesse esitazioni. Basilio di Cesarea annovera gli angeli fra gli intellegibili senza rinunciare ad assegnare loro un’essenza (De Spir Sanc XVI, 38), che Gregorio di Nazianzo definisce semplice (Orat XXXI, 15), secondo un’opposizione parallela a quella che Cirillo di Gerusalemme istituisce fra densità/corporeità e sottigliezza/incorporeità (Cat XVI, 16). La questione della natura è ricondotta così a fianco di quella delle figure di manifestazione. Il fatto che l’angelo sia anche vento, fuoco, e in ciò percettibile, però soffio etereo e incandescenza immateriale, non scalfisce la sua unità, insiste Basilio (Epist I, 8), come anche il suo carattere igneo o aereo dipende dalla sua funzione per essere fondato, aggiunge Gregorio (Orat XXXVIII, 31). La tradizione siriaca non ignora l’ostacolo. Per Efrem di Nisibi l’angelo deve essere definito “incorporeo” (Marc serm XLVIII), poiché se la natura della creatura terrestre è “argilla e acqua”, quella della creatura celeste non può essere che “fuoco e spirito” (Scrut serm XXX), una distinzione che Bar- Bahlul si sforza di chiarire opponendo la ragione angelica che agisce senza organi alla ragione umana di cui essi sono il mezzo (Thes syr XIII). Una complessità espressa a sua volta nella tradizione armena da Eznicik di Kolb, che afferma l’incorporeità allo scopo di differenziare dalla natura “del vento, del fuoco”, e da ogni altra natura, quella degli angeli, “più sottile e più ardente dell’intelligenza” (Ad sect, I, 23). L’esitazione dipende dunque dalla duplice necessità gnoseologica e lessicografica, legata da una parte alla noetica e alle sue leggi, dall’altra all’analogia e alle sue regole. Crisostomo lo riassume in maniera perfetta quando afferma che gli angeli sono in un certo senso “invisibili in quanto sono inaccessibili ai nostri sensi” (De incomp hom, V,3), in un altro senso “visibili in quanto ci appaiono in metamorfosi” (ibid. hom VII, 6). Dal consenso sull’unità della natura e sulla diversità delle funzioni angeliche deriva dunque un certo consenso nel ritenere che la persistenza dei caratteri manifestatori sia una forma dell’identità, essa stessa segno supplementare di finitudine. Alla formula arcaica di Teodoreto, secondo cui “gli angeli hanno dei corpi che paragonati ai corpi terrestri non lo sono” (Frg II, 4), corrisponde il commento definitivo di Giovanni Damasceno su Dionigi: “Li chiamiamo incorporei rispetto a noi, ma in confronto a Dio tutto è materiale” (De fide orth II,3).

Il sesso degli Angeli

Il buonsenso porta l’evidente risposta: se la natura angelica è puramente spirituale, va da sé che gli Angeli sono asessuati e che non si riproducono. Essi sono per conseguenza liberati dalla schiavitù dei sensi e, se conoscono l’amore, essi ignorano tutto del desiderio umano. Gesù lo dice espressamente. In effetti, dei Sadducei, negatori del mondo angelico e della resurrezione di morti, gli pongono una domanda che sperano imbarazzante. Riferendosi al levirato, quella legge mosaica che comandava che una vedova senza figli divenga la sposa di suo cognato, essi immaginano una donna sposata di volta in volta a sette fratelli, ebbene di chi sarebbe la moglie nell’eternità? E Cristo risponde: “Voi siete in errore, perché conoscete male le Scritture e la potenza di Dio. Nella Resurrezione, in effetti, non si prende né marito né moglie, ma si è come degli Angeli nel cielo”.

Una simile risposta dovrebbe chiudere definitivamente il dibattito; se così non è, forse bisogna rifarsi al passo della Genesi (Gen.6,1-4) che narra come i Figli di Dio si unirono alle Figlie degli uomini e concepirono una posterità. Basandosi su questa citazione, e sul suo apocrifo vetero-testamentario, Il Libro di Enoch, taluni Padri della Chiesa hanno attribuito ad un peccato di carne la colpa degli Angeli. Non bisogna vedervi che una cattiva interpretazione di questo titolo di Figlio di Dio che, qui, non designerebbe gli Angeli. Interpretazione tanto più aberrante, come sottolineò San Giovanni Crisostomo, che la natura angelica esclude la possibilità di commettere il peccato della carne.

Ma questa natura spirituale non impedisce agli Angeli di manifestarsi sotto sviluppi corporali, maschile, femminile, come pure infantile. Certi teologi stimano che un Angelo prenderà un volto d’uomo per esprimere la sua forza soccorritrice e protettrice; di donna per manifestare che essi hanno, per l’umanità, una tenerezza materna; per onorare l’infanzia di Cristo e ricordare che essi sono, come noi, figli di Dio, gli angeli assumono i tratti di un bambino, così come i loro Angeli custodi apparvero a Santa Francesca Romana ed a Santa Caterina Labouré. Caterina, d’altronde, constaterà nel corso della doppia apparizione del suo Angelo custode e della Vergine, a Rue du Bac, il 18 luglio 1830, che il bambino, che doveva avere quattro anni, non parlava meno “come un uomo e con le parole più forti” quando si tratta di convincere la giovane religiosa dell’identità della sua visitatrice (Racconto scritto delle apparizioni di Rue du Bac, da Santa Caterina Labouré, redatto a richiesta delle sue superiori il 30 ottobre 1876, citato dall’abate Laurentin nel suo libro Vita di Santa Caterina Labouré).

 

Le ali degli Angeli

 “Non avendo corpi, essendo puri Spiriti, gli Angeli non hanno alcuna ragione di avere le ali. I loro spostamenti si effettuano alla velocità del pensiero, poiché essi non sono sottomessi alle leggi della materia. Dotarli di ali è un modo simbolico di esprimere la loro velocità e la loro residenza celeste. L’Antico Testamento descrive spesso gli Angeli come esseri alati, fatto che certi commentatori hanno interpretato come una ripresa della mitologia babilonese, un recupero dei geni alati che custodivano i luoghi sacri. Comunque sia, è tardivamente, nel IV secolo, che l’iconografia paleo-cristiana dona delle ali ai suoi Angeli.

L’idea che si trattava di una cristianizzazione di divinità pagane, come ad esempio le Vittorie alate simili a quella di Samotrace, a lungo estesa, è oggi contestata. Il Basso Impero, recuperando l’immagine tradizionale del dio Ermes che si ritroverà spesso associato agli Angeli, darà ai beati Spiriti le piccole ali ai talloni di Mercurio Ermete, messaggero dell’Olimpo.

L’immagine dell’Angelo alato soppianterà rapidamente l’iconografia primitiva che raffigurava gli Angeli sotto le sembianze di giovani vestiti di bianco e risplendenti.

I Serafini, al vertice della Gerarchia angelica, saranno dipinti nell’immaginario medievale con sei ali, come li mostra Isaia: “Dei Serafini stavano davanti a Lui, avendo ognuno sei ali, due per coprirsi il volto, due per coprirsi i piedi, due per volare”(Is. 6,2).

Queste ali con cui essi si coprono il volto testimoniano la maestà insostenibile di Dio il cui splendore anche i primi tra gli Angeli non possono sopportare”.