Avventure missionarie: giochi e giocattoli
Padre Oliviero Ferro
Quando ero piccolo, avevamo pochi giocattoli (erano gli anni ’50 del secolo scorso). Poi, ho visto, che, crescendo, i bambini ne hanno avuti tanti. E la tentazione era di non apprezzarli, tanto c’era qualcuno che gliene regalava dei nuovi, anche con la complicità della pubblicità. Quando sono arrivato in Africa, sono rimasto molto meravigliato di vedere i bambini e le bambine che si accontentavano di poco. Facevano i giochi, simili a quelli che entusiasmavano noi. Le bambine avevano forse più fantasia. Lo si vedeva nei cortili delle scuole, durante la pausa di metà mattina, dove mangiavano qualche cosina portata da casa o comperata dalle mamme che facevano il mercatino. E poi si divertivano con poco, naturalmente in mezzo alla polvere e a piedi scalzi. I ragazzi invece correvano dietro a un “pallone” fatto di stracci. Le porte erano delimitate dalle ciabatte di plastica o dall’uniforme…e si divertivano. Poi, passando nei villaggi, vedevamo che davano sfogo alla fantasia e all’inventiva nel costruirsi dei giocattoli con materiale di riciclo. Usavano il bambù, le bottiglie di plastica, il fil di ferro, le lattine delle sardine e di altri alimenti, per non parlare dei secchielli di plastica o altre cose che trovavano, anche nell’immondizia. E costruivano dei capolavori. Le automobiline con la scatola di sardine e il fil di ferro che faceva da carrozzeria. Oppure delle specie di autobus con la bottiglia di plastica dell’acqua o delle costruzioni con il bambù. Ma una delle più interessanti è la bicicletta, tutta costruita in legno, ruote comprese. Qualcosa di speciale. Piano piano, abbiamo iniziato a farli giocare, a far fare loro un po’ di sport (una specie di oratorio domenicale), portando il pallone di calcio, di pallavolo o di pallamano. E imparavano così a giocare come squadra. I tornei attiravano un sacco di gente e di tifosi ed era un modo per vincere le disuguaglianze. Qualcuno poi imitava anche quello che vedeva in giro (tipo il karatè e altri sport di contatto). Per loro giocare era anche evadere per qualche istante dalla triste situazione di fame, di mancanza di libri, medicine e soprattutto di sentirsi delle persone come tutti gli altri. I bambini, in tutto il mondo, vogliono essere bambini e hanno diritto a giocare. Per questo chiedevamo ai giovani di diventare animatori ed aiutarli a stare insieme. Anche i gruppi organizzati (scout, ACR o ACE: azione cattolica enfance: infanzia) facevano la loro parte per dare un po’ di gioia e di serenità. E noi che eravamo là, eravamo felici quando qualcuno di loro ci regalava un sorriso ed era il grazie più bello.