La Voce e la Vita della Chiesa: il Giovedì Santo
Diacono Francesco Giglio
“ Creati per la gloria del tuo nome, redenti dal tuo sangue sulla croce,
segnati dal sigillo del tuo Spirito, noi t’invochiamo: salvaci, o Signore! “
Causa Coronavirus, quest’anno, con le chiese chiuse non possiamo vivere come comunità i riti della Settimana Santa, ma volendo conservare nel cuore quanto vissuto negli anni precedenti, con la gioiosa speranza di poterli rivivere con maggior slancio e più profonda fede negli anni a venire, è giusto ricordare il profondo valore e significato di questa festa centrale della cristianità. Il Triduo Pasquale, ricco di riti e celebrazioni, costituisce per i cristiani il cuore della liturgia in quanto memoriale dell’essenza della fede in Gesù Cristo morto e risorto. Con il termine triduo pasquale si fa riferimento ai tre giorni precedenti la Domenica di Pasqua, nei quali si fa memoriale della passione e morte di Cristo, prima della Risurrezione nel giorno di Pasqua. Anche se il Triduo viene distribuito in tre giorni dal punto di vista liturgico esso è un’unica celebrazione. Infatti nella Messa “in Coena Domini” non c’è congedo, ma l’assemblea si scioglie in silenzio. In silenzio comincia e termina anche la celebrazione del Venerdì Santo, che omette il rito d’introduzione e si conclude senza benedizione e congedo mentre la solenne Veglia Pasquale, sempre in silenzio, inizia fuori dalla chiesa con la benedizione del fuoco e del cero e, a differenza delle altre due, si conclude con la benedizione finale e il congedo.
Con il Giovedì Santo si conclude la Quaresima, iniziata con il Mercoledì delle Ceneri il 26 febbraio, e con essa finisce anche il digiuno penitenziale. La Messa vespertina “in Coena Domini” da inizio al Triduo pasquale, che sono i tre giorni nei quali la Chiesa commemora la Passione, Morte e Risurrezione di Gesù, che ha il suo culmine nella solenne Veglia Pasquale nella Notte Santa e si conclude con i secondi vespri della Domenica di Pasqua che segna la Resurrezione del Signore.
Il giorno del Giovedì Santo è riservato a due distinte celebrazioni liturgiche: in mattinata, in tutte le cattedrali della Chiesa nel mondo, ogni vescovo raduna, in modo particolare, tutti i sacerdoti, i diaconi e i religiosi della sua Diocesi, quale visibile conferma della Chiesa e del sacerdozio fondato da Cristo accingendosi a partecipare poi nelle singole chiese e parrocchie, con la liturgia propria, alla celebrazione delle ultime fasi della vita di Gesù con la Passione, Morte e Resurrezione. Questa solenne celebrazione detta anche Messa Crismale perché durante il rito il vescovo consacra il Sacro Crisma, cioè l’olio benedetto da utilizzare per tutto l’anno successivo per i Sacramenti del Battesimo, Cresima e Ordine Sacro e gli altri tre oli usati per il Battesimo, Unzione degli Infermi e per ungere i Catecumeni.
Nel tardo pomeriggio in tutte le chiese c’è la celebrazione della Messa in “Coena Domini”, cioè la “Cena del Signore”. Si tratta dell’Ultima Cena – raffigurata da intere generazioni di artisti – che Gesù tenne insieme ai suoi apostoli prima dell’arresto e della sua condanna a morte.
Tutti e quattro i Vangeli riferiscono che Gesù, avvicinandosi la festa “degli Azzimi” (dal greco “azymos” cioe pane senza lievito, il solo che si poteva mangiare in quell’occasione), ossia la Pasqua ebraica, mandò alcuni discepoli a preparare la tavola per la rituale cena, in casa di un loro seguace. La Pasqua è la più solenne festa ebraica e viene celebrata con un preciso rituale, che rievoca le meraviglie compiute da Dio nella liberazione degli Ebrei dalla schiavitù egiziana (Esodo 12).. Gesù con gli Apostoli non mangiarono solo secondo le tradizioni, ma il Maestro per l’ultima volta aveva con sé tutti i dodici discepoli da lui scelti e a loro fece un discorso dove s’intrecciano commiato, promessa e consacrazione. Nella celebrazione si effettua “la lavanda dei piedi” simbolo di ospitalità. Questo episodi è narrato nel Vangelo di Giovanni, al capitolo 13.
La lavanda dei piedi era una caratteristica dell’ospitalità nel mondo antico, era un dovere dello schiavo verso il padrone, della moglie verso il marito, del figlio verso il padre e veniva effettuata con un catino apposito e con un “lention” (asciugatoio) che alla fine era divenuto una specie di divisa di chi serviva a tavola. Dopo la lavanda segue “l’annuncio del tradimento da parte di Giuda” da parte di Gesù che dice: “In verità, in verità vi dico: uno di voi mi tradirà”. Alla domanda di Giovanni, il discepolo prediletto: “Signore, chi è?”. E Gesù commosso rispose: “È colui per il quale intingerò un boccone e glielo darò” e intinto un boccone lo porse a Giuda Iscariota, dicendogli: “Quello che devi fare, fallo al più presto”; fra lo stupore dei presenti che continuarono a non capire, mentre Giuda, preso il boccone si alzò, ed uscì nell’oscurità della notte.
I riti liturgici del Giovedì Santo, giorno in cui la Chiesa celebra oltre l’istituzione dell’Eucaristia, anche quella dell’Ordine Sacro, ossia del sacerdozio cristiano, si concludono dopo la messa della Cena con la reposizione dell’Eucaristia, in un cappella laterale delle chiese, addobbata a festa per ricordare l’istituzione del Sacramento; cappella che sarà meta di devozione e adorazione, per la rimanente sera e per tutto il giorno dopo, finché non iniziano i riti del pomeriggio del Venerdì Santo. Tutto il resto del tempio viene oscurato, in segno di dolore perché è iniziata la Passione di Gesù; le campane tacciono, l’altare diventa disadorno, il tabernacolo vuoto con la porticina aperta, i Crocifissi coperti. Si conclude così il rito del Giovedì Santo consegnandoci l’invito a meditare e pregare : “Guarda con amore, Padre, le nostre famiglie, l’Italia, il mondo intero e quanti sono morti, soffrono e combattono per sconfiggere questa pandemia e per la nostra salvezza per la quale il Signore nostro Gesù Cristo non esitò a consegnarsi nelle mani dei nemici e a subire il tremendo supplizio della croce”.