Le vergini cristiane e gli Angeli
don Marcello Stanzione
Sono prima di tutto i Padri della Chiesa che hanno celebrato con ostinazione l’eccellenza extraterrena della verginità cristiana. Così, per esempio, dice San Basilio da Cesarea: “Chi scelse la vita angelica, si elevò ad una maniera di vivere eterea, ammesso che superò le ordinarie possibilità della natura umana. Effettivamente è proprio della natura degli angeli essere liberi dalla società matrimoniale e non lasciarsi allontanare dalla contemplazione di altra bellezza che non sia quella del volto divino”.
Sant’Ambrogio, grande amante e cantore della verginità, esorta le fanciulle cristiane affinché si mostrino quali “angeli fra gli uomini”, poiché “niente è più bello”. Non senza una certa esagerazione San Gregorio Niseno afferma: “Nell’offrire se stesso a Dio si segue il trasformarsi della natura e dignità umana in angelica”. E dopo aver cantato le glorie della verginità San Giovanni Crisostomo conclude: “Già vedi quanto eccellente sia la verginità, e come agli abitanti di questa terra fa condurre loro una vita simile ai cittadini del cielo e non permette a quelli che sono rivestiti di corpo di essere vinti dalle virtù incorporee, riparando tuttavia gli uomini che sono emuli degli angeli”.
La verginità è “l’immagine della santità angelica” e “vita di angeli”; riproduce l’integrità degli spiriti celesti; costituisce nel seno della Chiesa di Cristo la parte angelica”. Da qui l’obbligo che hanno le vergini cristiane di adattare tutta la loro esistenza alla dignità che possiedono e vivere e restando nella carne, come se fossero esenti da essa. La loro patria è il cielo e la loro occupazione è imitare i santi angeli. Le vergini, secondo la splendida idea di San Geronimo, costituiscono la famiglia di Gesù Cristo e fanno le veci della corte celestiale: “Appena il figlio di Dio venne al mondo, si formò una nuova famiglia, di modo che Colui che era adorato in cielo, avesse anche angeli sulla terra.
Non è tutto, il merito di quelli che rimangono casti e puri è più grande ancora delle potestà celesti e, pertanto, la loro condizione soprannaturale deve considerarsi come la più sublime. San Giovanni Crisostomo insiste su quest’idea. Gli angeli non provano l’ardore della concupiscenza, e non sono soggetti a necessità corporali, e nemmeno sentono attrattive terrene di nessun tipo. Molto diversa è la condizione umana, la quale è sottomessa a frequenti tentazioni carnali, è debole e si trova di continuo sospesa nel baratro.
E nonostante ciò riesce, con la grazia divina, a superare tutte le difficoltà. “Perché,” – domanda il santo – “in che cosa si differenziavano dagli angeli Elia, Eliseo e Giovanni il Battista, quei genuini amanti della verginità? In nulla, solo nello stare soggetti ad una natura corporea; poiché gli altri, se lo consideri bene, non erano per niente inferiori, e persino in quelli che sembravano inferiori, c’era da segnalare una certa lode. Poiché gli abitanti della terra, impastati con il vile fango, hanno potuto elevarsi ad una tale virtù, ponderare quanta forza ed elevazione era necessaria”.
A volte i Padri presentano la verginità come un ritorno al Paradiso terreno, alla vita angelica di Adamo ed Eva. “Nelle vergini consacrate contempliamo la vita degli angeli sulla terra che un giorno perdemmo in Paradiso”, dice Sant’Ambrogio. E San Leandro, rivolgendosi ad una vergine, sua sorella Santa Fiorentina: “Rinunciando al lecito, salì fino alle alture da dove Eva cadde per aver preso l’illecito. Eva trovò il proibito e perse la verginità”. E’ ovvio che San Gregorio da Nisida insiste particolarmente su questo, su coloro per i quali la vita sessuale è l’effetto del primo peccato. Ricordiamoci della splendida immagine del coro celeste, formato da angeli e uomini, le cui le armoniose danze furono distrutte dalla colpa originale. Bene, tale è il potere della verginità, che conduce di nuovo gli umani al Paradiso perduto, “insieme al padre degli spiriti di modo che lassù possano godere un’altra volta con gli angeli del cielo nella festa interminabile”.
