Pregare in presenza degli Angeli
don Marcello Stanzione
Gli angeli sono miriadi di miriadi secondo l’enumerazione dell’Apocalisse, e un saggio studioso non ebbe dubbi nel calcolare il suo numero. Questo è: 2705 325 297 814 995 628 536 548 496 165 479 368 800 000 000 000 000 000 000 000 (Dizionario di Archeologia Cristiana e di Liturgia, t. I, 2155). Dom Henri Leclerq, che dà questa cifra, aggiunge, citando un vecchio erudito: “Se qualcuno avesse dubbi, riguardo a questo numero enorme, confesso di essere incapace di rifare il calcolo…” )
Sarebbe stato assolutamente logico, secondo questa prospettiva, a creare una “comunità angelica” dove poter celebrare ampiamente queste moltitudini che brulicano intorno a noi. Nel calendario liturgico attuale incontriamo solamente due feste in loro onore: il 29 settembre che celebra simultaneamente gli Arcangeli Michele, Gabriele e Raffaele, e il 2 ottobre, i nostri cari Angeli Custodi.
Questo è tutto? In senso preciso, sembrerebbe di sì; però in realtà, l’intera liturgia è popolata dalla presenza di questi spiriti luminosi. Sono per eccellenza i coriferi che dirigono il loro sviluppo e non si tratta tanto di rendergli un culto come il celebrare o anche “concelebrare” a coloro la grande liturgia eterna.
La visione di San Giovanni ce lo insegna: “Durante la visione poi intesi voci di molti angeli intorno al trono e agli esseri viventi e ai vegliardi. Il loro numero era miriadi di miriadi e migliaia di migliaia e dicevano a gran voce: L’Agnello che fu immolato è degno di ricevere potenza e ricchezza, sapienza e forza, onore, gloria e benedizione” (Ap 5, 11-12).
È allora che la voce delle creature si unisce per proclamare l’inno dell’Agnello vincitore. Che concerto inimmaginabile! Un concerto potente che fa tremare l’intero universo, un concerto di voci umane e voci angeliche!
I tesori millenari del repertorio di musica sacra sono stati già testimoniati da San Benedetto nella sua Regola, nella quale assegna una grande importanza alla celebrazione dell’Opera di Dio. In un capitolo intitolato “La disciplina del canto” cita il versetto del salmo: Ti canterò in presenza degli angeli, (Sal 137,1) e prosegue: “Consideriamo come dovremmo stare sotto lo sguardo della Divinità e dei suoi angeli, e stiamo attenti nella salmodia in modo tale che il nostro essere interiore sia un tutt’uno con la nostra voce” (Regola san Benedetto 19).
Esigenza che ci prepara al grande dispiego sonoro della Parusia, quando le nostre voci sono in piena armonia con quelle dei gli angeli.
Il monaco Alcuino sviluppa, nel IX secolo, l’idea di San Benedetto:
“Questa è la vita dei santi: la profusione della bontà di Dio e, alla sua presenza, l’esercizio della carità che non cessa mai, mai si stanca, mai passa; quello che si consegna ad essa in questa vita mortale acquista una grande somiglianza con gli angeli. Gli angeli di Dio vegliano continuamente magnificandolo; e il monaco che si dedica a vegliare nelle lodi di Dio , imita la vita angelica sulla terra”. (Carta 227; PL 110, 506)
Possiamo vedere come secondo queste prospettive di San Benedetto e di Alcuino, l’importante è pregare con gli angeli, in loro presenza, per rendere omaggio a Dio. Il Catechismo della Chiesa cattolica lo sottolinea: “Dall’Incarnazione all’Ascensione, la vita del Verbo Incarnato è circondata dall’adorazione e dal servizio degli angeli” (Catechismo Chiesa Cattolica n° 333). Adorazione e servizio: sono attività liturgiche. Gli angeli poi sono i nostri maestri e modelli nell’esercizio di lode.
San Giustino l’aveva scritto nella sua prima Apologia: “È Dio Padre che veneriamo, che adoriamo, in spirito e verità, e con Lui suo Figlio, venuto da Lui per darci questo insegnamento, così come l’esercito degli altri angeli che gli fanno da seguito, cioè gli angeli buoni…”. Essi sono la corte celestiale che ci introduce nell’adorabile Dio Uno e Trino.
Il repertorio gregoriano esprime questa attitudine all’adorazione in un magnifico Responsorio il cui testo e stato preso da Isaia. Si tratta del Responsorio Due Serafini: “Due Serafini gridavano e uno diceva all’altro: Santo, Santo, Santo il Signore Dio, Dio degli eserciti. Tutta la terra e piena della sua gloria” (Is 6,3). Subito dopo, per un’idea geniale, il compositore gregoriano, invece di proseguire con il testo di Isaia, senza dubbio molto bello, ha preferito far cantare ai cantori questo magnifico versetto di San Giovanni: “Tre sono coloro che testimoniano in cielo: il Padre, il Verbo e lo Spirito Santo, e questi tre non sono più di uno”(1 Gv 5,7 Vulgata).
E rimaniamo trascinati da questi due Serafini, il cui nome evoca il fuoco, – “gli ardenti” – all’inizio dell’immenso mistero trinitario, che capta tutta l’attenzione delle creature angeliche. Questo ciò che esprime il Prefazio degli angeli: “quell’onore che tributiamo alle creature angeliche, gradevole ai tuoi occhi, trabocca nella tua gloria e proclama la tua grandezza, poiché la creatura angelica è degna di ammirazione, ma lo è di più Colui che la creò”.
San Bernardo, così eloquente quando parla dei suoi fratelli angeli, richiama così la loro contemplazione: “Vedendo il Dio degli eserciti regnare nell’universo con tanta serenità, questi angeli (le Dominazioni), nello stupore di questa contemplazione così intensa e così dolce, però con la sensazione di essere attirati nell’immenso oceano della luce divina, si ritirano al riposo profondo di una meravigliosa pace interiore” (Sermone XIX sul Cantico). Non ci sono grida, né clamori, solo stupore che si consuma nel silenzio. Queste sono in più due attitudini estreme, fra le quali c’è tutta la liturgia, che iniziando in dispiego di espressioni piene di giubilo e meditative, per le conduce verso questo riposo profondo di una attrazione interiore.
Specchi viventi delle perfezioni divine, illuminatori secondo l’insegnamento di Pseudo Dionigi, gli angeli sono i nostri migliori precettori nell’arte eminente della preghiera in tutte le sue forme.