Mercato San Severino: Acigliano, processione di Gesù morto Venerdì Santo
Venerdì 7 Aprile 2023, Venerdì Santo, alle ore 21,00, dalla Parrocchia dei Santi Fortunato e Magno di Sant’Anna, retta dal parroco don Giuseppe Laterza, alle ore 21,00 la Via Crucis, partendo dalla Chiesa ed attraversando diverse strade della frazione con il riverbero delle fiaccole votive. La processione di Gesù morto, ha un senso e significato antichissimo.
“Tra i riti della Settimana Santa- scrive don Laterza- troviamo nella tradizione della Chiesa e della pietà popolare
generalmente le processioni di Gesù morto e dei Misteri. Quest’ultima vede snodarsi per le vie dei paesi le statue raffiguranti i momenti salienti della passione di Cristo; nella prima, al contrario, si porta in processione semplicemente la statua che raffigura Gesù deposto dalla croce e adagiato su di una lettiga. Spesso questa processione prevede l’incontro con la Madonna Addolorata o che ella segua in toto l’itinerario della processione che si muove come un corteo funebre.
Soffermandoci a pensare a quale può essere il senso di quest’ultima processione nella storia della Chiesa, possiamo trovare che, nella grande catechesi per figure e gesti che la Chiesa da sempre ha offerto al popolo, si è voluto far percepire essenzialmente due cose: in primo luogo il dolore della Passione di Cristo per la nostra salvezza, per redimerci dal peccato; in secondo luogo la vicinanza di Dio ad ogni momento della nostra esistenza umana, perché l’uomo non si senta solo ed abbandonato, ma abbia il coraggio di lottare contro il peccato e, aumentando in fede e amore per Dio, sappia elevarsi alle cose del Cielo.
Circa il dolore della Passione di Cristo sappiamo che il credo cattolico ha come punto centrale l’incarnazione e la morte di Cristo, uomo-Dio, per la salvezza dell’uomo dal peccato. La sua morte, accettata in modo volontario come sacrificio, è l’offerta che Gesù fa al Padre per riunire il genere umano nell’unica famiglia di Dio e riaprire ad esso le porte del Paradiso. La processione del Cristo morto del venerdì santo è compimento di quell’atto d’amore che è la passione di Gesù nel suo
svolgersi dall’agonia dell’orto degli ulivi al suo spirare sulla croce. L’immagine di Gesù morto, come una fotografia, deve richiamare nel cuore dei fedeli il senso di quel morire che non è frutto di un incidente o di qualcosa che accade in modo involontario, bensì è il frutto della Scienza divina che ha voluto salvarci mediante il mistero della incarnazione e della sofferenza del Figlio. Nella morte di Cristo ci viene donata l’adozione a figli di Dio, la salvezza mediante i sacramenti, la Chiesa, che di questi è amministratrice, e infine la giustificazione di ciascuno di noi dinnanzi a Dio. Siamo costati il Sangue di Cristo a Dio Padre, ricambiamo pertanto questo amore tenendo lontano da noi l’indifferenza per Dio e per il peccato. L’immagine del Cristo morto evoca proprio l’avvenuto sacrificio della Croce e richiama al senso di pietà ancestrale che l’uomo ha per il corpo del defunto.
Morto per i miei peccati, sacrificatosi per ciascuno di noi, il corpo umano del Redentore merita la vicinanza e la solidarietà umana.
Il Triduo santo rappresenta nel tempo liturgico – che è differente dal tempo cronologico – lo scorrere della vita di Gesù nel momento della sua Passione. Passiamo dalla ultima cena, ove Gesù anticipa in modo sacramentale nei segni del pane e del vino quanto sarebbe accaduto il venerdì santo e lo consegna a noi sotto forma di sacramento (quello che oggi chiamiamo Messa), alla sua morte nel giorno della Passione; dal silenzio della discesa degli inferi, fino a godere dei segni nuovi della risurrezione nella veglia pasquale e della domenica di Pasqua.