Però i Padri parlano della verginità con molta più frequenza come un’anticipazione della realtà escatologica del Paradiso celestiale, che come un regresso alle origini del genere umano. Il testo di San Luca (20, 34-36) su cui si basa particolarmente la dottrina patristica, si presta meglio a questa interpretazione: se “i figli di questo secolo prendono mogli e mariti”, quelli che non si sposano sono già figli del secolo venturo, “i figli della resurrezione”. È naturale che tale aspetto è prevalso. Già l’anima appassionata di Origene esclamava, vibrante di entusiasmo, riferendosi alla verginità: “Dato che dobbiamo essere somiglianti agli angeli, cominciamo ad essere sin da adesso quello che c’è stato promesso che saremo in cielo”. E tuttavia oggi la liturgia romana nel bellissimo prefazio della consacrazione delle vergini canta: “Oh Dio amante delle anime! […] in tal modo ripristini nel tuo Verbo la natura umana viziata nel primo uomo, ingannato dal diavolo, che, non solo la ristabilisce nell’innocenza originale, ma la conduce all’esperienza dei beni eterni che andranno a possedere nell’altro mondo, e a quelli che tuttavia sono legati dalla condizione di mortali li elevi a somiglianza degli angeli”. I santi Padri esprimono la stessa idea, ma in modo diverso; riguardo allo stesso prima hanno vissuto un grande numero di variazioni. Dio spinge le vergini, “già da adesso, a mettere in pratica e a manifestare quella trasformazione dei corpi in una natura simile a quella degli angeli del cielo”. La verginità “non è altro che una prova della vita futura” una certa partecipazione dello stato angelico è intento ad imitare nella carne corruttibile la incorruttibilità dell’eterno. Grande cosa è la verginità, che ci colloca fra gli angeli, si distacca dalla terra, sopprime il mondo, dimentica il presente per il futuro, mostra in un colpo mortale “le primizie della resurrezione” riflette la beatitudine del mondo a venire, “assapora già nella vita presente quello che è più desiderabile fra i beni della resurrezione. Sì, perché Dio promette ai giusti, dopo la resurrezione, una vita simile a quella degli angeli ed è proprio tipico di questi vivere liberi dal matrimonio, si può dire che quelli hanno già ricevuto i frutti della promessa, essendo immersi negli splendori dei santi e imitando, con la purezza della loro vita, la limpidezza degli spiriti puri”.
San Cipriano riassume bene queste idee quando, rivolgendosi alle vergini, dice loro: “Quello che saremo nell’altra vita sta già cominciando ad essere vostro; godete in questo secolo della gloria della resurrezione; passate in questo mondo senza essere contaminate; mentre vi conservate caste e pure, siete uguali agli angeli di Dio”.
Nel Symposion, magnifica ghirlanda intrecciata in onore della verginità, San Metodio di Olimpo cita paragrafi di grande bellezza, celebrando il suo aspetto angelico, paradisiaco, celestiale, anticipatore dei beni futuri.
Le vergini – dice fra le altre cose – “con leggere e vigorose ali, si elevano dal fango del mondo, alzano i loro occhi verso quelle purissime dimore, e intravedendo già da lontano quello che nessun mortale ha visto mai, quei prati di insospettata bellezza, quella perenne primavera, quei deliziosi giardini che promettono loro fiori bellissimi ed assortiti a gran profusione, dirigono là i loro cuori e sognano continuamente quei divini spettacoli”. “Le ali della verginità non sono state formate secondo la loro natura, per strisciare pesantemente sulla terra, ma per elevarsi nei più alti cieli, emulando la vita delle gerarchie angeliche”.
Tali sono i sentimenti e gli insegnamenti dei Padri sulla verginità, considerata sotto i suoi aspetti paradisiaci ed angelici.
Queste espressioni non sono mero frutto dell’esaltazione lirica, ma sono basate su di una dottrina precisa derivata dal Vangelo. Più che un’espressione dell’ascetismo, più che come una specie di martirio, la consideriamo come splendore della vita divina. “L’idea di restare sempre vergine, di non appartenere a nessun uomo, è un’idea specificamente cristiana. Non racchiude nessun disprezzo della carne, nessuna assimilazione fra ‘opera della carne’ e il peccato. Non è sul piano morale che si deve apprezzare la verginità, bensì sul piano mistico: non appartenere a nessun uomo ai fini di appartenere a Dio. […] È difficile che il cuore appartenga totalmente a Dio e possa impegnarsi a non amare nessuno se non Lui, senza una rinuncia completa ad opera della carne”. Da qui il carattere trionfale e gioioso che c’è nella Chiesa, e solo nella Chiesa, della santa verginità. Essa prova che il cristianesimo non è di questo mondo, ma viene dal cielo. Essa prosegue la resurrezione di Cristo, mostra che gli uomini hanno trovato il cammino del Paradiso; è segno di immortalità.