L’antico e plurimillenario rito della Chiesa nel giorno del venerdì santo ha celebrato quella che era chiamata la “Messa dei presantificati”, un rito che richiama il contatto tra la Chiesa Occidentale con la Chiesa Orientale. Il venerdì santo nella Chiesa è il giorno in cui non viene celebrata la Santa Messa. Si ricorreva perciò all’uso dell’Ostia Santa consacrata nel giorno del giovedì santo (di qui il termine pre-santificati, riferito ai doni santificati precedentemente). Il rito vedeva il sacerdote utilizzare i paramenti neri e una liturgia molto stringata: serviva a far percepire il senso della mancanza dello Sposo divino e del rivivere il dolore e il lutto che hanno vissuto Dio, Maria Vergine e i discepoli di Gesù Cristo.
Oggi è rimasto, tra i sacerdoti, il termine “in nigris” per i riti del venerdì santo, ma se ne è perso il senso, e molti pensano che l’espressione derivi dall’assenza dei paramenti per la processione del Gesù morto o dei misteri. Essa, invece, richiama proprio il colore nero dei paramenti, lo stesso colore – il più antico dei colori liturgici – che la Chiesa utilizzava per i funerali e che la società utilizza per esprimere il senso del lutto. Il nero è il colore che assorbe lo spettro della luce, dà il senso dell’indefinito: la morte è il momento in cui l’anima del defunto incontra il Giudice divino, e sulla base dell’amore per Dio e dell’assenza di peccato, è messa davanti al suo eterno destino, paradiso o inferno. Noi in terra non conosciamo il destino eterno dell’anima del defunto, e preghiamo perché essa sia trovata in grazia con Dio e possa sperimentare il paradiso o purgare le sue mancanze essendo esente da peccato mortale e, per questo, salva dall’inferno.
I paramenti neri con il loro ricamo in oro o argento adoperati anticamente richiamavano al fatto che la morte è stata sconfitta da Cristo; che essa non danneggia più i figli di Dio chiamati a santità.
Tutti quanti siamo chiamati a conformarci a Gesù per ottenere il perdono dei peccati commessi in terra e vivere la vita eterna che la risurrezione di Gesù ci ha manifestato come vera, in corpo e anima.
Proprio questi richiami liturgici, generalmente non più adoperati per il cambiamento del rito e l’uso di paramenti in colore rosso (che indicano sì il sangue, ma hanno una connotazione più festiva e incidono di meno sulla riflessione del senso eterno dell’anima), ci rimandano all’ultimo significato della processione del Cristo morto: essa è vicinanza al lutto di Dio e vicinanza di Dio al nostro lutto.
In conclusione, per analogia, possiamo dire che, come ogni uomo sperimenta il senso della perdita dei suoi cari e della sua stessa finitezza, anche Dio ha conosciuto il senso della perdita nella morte del figlio Gesù attraverso l’umanità di Cristo. Dio non è lontano dalla nostra esistenza, ha sperimentato e conosciuto nella umanità di Gesù ogni stato umano, compresi la morte e il lutto.
L’uomo, unendosi a questo dolore divino, va a lenire il proprio dolore umano e la finitezza propria della carne umana, aprendosi alla speranza nella risurrezione. Nello stesso tempo l’affetto ci fa essere vicini nell’amore alla Madre Maria, la quale vede il Figlio Gesù straziato dalla crudeltà umana e ucciso sulla croce, e al Padre Celeste, il quale offre per noi il Figlio come Agnello Pasquale per la nostra salvezza. Agnello che ci nutrirà nella notte della veglia durante il rinnovarsi della Pasqua ultima e vera, quella cristiana, che nel Corpo, Sangue, Anima e Divinità di Gesù segna l’eterna Alleanza che ogni giorno si rinnova sugli altari di ogni parte del mondo per mezzo delle mani di un sacerdote che è chiamato, nella sacra ordinazione, ad agire in mezzo al popolo santo di Dio come figura di Cristo Gesù, Capo e Sposo della Chiesa.”